Sono passati quasi dieci anni dall’avvio della crisi economica che ha sconvolto il mondo occidentale e che ha cambiato le nostre vite. L’Italia sta attraversando un periodo ancora molto duro, i dati occupazionali non lasciano intravedere nulla di buono all’orizzonte e si registra un malcontento diffuso, almeno tra le fasce più deboli della popolazione. I giovani continuano ad emigrare all’estero in cerca di opportunità lavorative e il ministro del Lavoro Poletti – confermato anche nel governo Gentiloni – prima di Natale ha detto in sostanza che molti dei ragazzi che emigrano è meglio non averli tra i piedi, poi ha ritrattato.
Domenico De Masi – professore emerito di Sociologia del Lavoro all’Università La Sapienza di Roma, autore di numerosi libri e saggi tra cui Ozio creativo e Il futuro del lavoro – dal suo profilo Facebook ha commentato a caldo le parole del ministro Poletti parlando di “orrore economico”. «Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, ha detto il ministro del Lavoro. Così ha commentato la fuga dei giovani che egli stesso ha costretto all’espatrio con la sua scellerata politica del lavoro – scrive il professor De Masi –. Dopo averli ingannati, ora li offende. Venti anni fa – continua il sociologo – la scrittrice francese Viviane Forrester pubblicò L’horreur économique, un libro sul declino del lavoro che destò una forte impressione e provocò una discussione accanita in tutta Europa. Poi, come il libro stesso aveva previsto, le sue accuse caddero nel dimenticatoio e si tornò a parlare di lavoro con le menzogne di sempre.
In cosa consiste questo orrore? Consiste nel fatto che tutta la nostra ricchezza, il nostro prestigio, la nostra rispettabilità, le nostre opportunità, le nostre tutele, qualsiasi forma di sopravvivenza derivano dal nostro lavoro – spiega De Masi –. Ma il lavoro viene negato a un numero crescente di persone che, per questa deprivazione, sono gettati nella disperazione. Ogni giorno ci viene raccontato che la disoccupazione è effetto di una crisi passeggera ma, nei fatti, la crisi non passa e, anche se passasse, nessuno ci assicura che con essa cesserebbe anche la disoccupazione».
Professore, nel 2017 a che punto ci troviamo della crisi: la traversata è finita o siamo solo all’inizio?
No, la traversata non è finita perché noi italiani, in media naturalmente, abbiamo 36mila dollari pro capite di prodotto interno lordo, contro i cinesi che dispongono di 7mila dollari e gli indiani che ne hanno 2.500. C’è una sperequazione mondiale molto forte che non consente più che noi continuiamo ad arricchirci come è stato in passato. La seconda cosa da dire è che questa ricchezza in ogni Paese, sia esso gli Stati Uniti cioè un Paese ricco sia esso un Paese povero come la Cina, comunque ci mostra una sperequazione enorme tra pochi ricchi e moltissimi poveri. Questo naturalmente è un problema che riduce i consumi quindi, ad esempio, in Italia noi abbiamo 10 famiglie che hanno la ricchezza di 6 milioni di persone e anche se ogni membro di queste famiglie ricche possedesse una Ferrari o uno yacht non potrebbe mai consumare quanto 6 milioni di persone, per cui i consumi e l’economia ristagnano.
Lei immagini di dare dei consigli a chi governa per cercare di invertire la rotta o quantomeno fare qualcosa di concreto a partire da ora.
Ma è impossibile dare dei consigli ai governi perché sono fatti dai ricchi, quindi non avremo mai la possibilità di risolvere tutto questo. Anche la Chiesa nota questa situazione, però dà come rimedio la carità cristiana. Lei pensa che la carità cristiana induca i ricchi a dividere la loro ricchezza coi poveri?
Ho dei dubbi
Ecco. Oltre alla carità cristiana ci sarebbe il welfare che invece i governi stanno distruggendo. Il welfare significa aumentare le tasse ai ricchi per pagare anche l’assistenza ai poveri e invece tutti i governi si vantano del fatto di ridurre le tasse. Così, riducendo le tasse, non ci sono i soldi per far migliorare la condizione di vita dei poveri che, stando male, non consumano ed ecco che naturalmente l’intera economia ristagna. Ma se la maggioranza della popolazione vota questi politici, che se li tengano. Peggio per loro.
