Ilaria Cucchi (da http://static2.oggi.it/wp-content/uploads/sites/2/2014/11/ ilaria_cucchi_inviata_rai_645.jpg?v=1416559076)

Fra poco meno di tre mesi, il 13 ottobre, si aprirà un nuovo processo per la morte di Stefano. Cosa significa dopo anni di battaglie?

È un nuovo inizio nella ricerca della verità e delle responsabilità per la morte di Stefano. La magistratura ha fatto un grande passo avanti. Ora c’è tanta emozione, dopo otto anni di indagini, processi finti, con imputati sbagliati e capi d’imputazione sbagliati. Col corredo di ulteriori, enormi, sofferenze per noi familiari, e per la collettività un’infinità di energie e tempo sprecati. E questo è accaduto perché dei carabinieri hanno detto il falso e depistato: con la divisa piena di stellette e medaglie, sono venuti in aula e hanno giurato e mentito. Sapendo di mentire, perché i colpevoli erano loro stessi o i loro colleghi.

Con mamma Rita e papà Giovanni, seguirete, come sempre, ogni udienza?

Certamente. Stefano è stato selvaggiamente picchiato, e ne dovranno rispondere tre dei carabinieri rinviati a giudizio per omicidio preterintenzionale. Per noi è già quasi una vittoria, se non fosse così amaro e doloroso quanto abbiamo dovuto subire. Non sarà affatto facile quello che ci aspetta, lo so benissimo, forse addirittura peggio di ciò che abbiamo alle spalle. Dal punto di vista emotivo, intendo. Perché basta leggere gli atti depositati per comprendere quanto è stato grande il lavoro compiuto dalla Procura di Roma: ha raccolto testimonianze e prove che inchiodano gli imputati alle loro responsabilità, non lasciano spazio a dubbi su come sia andata e sui colpevoli. Quei carabinieri avevano ognuno più utenze, addirittura qualcuno fino a cinque, e così utilizzavano quelle ufficiali per depistare, ben consapevoli, con il loro mestiere, di essere intercettati. Le altre utenze erano usate per mettersi d’accordo oppure per raccontare quanto si sono divertiti a picchiare «quel tossico di merda». Si resta senza parole: si tratta di carabinieri, rappresentanti dello Stato. Purtroppo è questa la terribile verità documentata su cinque carabinieri che pensavano di averla fatta franca.

Dopo tre giudizi di merito, uno di primo grado e due di appello, oltre a una pronuncia della Cassazione, ora prevale la fiducia nella giustizia…

Questa volta non dovremo più sentire di Stefano caduto dalle scale, né vedremo periti e consulenti simulare in maniera imbarazzante quella caduta e nessuno affermare che il catetere lo avevano messo per comodità. Non accadrà più perché la Procura è al nostro fianco. La difesa proverà di tutto, ad affermare di nuovo che mio fratello è morto per colpa sua. L’intero primo processo era volto a dimostrare come il principale responsabile, se non l’unico, della morte di Stefano Cucchi fosse proprio Stefano Cucchi o la sua famiglia, perché lo aveva abbandonato. Si è detto, e scritto nei referti, di morte per “sindrome di inanizione”, cioè per fame e sete. Infine si è aggiunta anche la morte per epilessia. Nell’udienza per il rinvio a giudizio, gli avvocati difensori hanno paragonato Stefano ai morti ad Auschwitz, ma il Pm ha replicato che sul treno per quella destinazione ce lo hanno messo gli attuali imputati.

La sconvolgente immagine del cadavere di Stefano Cucchi, in primo piano la sorella Ilaria (Imagoeconomica, Livio Anticoli)

Ottobre è il mese in cui otto anni fa cominciò tutto…

Il primo ottobre ricorre il compleanno di Stefano; il 15 ottobre del 2009, mio fratello aveva compiuto 32 anni, è stato arrestato; il 22 è morto. Adesso comincia una fase nuova, difficile, ma in cui, finalmente, parliamo della verità. La nostra famiglia è stata devastata e ci è voluto impegno, sacrificio e determinazione a non arrendersi e a non piegarsi all’ingiustizia. Bisogna sempre continuare a crederci. E per questo devo ringraziare l’avvocato Fabio Anselmo, chi ha scritto e raccontato della nostra battaglia e le tantissime persone comuni che ci sono state vicine con immensa solidarietà.

