Genova, luglio 2001. Durante i giorni in cui nella città ligure si tiene il G8 perde la vita il giovane Carlo Giuliani, avvengono i fatti della scuola Diaz e si registrano le pesanti violazioni dei diritti umani nelle caserme, in particolare in quella di Bolzaneto. Per alcune di quelle vicende, nel 2015 l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo. Il Presidente della Commissione Diritti umani del Senato, Luigi Manconi, dopo l’ammonimento propose una commissione monocamerale di inchiesta per far luce su quanto avvenuto.
Presidente Manconi, a Genova, nel 2001, la democrazia venne “sospesa”?
È ancora necessario capire quanto successo a Genova durante il G8. E certamente abbiamo bisogno di alcune risposte. In primo luogo sulla politica del controllo della piazza, ovvero sulla gestione dell’ordine pubblico in quei giorni, in quella città. Tante furono le anomalie, tanti gli errori e anche i momenti in cui emersero forzature che è legittimo porsi alcune serie domande su una eventuale strategia – appunto, da verificare – che puntava a una precipitazione della situazione. E in sostanza l’interrogativo è: ci si è limitati a garantire l’ordine pubblico e in questa attività furono commessi palesi errori, oppure dietro quella gestione, spesso sgangherata, c’era la volontà politica di drammatizzare la situazione, arrivare a un momento di scontro aperto con i movimenti sociali e trasmettere un messaggio di tipo autoritario che segnasse il senso di una svolta? Vale a dire: d’ora in poi, l’ordine pubblico viene gestito così, secondo una volontà di diffusa repressione. Questo è il cuore politico dei dubbi che stanno dietro quella vicenda. Capire cosa è accaduto, perché è accaduto e chi ha voluto che accadesse, se è vero, come è vero, che secondo Amnesty International in quelle circostanze, a Genova, vi fu una sorta di sospensione dello stato di diritto.
La Commissione monocamerale che fine ha fatto?
Si è constatato ancora una volta che non c’era la volontà di arrivare a un’indagine che a distanza di tre lustri ci aiutasse a dare una lettura storico-politica adeguata alla gravità dei fatti.
La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, lo scorso anno, ha condannato l’Italia per i soprusi alla scuola Diaz…
Questo è il secondo importante piano della questione. E richiama una fondamentale questione normativa: in Italia non esiste il reato di tortura. La Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura risale al 1984, l’Italia l’ha ratificata nel 1988. L’accoglimento formale è attestato dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 1° gennaio 1989. I conti sono presto fatti: stiamo parlando di 28 anni di attesa affinché nel nostro ordinamento vi sia la fattispecie penale del reato di tortura. Come la Corte di Strasburgo ha sottolineato, la sua assenza ha impedito di qualificare sotto il profilo giudiziario, e di sanzionare sotto il profilo penale, comportamenti da parte delle forze di polizia indubitabilmente avvenuti nelle giornate di Genova. Analogo rilievo è stato fatto dal tribunale di Asti, chiamato a giudicare del comportamento di alcuni appartenenti della polizia penitenziaria che effettuarono trattamenti inumani e degradanti nei confronti di un detenuto affidato alla loro custodia. E i casi simili sono molti altri.
Il ddl per introdurre il reato è fermo al Senato…
Il disegno di legge presentato da me, con i senatori Paolo Corsini e Mario Tronti, viene presentato il 1° marzo 2013, cioè nel giorno di apertura dell’attuale legislatura, e rispondeva esattamente a quanto previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite. Cioè la tortura è in primo luogo, sotto il profilo giuridico, un comportamento derivante dall’abuso di potere. Questa formula è cruciale: è tortura l’atto, la violenza fisica e psichica che discende da un abuso di potere. Si tratta di quello che per il diritto è un “reato proprio”. Vuol dire un reato commesso da pubblici ufficiali o da chi esercita pubbliche funzioni. Dunque la tortura come abuso di potere, ossia come trattamento effettuato da chi ha legalmente nella propria custodia, sotto il proprio controllo o dominio e la propria autorità un’altra persona. Quel “legalmente” è fondamentale. Per esempio: io, poliziotto, ho fermato una persona e mentre la custodisco in caserma, quando dunque per legge ho il diritto di trattenerla all’interno di un edificio, le infliggo un trattamento crudele. Questa è tortura. Altro esempio: io sono un medico che in un reparto psichiatrico di diagnosi e cura ho sottoposto, legalmente, qualcuno a trattamento sanitario obbligatorio (TSO), dopodiché, mentre questa persona è nella mia custodia, in quel reparto, la sottopongo a tortura. Esattamente come accaduto a Franco Mastrogiovanni, per 87 ore non idratato (il maestro elementare di Castenuovo Cilento, dichiarato morto il 4 agosto 2009 nel reparto psichiatrico del Vallo della Lucania, ndr). Il ddl però è stato modificato e, a mio avviso, ne è stata profondamente cambiata l’ispirazione.
Come?
