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“Chi parla oggi dell’annientamento degli armeni?”. Con questa frase, pronunciata nel 1939 per giustificare l’invasione della Polonia, Adolf Hitler dimostrava quanto l’oblio fosse un’arma potente quanto la violenza stessa. Il genocidio armeno del 1915 non fu solo il primo del XX secolo, ma anche il precedente diretto che ispirò i meccanismi dell’Olocausto. Eppure, mentre la Shoah è riconosciuta e commemorata a livello globale, il genocidio armeno è ancora oggetto di negazione e silenzio, in primis da parte della Turchia.
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In questa intervista, esploriamo le radici della negazione turca, la battaglia per il riconoscimento e le conseguenze di un silenzio che dura da oltre un secolo. La voce di Ani Balian, Consigliera Unione Armeni d’Italia, ci guida in una realtà che non può essere dimenticata: lo sterminio genocidiario armeno non è solo una tragedia passata, perché è una ferita ancora aperta che continua a influenzare la geopolitica e i diritti umani nel mondo di oggi. La memoria del genocidio armeno è la memoria di una battaglia per la verità, per la giustizia, e per il rispetto della dignità umana.
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Perché la Turchia non riconosce il genocidio degli armeni?
La questione è complessa. Riconoscere il genocidio armeno significherebbe per la Turchia rimettere in discussione le fondamenta stesse della Repubblica, nata nel 1923 in continuità con la politica dei Giovani Turchi. Quando Mustafa Kemal fondò la Repubblica Turca, nel suo entourage erano presenti diversi esponenti di quel movimento. Nel 1919, alcuni di loro furono processati dai tribunali turchi e condannati a morte per il ruolo avuto nello sterminio degli armeni. Altri, catturati dagli inglesi e deportati a Malta per essere processati, furono però rilasciati in cambio di prigionieri britannici, in assenza di una normativa internazionale che regolasse i crimini di genocidio. A tal proposito, lo storico turco Taner Akçam, tra i pochi intellettuali del Paese a riconoscere il genocidio armeno, ha dichiarato senza mezzi termini: “La Turchia dovrebbe ammettere che i suoi padri fondatori furono assassini, in quanto autori o complici del genocidio”.
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Ammetterlo cosa comporterebbe?
C’è una questione di natura economica e patrimoniale. Se la Turchia riconoscesse il genocidio, dovrebbe restituire i beni confiscati agli armeni deportati, uccisi e sterminati. Di questi beni si sono appropriati lo Stato e famiglie turche, e il loro valore è enorme. Un esempio concreto riguarda le basi militari. Il terreno su cui sorge la base Nato di İncirlik appartiene a un armeno. Lo stesso vale per l’aeroporto di Diyarbakır, che si trova su un terreno di proprietà di una famiglia armena. Il Palazzo presidenziale di Çankaya, sede ufficiale dei presidenti turchi dal 1923 al 2014, originariamente apparteneva a Ohannes Kasparyan, un facoltoso armeno che lo aveva fatto costruire nell’Ottocento. Durante i massacri, Kasparyan fu costretto alla fuga e il palazzo venne espropriato. Successivamente una famiglia turca se ne impossessò, e in seguito l’edificio fu donato a Mustafa Kemal. Da allora e fino al 2014, Çankaya divenne la residenza ufficiale dei presidenti della Turchia. Molte delle ricchezze delle grandi famiglie turche, anche quelle imprenditoriali, sono basate su beni sottratti agli armeni È chiaro che la Turchia non può riconoscere pubblicamente questo aspetto. Inoltre, in Anatolia esistevano circa 2.500 chiese, monasteri, scuole e ospedali, tutti distrutti e depredati. Oggi, di quelle chiese, sono rimaste in piedi solo le mura di una decina di esse. La Turchia dovrebbe, in teoria, ricostruire e restituire questi beni.
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Come giustificano questo negazionismo?