C’è stato un momento in cui pensavate di non farcela?

Sì e sempre in ottobre, era il 2014, quando fu pronunciata la sentenza di secondo grado, quella che assolveva medici infermieri e agenti, per intenderci. Poteva essere la resa e invece in quel momento è cambiato tutto. Appena sentito il verdetto, dissi ad Anselmo: «Abbiamo vinto». Lui pensava fossi impazzita, naturalmente, ma io insistevo. Ed era così. Dopo pochi giorni c’è stata l’iniziativa delle “Mille candele”, con una piazza stracolma e solennemente silenziosa. Poi è arrivato l’appello del Presidente del Senato, Pietro Grasso: «Chi sa parli, chi è in custodia dello Stato non può morire per cause naturali». Ed è stata la svolta.

La vostra vicenda, dopo quella di Federico Aldrovandi, ha portato alla luce numerosi casi di vittime dello Stato…

Purtroppo, subito, quando accadono queste vicende interviene lo spirito di corpo. Dovrebbe essere interesse di chi rappresenta una funzione dello Stato isolare chi abusa del proprio potere, chi compie misfatti. Non certo della famiglia Cucchi, Aldrovandi o Magherini, per fare degli esempi evidenti e chiari. E le famiglie delle vittime sono costrette, invece, a subire forti offese, basti pensare ai poliziotti che manifestarono sotto l’ufficio di Patrizia Moretti a sostegno di chi le aveva ucciso il figlio. Per un enorme problema culturale si tende a proteggere, infangando la maggioranza dei colleghi, che spesso fanno un lavoro complesso e difficile. A ottobre, in aula, ci saranno anche gli agenti di polizia penitenziaria costretti, da innocenti, a subire un processo, chiederanno i danni.

In Italia è stato introdotto il reato di tortura, qual è l’opinione di Ilaria Cucchi?

È una legge inutile, se non addirittura dannosa, sembra fatta apposta per non essere applicata. Porterà solo assoluzioni. Non sono un esperto giurista, lo dico da persona che ha vissuto sulla pelle i processi. Stefano è morto di dolore, ma con questa norma non si potrebbero condannare i suoi carnefici. Quanti continuano a sostenere che una pessima legge è sempre meglio di niente, non è consapevole delle difficoltà delle vittime a farsi valere. Per anni, nel caso di mio fratello, si è parlato di lesioni lievi e abbiamo dovuto lottare un’infinità di tempo prima di veder riconosciuto il violentissimo pestaggio. Siamo un Paese incapace di fare le cose seriamente. L’Europa continua a sanzionarci per i fatti della Diaz e di Bolzaneto e noi variamo un testo che non permettere di punire quei reati. Una buona legge, inoltre, tutelerebbe anche le forze di polizia. Evidentemente in Italia, il tema dei diritti umani non interessa.

Ilaria continua a sognare Stefano?

Mi è sembrato di vederlo mentre ascoltavo il giudice decidere per il rinvio a giudizio. E per la prima volta non ho sentito di dovere chiedere scusa a lui, per non averlo saputo proteggere, così come ai miei genitori per le vessazioni subite. Fino alla tragedia di Stefano credevo – e credo ancora – nello Stato, che però in un istante si è rivelato il peggior nemico. Trovo la forza, ricordando il volto di Stefano in obitorio mentre pensavo fosse impossibile che un essere umano potesse usare tanta violenza contro un suo simile. Trovo la forza perché a quel corpo devastato promisi giustizia. In passato non capivo perché delle persone normalissime, sconosciute, mi si avvicinassero e ringraziassero. Poi ho capito che la gente comune si rispecchia nella nostra famiglia. Un poco, credo, abbiamo scritto la storia dei diritti, dato una speranza a chi riteneva inutile lottare. Mi piace pensare che il nuovo processo, questo piccolo traguardo raggiunto, sia un riscatto per tante persone perbene.