Invece per quanto riguarda il Mezzogiorno d’Italia siamo ai titoli di coda?
È peggio. Lì addirittura siamo in una situazione per cui il prodotto interno lordo di Napoli è la metà di quello di Milano.
C’è un sentimento diffuso di rassegnazione anche nella generazione di giovani, i cosiddetti Millennials, che sono la più formata e più specializzata di sempre.
Questo dimostra che la scuola forma alla rassegnazione e non alla modifica dello status quo. Ciò è totalmente vero perché se si dovesse fare oggi la Resistenza lei la farebbe? In quanti la farebbero? Saremmo in pochi. Ma due o pochi non bastano.
Lei ha parlato proprio della vergogna e del senso di colpa che hanno i giovani che non trovano lavoro…
Certo, invece di incazzarsi i giovani si vergognano. E anche i loro genitori si vergognano. Un padre si vergogna di dire che il figlio è disoccupato: si inventa che sta facendo uno stage a Londra o un’altra stupidaggine del genere ma in effetti si vergogna.
Questo fa parte anche del sentimento di rassegnazione generale che attraversa il Paese?
Certo, c’è questa follia per cui non solo un giovane è costretto a essere disoccupato ma si deve pure vergognare come se dipendesse dai lui.
È la vittoria del capitalismo, no?
Non c’è dubbio.
Quindi cosa si fa? Si ricomincia da capo, con i diritti dei lavoratori?
È certo! Noi abbiamo un governo che in due anni ha distrutto quasi tutti i diritti dei lavoratori, una buona parte almeno. Hanno tolto l’articolo 18, hanno eletto senatore Pietro Ichino, nel Pd eh… Qualcuno lo ha inserito nella lista e qualcuno lo ha eletto.
Poi ci sono nella società altri invisibili: gli anziani con le pensioni minime, le partite Iva eccetera.
In un mondo tutto basato sul consumo e sulla ricchezza queste fasce sociali ovviamente si vergognano di essere povere e di non contare niente, di non avere successo.
E non mi dà nessuna speranza professore?
È inutile che lo chiede a me, perché lei lo sa più di me, sappiamo tutti tutto. Il problema è fare. Se lei voleva un augurio positivo su questo 2017 del tipo che andrà tutto bene, che non ci saranno più disoccupati, che i poveri saranno sempre di meno e i ricchi pagheranno le tasse… be’ purtroppo non avverrà.
Da cosa si parte allora?
Dalla consapevolezza delle vere cause e dei veri colpevoli. Poi nella seconda fase ci si organizza, nella terza fase ci si dà un obiettivo preciso, un bersaglio preciso, nella quarta fase si fanno delle rimostranze giuste e infine si parte.
Ma bisogna ritornare a studiare?
Se si torna a studiare con i professori avuti finora mi pare che si hanno poche possibilità di incazzarsi, cioè erano in maggioranza persone che tendevano a rendere docili e non ribelli i loro studenti.
Adesso abbiamo i social network e Internet che mentre ci intrattengono conservano i nostri dati e ci rendono docili, oppure no? Che ne pensa?
Non è detto, perché Internet è comunque un mezzo democratico per ribellarsi. Ognuno, ricco o povero, può tranquillamente accedere alla rete e servirsene, basta avere uno smartphone. Internet è sempre positivo tranne qualche eccezione. I media e i social media sono un fatto positivissimo, ci mancherebbe altro!
Antonella De Biasi, giornalista professionista freelance. Ha lavorato al settimanale La Rinascita della sinistra scrivendo di politica estera e società. Collabora con Linkiesta.it e si occupa di formazione giornalistica per ragazzi
Pubblicato lunedì 16 Gennaio 2017
Stampato il 23/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/interviste/2017-giovani-e-lavoro-vedo-nero/