«Carlo Smuraglia, il Prof come in studio lo chiamavamo affettuosamente, era un uomo con le spalle larghe. Non è che si facesse impressionare facilmente, ma era rimasto amareggiatissimo per il fango gettatogli addosso da Libero il 29 agosto del 2016 con un articolo a firma Giancarlo Perna, dal titolo L’irriducibile partigiano che fa a pugni col premier», ci racconta l’avvocato Ettore Zanoni che su mandato dell’allora presidente nazionale Anpi nel novembre del 2016 ha querelato il giornale di destra per il contenuto diffamante di quel testo.
Attenzione alle date: siamo nel pieno della campagna referendaria sulla riforma costituzionale targata Renzi e Boschi. E l’Anpi e il suo presidente, dopo un dibattito intenso e trasparente avevano deciso di sostenere la campagna per il No, impegnandosi in una capillare raccolta firme. C’era consapevolezza che vi erano all’interno dell’associazione anche opinioni dissenzienti. Cosa “assolutamente lecita e normale” recitava una nota del Comitato nazionale in cui si chiedeva però a chi non condivideva il No al referendum di tenere “comportamenti che non danneggino l’Anpi e che cerchino di conciliare il dovere di rispettare le decisioni, con la libertà di opinione”.
Appena presa la decisione, l’Anpi viene fatta oggetto di un vero e proprio attacco politico e mediatico che vede protagonisti non solo il centrodestra ma anche pezzi del Pd, in prima fila Maria Elena Boschi, che arriva a dire che “i veri partigiani” avrebbero votato Sì al quesito mentre chi optava per il No, sinistra e Anpi, si sarebbe trovato a condividere la stessa posizione di CasaPound. Insomma, una provocazione bella e buona, di cui non si sentiva il bisogno. Su quella riforma Renzi aveva giocato molte delle sue carte, arrivando a promettere che in caso di sconfitta si sarebbe ritirato dalla politica. E sconfitta fu: il 4 dicembre il 59 per cento degli elettori si oppose alla manomissione della Costituzione. Lo ricordiamo per sottolineare che sulla questione il clima era surriscaldato e aspro. E, appunto, non mancarono colpi bassi.
È in questo quadro che si inserisce la vera e propria azione di killeraggio del foglio di destra. «Quell’articolo – dice Zanoni – era quanto di più lontano vi possa essere dal giornalismo: non c’erano fatti ma solo allusioni e falsità. Avevano preso la vita di Smuraglia, la sua giovinezza e la scelta resistenziale, il suo passato di avvocato, di docente universitario, di parlamentare, fino alla presidenza dell’Anpi e l’avevano passata al tritacarne per servire ai propri lettori il ritratto di un uomo ridicolo, ligio agli ordini di partito, senza spina dorsale e, forse, pure criminale. Insomma, uno che non si poteva e doveva permettere di difendere le ragioni del No al referendum confermativo. Una operazione indegna».
Sono passati quasi sette anni da allora. Tanti, troppi. Nel frattempo Smuraglia ci ha lasciato (è scomparso il 30 maggio 2022) e non ha potuto rallegrarsi per una sentenza arrivata il 20 dicembre di quell’anno e depositata nel febbraio 2023 che contesta al giornalista di Libero e all’allora direttore responsabile della testata, Piero Senaldi (che avrebbe dovuto controllare quanto pubblicato sulla testata) il reato di diffamazione a mezzo stampa. Gli imputati sono stati condannati, in solido tra loro, al risarcimento del danno in favore delle parti civili da liquidarsi in sede di giudizio civile. A richiesta delle parti civile Perna e Senaldi sono stati condannati anche al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva di 2.500 euro ciascuno in favore di ciascuno degli eredi di Smuraglia intervenuti in giudizio e di 8.500 euro in favore dell’Anpi, “dovendo – è scritto nella sentenza – fin d’ora ritenersi provato sino a tali importi il danno patito”.
Colpire l’associazione nazionale partigiani è da subito l’obiettivo di Libero. Già, ma come? Con lo scontro delle idee? Entrando nel merito della questione referendaria? Nemmeno per sogno, in quell’articolessa piena di basse allusioni, alla posizione dell’Anpi sulle riforme Perna dedica poche righe. Non c’è nell’articolo, è scritto nel dispositivo nella sentenza, “alcun reale intento di informare i lettori sulle posizioni assunte dalla persona offesa in merito al referendum”. Quello che preme a Perna è randellare il presidente dell’Anpi. Riversandogli addosso una montagna di fango. “Sappiamo quanto basta per azzardare un ritratto del professor Smuraglia” sentenzia il giornalista. Peccato che sia un ritratto deformato e deformante. D’altronde, pur di confezionare le sue tesi Perna non va tanto per il sottile. Sfida tutto, anche il buon senso: per dire, è arrivato a sostenere che “è il momento di storicizzare il Duce come la Francia fece con Napoleone”.
