Chi è nato prima degli Ottanta o alle soglie di quel decennio non può non ricordare la grande nevicata del gennaio 1985, un evento che oggi molti indicano nostalgicamente come “la nevicata del secolo”. Così, facendo proprio questo attributo, Arnaldo Greco e Pasquale Palmieri hanno scritto un interessantissimo volume “sull’Italia nel 1985” (La nevicata del secolo, Il Mulino, 2024), che, oltre a essere un colto, ma divertente saggio di storia contemporanea, si presenta soprattutto come uno studio sociologico indispensabile attorno a uno dei più grandi cambiamenti (non climatici!) della cultura e della società italiane. Partendo dalla neve, le pagine di Greco e Palmieri muovono infatti in una direzione molto più ampia segnando il ritratto di una nazione che abbandonava le lotte politiche del decennio precedente per consegnarsi all’edonismo di un nuovo mondo in cui il godimento immediato e personale prendeva il posto dei discorsi sulla collettività che tanto avevano coinvolto i giovani del passato.
Per iniziare, una domanda di rito: da dove nasce l’idea di studiare la nevicata del 1985, e soprattutto di utilizzarla come nucleo per una riflessione più ampia sull’Italia di quel decennio?
La nevicata coinvolse l’intera penisola italiana, provocando interruzioni dei servizi pubblici, chiusura delle scuole, blocchi stradali e crolli di grandi edifici. Eppure, nonostante tutti questi disagi, il ricordo di quei giorni è ammantato di dolcezza e positività. Proprio da questo rovesciamento di prospettiva che si è creato nella memoria comune è nato il desiderio della nostra indagine: tendiamo infatti a connettere le nostre memorie, individuali e collettive, ai grandi traumi (dall’esplosione della centrale nucleare di Chernobyl alla “guerra del Golfo”, fino all’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001) o ai grandi eventi sportivi, soprattutto le vittorie ai Mondiali di Calcio del 1982 e del 2006 o alle Olimpiadi. In questo panorama la nevicata è unica.
Già. Scrivete che quella nevicata è diventata la “catalizzatrice di discorsi nostalgici costruiti sul ricordo di un ideale Paese felice”. Com’è successo?
Oggi il sistema mediatico è incentrato sulla nostalgia. Siamo diventati clienti perfetti per il “mercato dei ricordi”, anche perché viviamo in un Paese che, sul piano demografico, vede prevalere di gran lunga gli adulti sui giovani. Tuttavia spesso concentriamo i nostri desideri sui consumi di beni materiali o di prodotti culturali, andando a rispolverare le scene dei vecchi film, le sigle di vecchi cartoni animati e serie tv, i vecchi spot pubblicitari, gli spezzoni dei vecchi programmi televisivi, le pagine di vecchi quotidiani e rotocalchi, le locandine e i biglietti dei vecchi concerti, le etichette di vecchie bibite, merendine e gelati.
Se la consideriamo in questa prospettiva, la nevicata del 1985 si configura come un fenomeno molto diverso. Porta con sé un ingrediente antico e inconsueto, ormai quasi assente nelle posture nostalgiche più diffuse. Chi era già abbastanza grande nel 1985 l’ha vista coi suoi occhi, aprendo la finestra in una mattina di gennaio, uscendo dal portone di casa, sentendo il vento gelido sulle guance, affondando gli scarponi nel ghiaccio, scoprendo con sollievo di non dover andare a scuola, indossando tre maglioni di lana uno sull’altro, preoccupandosi per i ritardi al lavoro, comprando la verdura a cifre stratosferiche, disperandosi per la macchina bloccata nel garage, imprecando per i trasporti pubblici paralizzati, invitando gli amici a casa per giocare davanti al camino, dimenticando per qualche giorno i problemi familiari o le contraddizioni di un intero paese.
Certo non fu un bene materiale, né un fenomeno studiato “a tavolino”, viste le incapacità di allora di prevederlo; eppure quella nevicata è diventata un evento iconico, in qualche modo un oggetto culturale che oggi si maneggia quasi come una cesura tra il decennio dell’impegno politico spinto al parossismo (gli anni di piombo) e quello nuovo, gli anni Ottanta, caratterizzati dal cosiddetto “riflusso”. Fu un meccanismo naturale o artificiale quello di conferire alla nevicata del 1985 questo ruolo?