Nel 1915 fu emanata una legge ad hoc che giustificava l’espropriazione dei beni armeni sostenendo che i proprietari li avessero “abbandonati” e che fossero morti a causa di malattie. Oltre alla questione patrimoniale, la Turchia ha cercato di negare il genocidio appellandosi allo stato di guerra. Nel tempo, i negazionisti turchi hanno adottato diverse versioni. Inizialmente, sostenevano che gli armeni fossero una “quinta colonna” al servizio dei russi. Tuttavia, questa teoria non regge: nel 1915 non esistevano aerei, e gli spostamenti avvenivano a cavallo su distanze enormi. Inoltre, l’intellighenzia armena inizialmente riponeva speranze nei Giovani Turchi, prima che questi rivelassero il loro volto ultranazionalista. Non a caso, il 24 aprile 1915 furono proprio gli intellettuali armeni, che avevano creduto nel nuovo governo, i primi a essere arrestati e giustiziati. La teoria della “quinta colonna”, dunque, si smentisce facilmente. Oggi, la narrazione negazionista più diffusa è che gli armeni siano semplicemente morti durante la guerra. Alcuni arrivano persino a sostenere che i turchi non avrebbero avuto le capacità organizzative per compiere un genocidio e che tutto sarebbe avvenuto in modo casuale. Altri, in maniera ancora più assurda, attribuiscono la responsabilità ai tedeschi. Ma la realtà storica è chiara: furono i turchi, con la complicità dell’esercito e della popolazione locale, a pianificare ed eseguire la deportazione e lo sterminio degli armeni.
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Perché il genocidio armeno è meno noto rispetto all’Olocausto?
Non era affatto meno conosciuto. Negli Stati Uniti e in Europa, i giornali ne parlavano quasi ogni giorno. Inglesi, francesi, russi e persino gli americani protestavano contro la Turchia nel tentativo di fermare i massacri. Fu proprio in riferimento al genocidio armeno che, nel 1915, un documento statunitense utilizzò per la prima volta l’espressione “crimini contro l’umanità”. L’Europa e l’America sapevano bene cosa stava accadendo: esistono innumerevoli articoli dell’epoca che lo dimostrano. Ma cosa è successo dopo? Nel 1923, con la nascita della Repubblica turca, la narrazione cambiò. La Turchia divenne improvvisamente un baluardo contro il comunismo, e sotto questa giustificazione l’Occidente scelse di chiudere gli occhi. Non solo Ankara riuscì a passare indenne da quella tragedia, ma continuò a vessare gli armeni anche oltre il 1950, senza che nessuno chiedesse conto di nulla. Perché? Perché la Turchia era un grande mercato e conveniva così.
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Molti armeni della diaspora, sopravvissuti allo sterminio, avevano combattuto nella Resistenza europea però.
Durante la Seconda guerra mondiale molti armeni combatterono tra le file della Resistenza. Alcuni giunsero in Italia con l’Armata Rossa e oggi riposano a Torino. In Francia operava il celebre gruppo Manouchian, i partigiani comunisti dell’Affiche Rouge. Una formazione eroica, guidata da Missak Manouchian, un orfano sopravvissuto al genocidio. Divenuto combattente della Resistenza francese, fu catturato dai nazisti e fucilato il 21 febbraio 1944 insieme ai suoi 22 compagni, armeni e di altre nazionalità, c’era anche un italiano tra loro, un calciatore. Dal 21 febbraio 2024, le salme di Missak Manouchian e sua moglie Mélinée riposano nel Panthéon di Francia. Da sopravvissuto al genocidio al Panthéon: un simbolo di Resistenza e memoria. La stessa parola genocidio nasce per descrivere proprio ciò che accadde agli armeni.
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Dunque la parola genocidio è stata coniata per lo sterminio degli armeni?
Proprio così. Il termine “genocidio” è di Raphael Lemkin, un giurista ebreo polacco. C’è anche un video in cui Lemkin stesso parla di come coniò questo termine proprio in riferimento al genocidio armeno. Anche la tesi di Erdoğan, secondo cui tutti sono morti durante la guerra, è fuorviante. Lui afferma che sia i turchi sia gli armeni hanno avuto delle perdite, ma senza specificare chi ha ucciso chi. È vero che c’era la guerra, e anche i turchi hanno avuto delle perdite, ma è indiscutibile che i turchi hanno massacrato gli armeni che erano propri cittadini.
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Lemkin come elaborò il crimine di genocidio?