Ma torniamo all’Anpi e all’articolo di Libero. «Tutto era finalizzato a distruggere la figura di Smuraglia, a metterlo in ridicolo con toni irridenti e diffamatori – continua Zanoni –. Tutto era costruito sull’illazione, sullo scherno, da cui è difficile difendersi. Smuraglia, uomo del Pci “zitto e Mosca”; Smuraglia avvocato dell’accusa nel processo Lockheed che condannò il Psdi Mario Tanassi per “consumare la vendetta postuma del Pci” nei confronti dei socialdemocratici per la scissione del 1947. E, cosa più grave di tutti, Smuraglia il quasi assassino, catapultato a forza a Codevigo, in provincia di Padova, dove, il 28 aprile 1945, 136 fascisti vennero uccisi dai partigiani. Nulla c’è che collochi Smuraglia a Codevigo in quei giorni. Nulla che possa anche lontanamente far pensare a un suo coinvolgimento nell’eccidio. Nulla nelle ricostruzioni storiche e giudiziarie». Eppure alla vicenda di Codevigo vengono dedicate la bellezze di 40 righe. Scritte, off course, senza alzare il telefono, interpellare Smuraglia e raccogliere una sua dichiarazione in merito. Alla faccia della deontologia professionale!
Perna in mancanza di fatti deve intingere la sua penna nell’inchiostro avariato delle basse insinuazioni: “Ignoro se Smuraglia fosse lì con i commilitoni assassini – scrive –. Certamente c’era la Brigata Garibaldi comandata da Boldrini, il futuro presidente Anpi”. Bulow è addirittura accusato senza mezzi termini di essere “l’ideatore dell’eccidio” insinua Perna, “ma i giudici lo assolsero”. Ed è, anche questa, una inesattezza o, se volete, una menzogna. «Boldrini – sottolinea Zanoni – non fu assolto per il semplice motivo che non fu neanche processato e le indagini furono tutte archiviate. Ricordo poi ufficiali alleati che interpellati sull’eccidio dissero che Boldrini non c’entrava nulla».
Dunque, dei quattro presidenti che fino a quel momento avevano guidato l’Anpi «due, Boldrini e Smuraglia, vengono associati a un fatto criminoso» dice l’avvocato Zanoni. Colpendo Smuraglia Libero vuole gettare un’ombra cupa sulla stessa Anpi. Che non a caso viene descritta come “un modello d’intolleranza”, composta da “dei Bella ciao fermi a 70 anni fa”.
Inesattezze e falsità costellano tutto l’articolo. Come quando viene attribuito a Smuraglia un appello alle autorità di pubblica sicurezza affinché non fosse concesso a CasaPound né l’uso del suolo pubblico né il saluto istituzionale in riferimento al raduno organizzato dai neofascisti a Chianciano nel settembre 2016. Richiesta più che legittima, intendiamoci, solo che a farsene promotori erano stati esponenti locali dell’Anpi e non Smuraglia. Macchisenefrega, deve aver pensato il nostro cronista. L’episodio di Chianciano gli serve per affermare che “di liberale nella psicologia smuragliana non vi sia nulla”. E, visto che c’è, paragona l’Anpi a “modello di intolleranza” e le parole del suo presidente (mai pronunciate, come abbiamo visto) a “un mattinale dell’Ovra”. Insomma, ed è il cruccio che ha angustiato Smuraglia fino agli ultimi giorni, era palese la volontà di voler distruggere la sua persona. Con l’aggravante che di fronte alla calunnia, ai “si dice”, è difficile difendersi.
La condanna dei giudici rappresenta, continua l’avvocato Zanoni, «un elemento politico forte. Si tratta di una sentenza obiettiva, financo modesta per quel che riguarda la provvisionale stabilita, ma allo stesso tempo rigorosa nelle conclusioni cui giunge rispetto al contenuto dell’articolo. Di cui non salva nulla. E soprattutto chiarisce che non di diritto di cronaca e di critica si tratta, ma di allusioni ingiuriose». D’altro canto la Cassazione sulla questione è molto chiara: “in tema di diffamazione a mezzo stampa, l’applicabilità della scriminante rappresentata dalla continenza verbale dello scritto che si assume offensivo va esclusa allorquando vengano usati toni allusivi, insinuanti, decettivi, ricorrendo al sottinteso sapiente, agli accostamenti suggestionanti, al tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato, all’artificiosa drammatizzazione con cui si riferiscono notizie neutre e alle vere e proprie insinuazioni”. Conclusione: quella di Perna, che pensava di mettersi al riparo dalle eventuali querele con la sibillina frasetta “ignoro se Smuraglia fosse lì con i commilitoni assassini”, appare per quello che è: una scaltrezza puerile.
Correttezza, distacco, imparzialità, verifica delle fonti sono concetti che a Libero devono apparire paccottiglia da anime belle. L’importante è lo scopo politico da raggiungere. Certo è che se prima di quell’articolo navigando in rete si fossero accostati i nomi Smuraglia e Codevigo non sarebbe uscito nulla: da quel 26 agosto, invece, quella menzogna viaggia su Internet. E più viaggia, più si ramifica. Libero ricorrerà in appello, e la strada si allunga, ma Zanoni ci spiega che «una volta che la sentenza sarà passata in giudicato e andremo nel civile chiederemo la deindicizzazione di quell’articolo. È una questione di verità e giustizia. Lo dobbiamo alla memoria del Prof».
Giampiero Cazzato
Pubblicato martedì 6 Giugno 2023
Stampato il 22/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/interviste/la-grandezza-di-smuraglia-e-gli-scheletri-di-libero/