Il grande potere della musica permette di far dialogare presente e passato. Ottant’anni fa veniva eseguito per la prima volta il brano Quatuor pour la Fin du Temps nel campo di prigionia VIIIA di Görlitz, dove era prigioniero Olivier Messiaen, compositore e autore dell’opera. L’ufficiale nazista responsabile dello Stalag era un appassionato di musica e permise al compositore di lavorare sulla stesura di un concerto. Detenuti insieme allo stesso Messiaen erano altri tre musicisti – un violoncellista, un violinista e un clarinettista – ecco perché il Quatuor nacque come breve trio, per poi arricchirsi del pianoforte, suonato dallo stesso compositore. Domani 13 marzo l’opera sarà al centro del progetto La fine del tempo, un documentario ideato da Matteo Manzitti e diretto da Adel Oberto che propone una riattualizzazione del concerto di Messiaen insieme a riflessioni sul lavoro dell’autore e sul tema del tempo.
Il docufilm alterna i brani musicali eseguiti dall’Eutopia Ensemble a riprese di paesaggi naturali, facendo intersecare linguaggi artistici e interventi di esperti in ambiti diversi. Il documentario è stato registrato tra l’Accademia di Musica di Pinerolo, il Dipartimento di Fisica dell’Università di Milano e il Sacrario della Benedicta, sull’Appennino ligure, eretto nel luogo dell’omonima strage che si consumò nell’aprile del 1944 in cui persero la vita 147 partigiani, coinvolti nello scontro con le forze nazifasciste o fucilati in seguito ai rastrellamenti. In un evento streaming, l’Eutopia Ensemble, realtà nata a Genova nel 2012 dall’incontro di compositori e strumentisti di formazione classica, propone un percorso che abbraccia musica, storia, religione, filosofia, fisica e ornitologia. Abbiamo intervistato Matteo Manzitti, direttore artistico di Eutopia Ensemble e ideatore del progetto La fine del tempo.
Perché nasce Eutopia Ensemble?
Il progetto Eutopia è nato per permettere a Genova di confrontarsi con la musica classica contemporanea che mancava dall’attività culturale cittadina da diversi decenni. L’ensemble non ha voluto semplicemente offrire un repertorio poco esplorato, ma ha puntato sulla proposta di un gruppo e non di un singolo, mirando a intercettare un pubblico curioso e portando musicisti di grande valore. Il risultato è che oggi siamo una realtà riconosciuta e supportata a livello istituzionale, con una pluralità di persone di più generazioni che considerano la nostra offerta seria e affidabile. E non è un dato irrilevante per una città “burbera” come la nostra!
Quale riscontro avete avuto nei vostri anni di attività?
Eutopia Ensemble non è solo un progetto performativo, ma anche divulgativo. Abbiamo iniziato nella stagione 2012/13, quando avevamo un’età considerata molto bassa per il nostro ambito. E il principio alla base era anche quello: dei giovani che proponessero musica classica per scardinare l’idea di musica “vecchia”. E ci siamo riusciti: abbiamo disinnescato un pregiudizio.
Cosa significa mettere in atto una narrazione musicale sul concetto di tempo, soprattutto oggi, in cui il tempo è dilatato e contratto a causa della pandemia?
Ha molto a che vedere, ma non in maniera esplicita e diretta: non credo che farsi dettare i temi dalla cronaca ripaghi. La domanda sul tempo ci sarà sempre, perché paradossalmente è atemporale. Cambierà il modo in cui rispondiamo perché cambiano i paradigmi e il pensiero, ma non si chiude l’argomento. Nel docufilm La fine del tempo partiamo dalla storia di un brano che aveva esplicitamente nelle sue intenzioni la sospensione del tempo, per fare una riflessione interdisciplinare sulla natura del tempo, abbracciando la fisica, la filosofia e la spiritualità.
Theodor W. Adorno sosteneva che, dopo Auschwitz, non fosse più possibile fare una poesia. Cosa significa traslare questa visione in ambito musicale?
Ricordo un commento su questo aforisma di Adorno che diceva che dopo Auschwitz l’unica cosa da fare era proprio la poesia. E basta raccontare le cose come sono avvenute per entrare in profondità nelle implicazioni coinvolte. Nell’opera di Messiaen c’è una incredibile testimonianza di una importante esperienza estetica, anche in condizioni di privazione materiale: un campo di prigionia, dove detenuti e carcerieri collaborarono per realizzare un concerto, in cui l’uso della musica non fu ipocrita. Un brano della durata di 45 minuti eseguito nel gelo dell’inverno polacco, con un linguaggio musicale nuovo anche per il suo compositore e una tecnica linguistica di composizione edificata durante la prigionia. Eppure, centinaia di prigionieri si accalcarono per ascoltare un brano tutt’altro che consolatorio.