A Berlino, nel 1921, un giovane armeno di nome Soghomon Tehlirian, che era sopravvissuto al genocidio, e aveva visto la madre violentata, uccise in piena strada il responsabile di quella tragedia, Talat Pasha noto come capo dei perpetratori del genocidio armeno, insieme a Enver e Cemal (tutti e tre condannati a morte in contumacia nei processi del 1919). Inizia così un processo che suscita una grande eco in tutta Europa. Durante il processo emergono testimonianze, tra cui quelle di soldati tedeschi, generali, pastori protestanti e missionari che si trovavano sul posto. Da queste testimonianze viene rivelato tutto l’orrore di quella tragedia. Tant’è che il ragazzo che aveva ucciso il colpevole viene giudicato non colpevole. Questa vicenda, ha provocato una grande eco e attirato l’attenzione di Raffaele Lemkin, che segue con interesse il caso. Lemkin si rende conto che è accaduto qualcosa che non aveva mai avuto un nome. Si chiede perché un giovane debba farsi giustizia da sé, dato che non esiste una legge che punisca un crimine di tale portata.
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Churchill nel 1941 con l’invasione nazista dell’Urss su quanto accadeva su quelle terre parlò di “un crimine innominabile”.
Questo ossessiona ulteriormente Lemkin e lo spinge a lavorare per anni affinché venga riconosciuta una definizione precisa per questo crimine. Oggi, la parola “genocidio” viene usata in maniera indiscriminata per descrivere qualsiasi massacro, ma in realtà “genocidio” è un termine molto preciso. Prima di tutto, implica un intento: non è necessario che ci sia una guerra, anche se spesso viene sfruttata la guerra come pretesto. Ciò che conta è l’intento di eliminare un’intera etnia o popolazione, in quanto tale basato su un odio etnico puro. Nel 1949, un anno dopo la ratifica della Convenzione sul genocidio, un intervistatore della CBS chiede a Raphael Lemkin, allora professore di diritto all’Università di Yale, il motivo per cui abbia coniato il termine “genocidio”. Lemkin risponde: “Perché è successo agli armeni. E lo ripete due volte: “Perché è successo agli armeni”. In questa intervista, Lemkin afferma chiaramente che il concetto e la parola “genocidio” sono nati dal tragico destino degli armeni. Se l’inventore stesso della parola lo dice, è inutile cercare altre spiegazioni. Forse val la pena ricordare che Lemkim morì senza un soldo e solo.
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Quindi gli elementi per definirlo giuridicamente genocidio ci sono da tempo.
I negazionisti parlano di una cifra di 300.000 morti, ma questa è una stima casuale. La realtà è che la popolazione armena era di circa 2,8 milioni di persone, di cui due terzi furono sterminati. E poi ci furono quelli che sono sopravvissuti, gli “avanzi della spada”, come li chiamano ancora oggi i turchi: bambini orfani, persone mutilate, donne e bambine rapite, violentate, vendute, e costrette a conversioni forzate. Queste atrocità non sono qualcosa di nuovo o inventato. Oggi ci si scandalizza per le storie di schiavi venduti, ma tutto questo è già successo. I treni che trasportavano gli armeni verso la morte esistevano già. C’era infatti la ferrovia che collegava Costantinopoli a Baghdad, e ci sono foto con vagoni piene di gente che documentano queste atrocità. Le camere a gas esistevano già: non erano quelle che conosciamo oggi, ma c’erano chiese dove venivano bruciati vivi gli armeni, o caverne dove venivano rinchiusi e bruciati con la sterpaglia. I concetti di sterminio sistematico erano già presenti, solo che le modalità erano diverse.
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Il genocidio armeno è riconosciuto da numerosi Paesi, tra cui l’Italia e l’Unione Europea. Cosa può dirci?
L’Italia ha riconosciuto ufficialmente il genocidio armeno in due occasioni: la prima nel 2001 e la seconda nel 2019. Il 2 giugno 2016, anche il Parlamento tedesco ha riconosciuto i massacri del 1915 come genocidio, ammettendo al contempo una responsabilità storica della Germania. Pur essendo presenti sul territorio, infatti, i tedeschi non intervennero per fermare lo sterminio.