Entrambi i fattori ebbero un ruolo e probabilmente fu proprio il loro incontro a far diventare la nevicata del 1985 la coda ideale del “riflusso”. Proprio intorno alla parola “riflusso” il sistema mediatico italiano dei primi anni Ottanta costruì un giudizio tanto efficace quanto sbrigativo, finalizzato a porre un contrassegno riconoscibile sull’atteggiamento di un’intera generazione. Secondo molti opinionisti della grande stampa, quella stessa generazione decise di abbandonare l’impegno politico e il sogno di un mondo più giusto per privilegiare il godimento immediato del benessere e la cura degli affari personali. Tuttavia quel nuovo atteggiamento fu il risultato di un bisogno spontaneamente avvertito dagli italiani, dopo una lunga stagione di conflitti e violenze, ma anche il risultato di una scelta dell’industria mediatico-culturale, intenzionata a dettare un cambio di agenda al Paese e a indicare una diversa lista di priorità.
Ma fu la nevicata a inaugurare le posture nostalgiche degli anni Ottanta?
No, assolutamente. Già alla fine degli anni Settanta si ebbero segni evidenti dell’apertura di una nuova stagione culturale, incentrata sul trionfo della nostalgia dei Cinquanta e dei primi Sessanta. La fabbrica dell’immaginario acquisì allora una fisionomia chiara, contrassegnata da fughe verso un passato idealizzato, che si definiva aureo e spensierato, immune alle lacerazioni sociali e politiche inaugurate nel 1968.
C’è nostalgia e nostalgia. Possiamo dire anche che c’è una postura nostalgica funzionale al consumo, e una a un determinato discorso politico? O sono due facce della stessa medaglia?
Sono due facce della stessa medaglia. I fenomeni culturali, politici ed economici sono sempre intrecciati fra loro. Forse il diventare consumatori nostalgici è legato anche al diventare elettori nostalgici.
Si rischia che questo genere di nostalgia ci scolli dall’oggi, ci sottragga gli strumenti per parlare del presente, consegnandoci un linguaggio uniforme per ripetere indefinitamente un’immagine stereotipata del passato?
Il rischio è altissimo. I tuffi nel passato sono espedienti per dimenticare le delusioni del presente. Il trionfo della nostalgia, inoltre, favorisce l’ossessiva ricerca di un rifugio nei “bei tempi trascorsi”, dettata dall’impossibilità, o dall’incapacità politica, di immaginare un cambiamento strutturale della società.
Ampliamo il discorso: la nostalgia per gli anni Ottanta è un fenomeno solo italiano?
Riguarda anche altre realtà del mondo occidentale. Il mercato della nostalgia ha sempre nuovi clienti. Col trascorrere del tempo, intere generazioni raggiungono l’età e il potere d’acquisto necessari per trasformarsi in affidabili bacini di consumo. La costruzione del prodotto commerciale (o politico) “nostalgico” segue una regola abbastanza stabile, fondata su intervalli di circa venti anni: gli stessi anni che servono a persone giovanissime per raggiungere un potere d’acquisto da adulti. Ad esempio, gli operatori propongono ai quarantenni un ritorno alla loro gioventù o, in virtù di un processo di vera e propria infantilizzazione, disegnano immaginari viaggi nel tempo per permettere ai trentenni di sentirsi di nuovo bambini.
Possono essere tracciati dei parallelismi, per somiglianza o per contrasto, con altre nostalgie collettive, come quella americana per gli Anni Cinquanta o la Ostalgie postsovietica così ben studiata in Italia da Gian Piero Piretto?
È possibile. Intorno a questo tema si possono costruire percorsi di ricerca comparati. Nel libro proponiamo qualche esempio concreto in tal senso. Nel corso degli anni Settanta, la nostalgia americana dei Cinquanta arrivò anche al pubblico italiano, grazie a prodotti televisivi come Happy Days. Nel 2015, invece, il trentennale della nevicata del 1985 fu celebrato in alcuni servizi televisivi e la colonna sonora scelta fu quella di Yann Tiersen, composta per il celebre film tedesco Good Bye, Lenin! (di Wolfgang Becker), incentrato proprio sul fenomeno della «Ostalgie».
Per finire, la compianta Svetlana Boym diceva: “Sta a noi assumerci la responsabilità della nostra nostalgia e non lasciare che altre persone la prefabbrichino per noi”. È così? Abbiamo bisogno di ripensare la nostalgia in altri termini per tornare a farla nostra?
Abbiamo sicuramente bisogno di vivere la nostalgia in maniera più consapevole, senza farla diventare un espediente per fuggire dal presente o per esorcizzare la paura del futuro. Dobbiamo soprattutto comprendere l’importanza della ricerca storica e umanistica, che ci offre gli strumenti per comprendere il passato e ci libera dai vincoli dell’eterna ripetizione. Il nostro libro è nato proprio per questo: volevamo studiare e capire la nevicata del 1985, non solo rievocarla.
Giacomo Verri, scrittore e insegnante
Pubblicato mercoledì 15 Gennaio 2025
Stampato il 15/01/2025 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/interviste/1985-quando-la-neve-copri-un-paese-che-cambiava-pelle/