Il reato è stato valutato come accanimento contro le forze di polizia. Questo è il punto cruciale: una lettura analfabeta, ignorante, superficiale, tutta politicistica, della questione ha fatto sì che non lo si è voluto qualificare come “reato proprio”, perché avvertito come manifestazione di ostilità contro la polizia. Laddove, ovviamente, è vero il contrario. Ritengo che il reato di tortura, quando si verifica e viene riconosciuto come responsabilità di un poliziotto, corrisponde al principio generale – fondamento del nostro diritto – che la responsabilità penale è personale. Dunque attribuire a un poliziotto che ha commesso torture il reato di tortura significa, molto semplicemente, sostenere che tutti gli altri poliziotti che non hanno commesso un atto di tortura, non sono torturatori. L’onore della divisa, il prestigio del Corpo e tutte queste virtù si salvaguardano distinguendo molto nettamente i responsabili di reato dalla stragrande maggioranza degli altri che di quel reato non sono responsabili.
Poi cosa è accaduto?
La situazione è precipitata: il primo testo prodotto dal Senato va alla Camera e viene ulteriormente peggiorato, poi torna al Senato e in Commissione Giustizia accadono fatti notevolmente gravi. Fino a quel momento, il ministero dell’Interno, il Capo della Polizia erano rimasti appartati, dopodiché, invece, entrano pesantemente in scena e legittimano una agitazione molto aggressiva da parte di alcuni – insisto, alcuni – sindacati di polizia. Così il risultato è un nuovo testo che, laddove la Convenzione dell’ONU definisce la tortura “ogni qualsiasi violenza fisica o psichica”, introduce nel testo il plurale “le violenze fisiche e psichiche…”. Ma neppure quel plurale è considerato sufficiente e così vi si accompagna prima l’aggettivo “reiterate” violenze fisiche e psichiche e in seguito un “verificabile trauma psichico”. Questa formula renderebbe ancora più difficile l’accertamento della tortura. Per capirci: la più frequente, la più classica violenza psichica, quella dell’iconografia cinematografica, la roulette russa, secondo la letteratura scientifica internazionale non produce necessariamente un trauma psichico clinicamente accertabile.
È un modo per rendere inapplicabile il reato di tortura?
Ricordo in una precedente legislatura la discussione sullo stesso tema: lo stesso passaggio – la pluralità degli atti di violenza, la cui ripetizione avrebbe dato luogo alla tortura – provocò un osceno balletto delle cifre, cioè se servissero sei o sette azioni violente ripetute. Ciò indusse una persona seria come l’allora Presidente della Commissione Giustizia della Camera, Gaetano Pecorella, di Forza Italia, a sospendere la discussione. Riteneva si fosse passato il segno del decoro legislativo. Lo scorso luglio, nell’Aula del Senato, siamo riusciti a ottenere che la parola “reiterate” fosse emendata. Ma a quel punto è scattato un ostruzionismo da parte delle opposizioni che ha impedito la prosecuzione della discussione.
Riprenderà a settembre, alla riapertura dei lavori?
Potrò sbagliarmi, ma ritengo che siamo su un binario morto.
Perché questa previsione?
Penso che la classe politica italiana, nella sua maggioranza, soffra di un vero e proprio complesso di inferiorità nei confronti delle forze di polizia che le impedisce scelte autonome corrispondenti all’interesse collettivo.
Un complesso d’inferiorità?
Parto dal fatto che l’anniversario della morte di Federico Aldrovandi, a Ferrara, fu “onorato” da un dibattito che comprendeva me, il Segretario generale del SILP-CGIL e il Segretario nazionale dell’Associazione funzionari di polizia. Ciò dimostra la possibilità di uno spazio per una riflessione franca e intelligente all’interno delle forze di polizia.
Avrebbe votato a favore del testo, nonostante tutto?
L’eliminazione di “reiterate” mi induceva a votarla, la persistenza della formula “un trauma psichico accertato clinicamente” mi induceva a essere massimamente perplesso e probabilmente a non votare. Politicamente mi trovavo in una situazione di massima incertezza e perplessità, di massimo dubbio. Lo dichiaro perché è giustissimo e corrisponde alla verità dei fatti e delle opinioni: una parte consistente delle persone che si riconoscono nella mia attività dicono “meglio una legge mediocre che niente”, ma un’altra metà dice “meglio niente piuttosto che una legge simile”.
Manconi, lei si è occupato da vicino del caso Regeni e promosse la conferenza stampa dei genitori al Senato…
Sono rimasto scosso e lo rimarrò per sempre dalle parole della madre di Giulio Regeni: “Ho visto sul volto di mio figlio tutto il male del mondo”. E intendeva proprio quello che anch’io ritengo il male assoluto, ovvero la tortura.
Perché non è solo l’esercizio di violenza fisica contro il corpo fisico di una persona: è la manifestazione della volontà di annichilimento della persona, della sua identità e della sua dignità. È la sopraffazione – vorrei dire… spero che il mio linguaggio sia inteso – la tortura è la sopraffazione dell’anima di una persona.
A Roma, si riuniranno per la terza volta Pm italiani ed egiziani. Nei giorni scorsi, Rai3 ha mandato in onda uno speciale con nuove rivelazioni…
Il Governo italiano tace. Finora, di fatto, ha delegato ai genitori di Giulio gran parte della responsabilità pubblica e politica di esigere la verità a proposito della morte di un cittadino italiano in Egitto. Le associazioni A Buon diritto, Amnesty International e Antigone hanno promosso una petizione su Change.org già sottoscritta da tanti cittadini. Gli italiani chiedono la verità.
Pubblicato giovedì 8 Settembre 2016
Stampato il 25/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/interviste/genova-la-tortura-e-quel-luglio-2001/