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Come ha reagito Erdoğan al riconoscimento del genocidio armeno da parte della comunità internazionale?
Quando si parla di riconoscimento, la reazione di Erdoğan è sempre furiosa. Per esempio, era il 12 aprile 2015, il Papa fece una dichiarazione forte davanti al mondo in occasione del centenario del genocidio armeno, che fu un momento straordinario. Io ero a San Pietro. È stato un momento emozionante per tutti gli armeni. Come al solito, richiamò il suo ambasciatore, e i giornali riportarono che l’ambasciatore era stato richiamato, ma non che sarebbe poi tornato dopo due settimane. Questo è un dettaglio che viene sempre omesso. La Turchia sbraita, fa polemiche, ma la verità è che alla fine le cose tornano sempre alla normalità, ma in silenzio. Poi ci sono anche dei gruppi di turchi più estremisti, che ancora oggi negano il genocidio e compiono atti di vandalismo, come accade in Germania e in Francia, dove danneggiano monumenti e memoriali dedicati alla memoria del genocidio armeno.
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Quindi è una pagina di storia rimossa dai libri scolastici in Turchia.
Peggio. Nelle scuole turche insegnano che sono stati gli armeni a uccidere i turchi. Addirittura organizzano gare per vedere chi riesce a scrivere meglio questa versione dei fatti, e premiano gli studenti. Ci sono anche rappresentazioni teatrali nelle scuole turche, dove il “bravo e coraggioso turco” difende la patria dal “cattivo e traditore armeno”. Ecco, sono tutte queste narrazioni che vengono propagate. Così crescono i giovani turchi.
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E nelle scuole italiane e europee?
Ultimamente si trova qualche riga nei libri di scuola italiani, qualcosa in Francia, visto che i francesi sono i più avanti su questo fronte, in Francia infatti è reato negare il genocidio armeno e qualche accenno anche in Germania. Per il resto, però, non molto. Comunque, è importante sottolineare che il genocidio armeno è ormai riconosciuto da tutti gli studiosi e ricercatori. È riconosciuto come il primo genocidio del XX secolo, e questo è un aspetto fondamentale. La sua importanza non risiede solo nel fatto che sia stato un genocidio, ma anche nel fatto che sia il primo del secolo scorso, e questo lo rende un caso emblematico.
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Cosa fa la comunità internazionale?
La situazione è tristemente chiara: la comunità internazionale potrebbe fare molto, ma in realtà non fa nulla. Non solo tace, ma continua a fare affari con i discendenti di chi ha perpetrato il genocidio. Il trauma del genocidio armeno è ancora vivo, radicato nella memoria collettiva e trasmesso di generazione in generazione. La paura non è mai scomparsa. Quando nel 2020 in piena pandemia da Covid l’Azerbaigian ha attaccato l’Artsakh, come si chiama la repubblica degli armeni, il mondo ha guardato altrove. Poi, per dieci mesi, ha imposto un blocco sul corridoio di Lachin, lasciando la popolazione senza cibo né medicinali, fino a ridurla allo stremo. Infine, il 19 settembre 2023, ha lanciato un nuovo attacco. E i giornali? Hanno celebrato la “vittoria azera in due giorni!”. Ma quale vittoria? Come avrebbe potuto resistere una popolazione già decimata dalla fame e dalle malattie? Gli armeni sarebbero stati sterminati ancora una volta. Così è avvenuta una pulizia etnica: 140.000 armeni hanno dovuto abbandonare le loro terre ancestrali e fuggire in Armenia per evitare un nuovo genocidio. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si è “riunito d’urgenza” solo due giorni dopo, ma aveva avuto due anni di segnali d’allarme e oltre dieci mesi di blocco per intervenire. Intanto, Ursula von der Leyen firmava accordi sul gas con Aliyev, come se nulla fosse. E nel silenzio generale, il genocidio bianco continua: demolizione di chiese, distruzione di croci medievali, cimiteri rasi al suolo….
Linda Di Benedetto
Pubblicato lunedì 10 Febbraio 2025
Stampato il 11/02/2025 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/interviste/genocidio-armeno-il-primo-del-xx-secolo-ma-loccidente-lha-rimosso/