Si è concluso in questi giorni con una pubblicazione in volume il progetto «Noi, compagne di combattimento… I Gruppi di difesa della donna, 1943-1945» nato da un’idea del Coordinamento donne dell’Anpi, sostenuto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri in occasione del 70° anniversario della Resistenza e della guerra di Liberazione e presentato in anteprima a Torino presso il Teatro Carignano il 14 novembre 2015. L’ obiettivo primario del progetto è stato quello di colmare una lacuna storiografica, censendo e mappando tutti i documenti cartacei prodotti dai Gruppi di difesa della donna su territorio nazionale, creando un archivio digitale che permetta di localizzare gli enti conservatori – e di conseguenza le zone in cui operava l’organizzazione di massa –, di stimare la quantità delle carte conservate e di conoscere l’attività organizzativa e politica delle donne durante la Resistenza.
Marisa Ombra, vice presidente dell’Anpi nazionale, in apertura al Convegno aveva ricordato la prima riunione dei Gdd dell’Astigiano a cui partecipò nel 1944 in veste di giovane staffetta di Agliano: «Eravamo riunite intorno a un tavolo, in una calda cucina contadina, una ventina di donne. Immaginiamole per un istante: cresciute nel fascismo, conoscevano poche parole all’infuori di quelle che si pronunciavano in famiglia: credere, obbedire, combattere. Quelle che stavano scritte sui muri delle case. Non ricordo cosa dissi. Ricordo, invece, come fosse ieri, l’atmosfera di attenzione, quasi di rivelazione, che aleggiava in quella cucina: come l’attesa di un nuovo mondo che sarebbe stato svelato».
Da quali considerazioni, storiche e sociali, sui Gruppi di difesa della donna ha preso avvio il progetto? Lo scopriamo con un’intervista a Marisa Ombra.
Quali sono gli effetti dirompenti conseguenti alla nascita dei Gruppi di difesa della donna?
La nascita dei Gruppi di difesa della donna significa molte cose. Prima di tutto una rottura epocale: la prima volta delle donne in guerra. Partecipazione diretta mai avvenuta prima. Il Comitato di Liberazione Nazionale, organo di direzione della Resistenza, le accomuna ai partigiani ed esse stesse si presentano come «compagne di combattimento». Un fatto che modifica l’idea stessa di Resistenza, quel tipo di Resistenza tramandata dalla storiografia fino ai primi anni Settanta, in cui si racconta unicamente di un pugno di ragazzi che, armi in mano – anche se poche – combattevano in condizioni terribili – due inverni freddissimi – contro uno dei più attrezzati eserciti del mondo. L’organizzazione dei Gruppi di difesa della donna, invece, può essere considerata uno tra gli eventi che ha mobilitato buona parte dell’Italia. Per questo è importante studiarne i documenti e ricostruire le biografie delle sue attiviste, spesso rimaste anonime.
La lotta di liberazione delle donne ha caratteristiche peculiari? Quali?
Le donne sono state l’anima di questa mobilitazione: una sorta di fronte interno che toglieva terreno agli occupanti, che si muoveva alle loro spalle. Le donne provvedevano a nutrire i partigiani, a vestirli, li avvertivano della presenza dei tedeschi, procuravano loro le armi, attraversavano posti di blocco, diventavano staffette, ma non solo, facevano i turni di guardia, prendevano esse stesse le armi e sparavano quando era necessario.
Parri nel novembre del 1945 disse che senza le donne non ci sarebbe stata la Resistenza. Si tratta di un’affermazione importante, purtroppo trascurata per molti anni dalla storiografia ufficiale.
La partecipazione delle donne alla Resistenza cambiò anche il loro ruolo nella famiglia e nella società?
Certo. Le donne vennero trasformate dalla Resistenza: passarono dalla condizione di madri che avevano come unico compito quello di fare figli per la patria – per mandarli in guerra –, alla scoperta di doti fino ad allora inespresse: il coraggio, l’inventiva, la capacità di fare tutto ciò che avevano visto fare solo ai ragazzi. Questo fatto può essere interpretato come l’ingresso delle donne nel mondo come soggettività, come titolari di diritti, come cittadine. Si tratta dell’inizio di una lunga e lenta battaglia, innanzitutto per scoprire in quanti e infiniti modi erano state da sempre discriminate ed andare contro queste discriminazioni per far emergere quella parte di sé rimasta latente e soprattutto per prendere coscienza di ciò che potevano essere e diventare, cioè partecipando attivamente alla crescita del proprio Paese.
Queste parole di Marisa Ombra fanno comprendere appieno l’importanza del progetto, per il quale17 ricercatrici e ricercatori hanno collaborato alla ricognizione dei documenti custoditi negli archivi degli Istituti di storia della Resistenza, nelle sezioni locali di Anpi e di Udi delle regioni Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche e del Sud Italia. Il censimento è terminato con la redazione di oltre 1.000 schede ora pubblicate online nel sito dell’Anpi nazionale alla pagina http://gdd.anpi.it. Si tratta di un ottimo strumento sia per la ricerca, sia per la didattica della storia e fa conoscere ad un ampio pubblico la storia dei Gdd, organismo in cui, come ci suggerisce Anna Bravo, «le donne si organizzano da se stesse e per se stesse: per se stesse comprende ovviamente la Resistenza, cui sanno che è legato il loro destino».
I risultati del progetto e le considerazioni finali delle curatrici Barbara Berruti, Luciana Ziruolo e Valentina Colombi, sono raccolti in un agile volume edito dall’Anpi il cui titolo riprende il nome del progetto e che nella prima parte propone le relazioni presentate al Teatro Carignano di Torino.
Pubblicato mercoledì 13 Dicembre 2017
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