La musica può esercitare una funzione memoriale più di un luogo fisico?
Sì. Il sistema di ancoraggio dei ricordi legato alla musica è più intenso rispetto a quello con gli oggetti fisici. La musica si lega alle esperienze di ciascuno e rievoca sensazioni molto più di quanto non faccia una fotografia, ad esempio. La natura della musica è quella di mettere incessantemente in dialogo (ma anche in conflitto) le dimensioni temporali e può ripetere ciò che ha già detto, contrariamente al discorso verbale, che risulta legato al flusso temporale. La compresenza delle dimensioni temporali in musica testimonia ciò che in filosofia sostengono gli eternisti, e anche la teoria fisica secondo cui il tempo si dipana tutto insieme, e passato, presente e futuro sono sincronici. In un certo senso, evidenzia l’eternità in una visione antientropica.
Che ruolo ha la crossmedialità nel progetto Eutopia Ensemble?
Siamo convinti che la cultura debba coordinare un’operazione più profonda che non sia solo esteriore, ma un lavoro sulla coesione del sapere. L’unità della cultura deve lavorare sull’attraversamento dei saperi: ecco perché spesso parliamo di transdisciplinarità. La fine del tempo parte da un assioma, da un elemento che è già “attraverso” e non peculiare di un singolo linguaggio e lo declina attraverso le diverse discipline. È un approccio che caratterizza Eutopia Ensemble: il nostro prossimo progetto, ad esempio, sarà sull’alfabeto e sull’operazione di “scorporamento” della componente fonetica da quella grafica.
La fine del tempo sarà disponibile in streaming fino al 20 marzo. Come mai questa data?
La data non è casuale. Il Quatuor pour la Fin du Temps di Olivier Messiaen è stata una grande composizione scritta in un profondo inverno. In un certo senso, ha dimostrato che ci si poteva scaldare, permettendo a quei prigionieri di trovare sollievo nell’ascolto di questa musica. Noi, in senso figurato, siamo in un “profondo inverno” che si chiude proprio il 20 marzo, per lasciare posto alla primavera. Inoltre, siamo a un anno dal mese più difficile del 2020 e questa scelta cerca di rappresentare un conforto anche per noi. E poi, la data è a ridosso dell’anniversario della strage della Benedicta.
A tal proposito, qual è il vostro legame con il sacrario della Benedicta?
Credo che i posti trattengano le energie degli avvenimenti del passato che lì si sono consumati e la composizione di Messiaen ci parlava di un altro mondo. Perciò, scrivere e girare alcuni pezzi di La fine del mondo al sacrario della Benedicta rispondeva all’esigenza di isolarci per raccontare quella storia, preservando il dolore e la profondità della musica e provando a restituire quell’emozione.
Da musicista, quale può essere un possibile scenario futuro per la musica live?
Non è la prima volta che l’umanità affronta una pandemia, eppure noi non abbiamo mai avvertito gli echi di quelle passate: quindi ci sarà un processo di “normalizzazione”, ma non abbiamo idea di quanto durerà. In ambito musicale, lo streaming, il cui utilizzo è sicuramente migliorato rispetto ai primi mesi, non è completamente esaustivo: traslare le modalità di comunicazione dal live all’online non è possibile utilizzando sempre lo stesso linguaggio. Il nostro docufilm si è posto questa domanda e ha provato a completare la risposta affidandosi anche al linguaggio del montaggio, che dà allo spettatore un senso narrativo diverso. Perciò credo che il rapporto con la tecnologia proseguirà, anche quando i concerti torneranno a essere in presenza.
In conclusione, dov’è eutopia, il “bel luogo” a cui fate riferimento con il vostro nome?
L’idea di mettere in piedi un’entità nuova in un panorama di “aridità” culturale totale era la nostra utopia. Il contesto di disinteresse verso la musica di ricerca in cui siamo nati era un deserto: e in un deserto, quello che puoi immaginare è un’oasi! Ed è proprio quello che abbiamo provato a fare con Eutopia Ensemble: un luogo di ricerca musicale, un festival, il tentativo di costruire attorno anche una piccola economia e una certa idea, tanto del lavoro, quanto della musica. La fine del tempo è progetto di Eutopia Ensemble realizzato con GoG – Giovine Orchestra Genovese, Unione Musicale di Torino, Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse, Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, Associazione Memoria della Benedicta, Polo del ’900, verrà presentato in streaming sul canale YouTube e sulla pagina Facebook di Eutopia Ensemble domani alle 21 e sarà disponibile online fino a sabato 20 marzo. L’evento in streaming sarà trasmesso anche sulla pagina Facebook di Patria.
Pubblicato venerdì 12 Marzo 2021
Stampato il 22/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/primo-piano/la-fine-del-tempo-quando-la-musica-unisce-lo-stalag-di-gorlitz-alla-benedicta/