Ecco le ragioni del No del professor Paolo Prodi, tra i massimi storici italiani dell’età moderna, docente emerito all’Università di Bologna, già rettore dell’ateneo di Trento, tra i fondatori dell’Istituto storico italo- germanico della città trentina e dell’associazione di cultura e politica “Il Mulino”, fratello dell’ex presidente del Consiglio Romano Prodi.
Vogliamo ringraziare il professor Prodi che, pur non essendo in piena forma, ci ha generosamente concesso questa intervista.
Professor Prodi cosa pensa della riforma costituzionale sottoposta a referendum?
È un pasticcio pazzesco ed è anche illeggibile. Se pure vogliamo chiamare “riforma” il testo che va a referendum. Possiamo farlo, certo, ben coscienti però che nella storia dell’umanità tante riforme sono andate indietro e non avanti. E questo è proprio uno di quei casi.
Perché ritiene rappresenti una sorta di arretramento nella storia della Repubblica?
Prima di tutto la Carta dei Padri costituenti andrebbe pienamente attuata, mentre dal 1992 a oggi assistiamo a una sorta di continuità nell’obiettivo di stravolgere la Costituzione, non di attuarla. Basti pensare ad alcuni articoli sulla rappresentanza democratica.
A quali articoli si riferisce?
All’articolo 49 sui partiti politici e all’art. 39 sui sindacati, per esempio. I Padri costituenti introdussero il principio della struttura democratica all’interno dei partiti politici, il canale attraverso cui la sovranità popolare si traduce nelle istituzioni. I partiti dovevano essere un soggetto giuridico pubblico con garanzie di statuto, libertà di parola, libertà di voto interno, nelle primarie o nelle elezioni dei suoi rappresentanti. Questo articolo è rimasto inattuato. Un problema diverso ma analogo riguarda i sindacati. All’epoca della Costituente si guardava al sindacato unico. In seguito, a partire dagli Anni 50, con la divisione tra diverse sigle, sono diminuite le garanzie democratiche interne per tutelare la rappresentatività. Così i sindacati difendono le loro posizioni e i loro iscritti piuttosto che il mondo del lavoro nella sua completezza. Questo è un tema importantissimo che le reti sindacali dovrebbero avere il coraggio di affrontare. E poi c’è il pasticcio enorme delle Regioni.
Il Titolo V ha mostrato la sua inefficacia, andava modificato?
Ora si cambia tutto, non risolvendo affatto il problema alla radice. Il Titolo V, approvato con referendum nel 2001, non ha assolutamente retto alla crescita delle Regioni, ognuna è andata per conto suo con le degenerazioni che abbiamo visto. Restano intatti i regimi delle Regioni a Statuto speciale: la Valle d’Aosta, la Sicilia, la Sardegna, ancora disomogenee rispetto al tessuto delle “ordinarie”. Se si fosse veramente voluto fare dell’Italia una repubblica federale, sul modello tedesco dei Lander, era necessario fare un salto in avanti: valorizzare le autonomie in un modello unitario e omogeneo del Paese. E sapere rappresentare i territori. Questa riforma è tutt’altro. Il Senato “nuova maniera” non si capisce assolutamente cosa rappresenti. Ne faranno parte degli eletti in secondo grado e, nonostante gli estensori della riforma dicano il contrario, non sarà per nulla una rappresentanza territoriale di tipo democratico. La Val d’Aosta ha 30mila cittadini, la Sicilia ne conta 6 milioni. Una bella differenza.
Per le edizioni “Il Mulino” ha da poco dato alle stampe il libro “Giuseppe Dossetti e le officine bolognesi”…
Dossetti era soprattutto convinto della necessità di attuare pienamente la Costituzione. Nei nostri colloqui, il Dossetti degli ultimi anni ha sempre definito il bicameralismo perfetto una necessità storica. L’Italia del 1947-’48 viveva la paura dell’imposizione di una parte del mondo sull’altra. Con la Guerra Fredda alle porte, quel bicameralismo dava la massima garanzia di equilibrio che il nostro sistema democratico poteva offrire. Dossetti era anche convinto della possibilità di rinnovare la Costituzione, se fossero cambiati i tempi o si fosse data attuazione agli Enti Regione. Questa revisione costituzionale, invece, non dà risposta alle trasformazioni della società italiana ed europea. Dividere per materie le competenze tra Camera e Senato è semplicemente un’indicibile assurdità. Si tracciano rigidi confini in un mondo che non ne ha: si pensi alle leggi in materia di energia, tutela dell’ambiente, sanità. Lo stato di guerra sarà deliberato solo dalla Camera dei deputati. Assistiamo già a molte “forzature”. Sappiamo solo dopo tempo che i nostri soldati sono stati inviati in un certo posto. Saranno “solo” 140 i militari italiani schierati in Lettonia? In simili situazioni ci dovrebbero essere numerosi gradi di discussione pubblica sia nel Parlamento italiano sia in quello europeo.
Anche il Presidente del Consiglio Renzi, ha richiamato più volte il pensiero di Dossetti per sostenere la necessità di modificare il bicameralismo paritario…
Troppe volte e troppo fortemente si è sfruttato il nome di Dossetti. Per me, Dossetti era ed è rimasto sempre un monaco.
Per Dossetti però dei cambiamenti nella Costituzione erano possibili…
Nel ’48 si prese in considerazione la possibilità di un futuro rinnovamento della Costituzione, sempre custodendone lo spirito democratico e le strutture fondamentali. Ricordo che Roberto Ruffilli, dossettiano, senatore componente della Commissione per la riforma della Costituzione e dello Stato, fu assassinato nel 1988 dalle Brigate rosse. Molto tempo dopo, cioè, i terribili anni di fuoco del terrorismo. Ruffilli e tutti coloro che erano vicini a Dossetti operavano per l’attuazione piena della Costituzione, impedendone lo stravolgimento. Già allora si capiva quali erano gli intenti prevalenti.
Professor Prodi, diceva che il testo è illeggibile. Questo preoccupa il docente?
Per un alunno o uno studente, questa revisione sarebbe impossibile da imparare. È letterariamente incomprensibile da parte di un ragazzo o di un adolescente. Quando noi eravamo giovani, la Costituzione poteva essere letta e studiata in classe nella sua limpidezza e chiarezza. Già oggi, la Costituzione si studia a scuola solo grazie al buon impegno di bravi insegnanti. E ora che un articolo di 4 righe si è allargato a 40 pagine, come chiedere a uno studente di imparare la Costituzione italiana, la Carta fondamentale del Paese a cui appartiene o dove vive? Ci sono inoltre un’infinità di confusioni. Sarà proibitivo proprio dal punto di vista fisico.
L’ANPI che ha sempre operato per portare la Costituzione italiana nelle scuole è fortemente impegnata per il No…
Lo credo bene.
Pubblicato lunedì 31 Ottobre 2016
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