Il 24 marzo è una data importante per la democrazia sia in Italia sia in Argentina. Nel nostro Paese si commemorano le 335 vittime del nazifascismo alle Fosse Ardeatine, nel continente sudamericano si celebra il Día de la Memoria por la Verdad y la Justicia, la Giornata della memoria per la verità e la giustizia delle migliaia di persone uccise o fatte scomparire, desaparecidos, nella Guerra sucia scatenata dai militari argentini saliti al potere con un colpo di stato in quel giorno del 1976. Per rendere omaggio alla ricorrenza argentina, in un ideale ponte antifascista, Patria vi propone una bellissima intervista video di Carlo Gianuzzi e Amalia Perfetti a Enrico Calamai, l’ambasciatore che salvò centinaia di donne e uomini dai “voli della morte”.
Calamai è stato protagonista in realtà di due importanti operazioni di salvataggio di rifugiati e perseguitati politici, in Cile oltre che in Argentina, riuscendo in entrambi i casi a mettere in salvo centinaia di oppositori per i quali la sede diplomatica italiana rappresentava l’ultima possibilità di scampo. Persona di grande profondità e straordinaria modestia, abbassa gli occhi e liquida con un sorriso la definizione che lo celebra come “lo Schindler di Buenos Aires”, ripetendo sempre di essersi limitato a fare ciò che chiunque altro avrebbe fatto al suo posto.
I dati però parlano chiaro e i suoi racconti confermano il gran numero di persone che, prima in Cile e poi in Argentina, devono la loro vita a questo signore dai modi garbati. Giovane diplomatico, viene inviato in prima destinazione nel 1972 a Buenos Aires. Due anni dopo lo chiamano per sostituire il viceconsole dell’ambasciata italiana a Santiago del Cile. È il settembre 1974, quasi un anno dopo il golpe di Augusto Pinochet. Il giovane funzionario di cui Enrico Calamai deve prendere il posto è stato dichiarato “persona non grata” dalle autorità golpiste, dopo una sanguinosa provocazione dei militari contro l’ambasciata ed è stato costretto a partire in fretta e furia.
Calamai viene quindi “inviato in missione” da Buenos Aires alla capitale cilena, dove trova un’ambasciata affollata da 250 rifugiati che erano riusciti a salvarsi dall’arresto e dalle violenze dei militari. Pochi mesi dopo, con la fine dell’incarico e la messa in salvo dei rifugiati dell’ambasciata di Santiago, torna a Buenos Aires, dove istituisce e organizza un ufficio speciale dedicato alla stessa opera che aveva appena concluso in Cile. Nel 1978 viene trasferito dall’Argentina e, con la sua partenza, l’ufficio per l’espatrio dei dissidenti che aveva messo in piedi viene chiuso.
Il ricordo dell’incubo vissuto da tante persone che Enrico Calamai ha assistito in America Latina è spesso posto in relazione, nei suoi racconti, con il dramma dei profughi dei giorni nostri che, fuggendo dalla guerra, dalla repressione o dalla miseria, cercano di guadagnare le coste o i confini terrestri della “fortezza Europa”.
Le durissime parole con le quali, in una pausa della registrazione dell’intervista, sottolinea come “è stata messa in atto una politica eliminazionista” sono state riecheggiate da Papa Francesco durante la visita a Nicosia dello scorso novembre, quando ha paragonato il trattamento riservato ai profughi dei nostri giorni ai “campi di concentramento dei nazisti, oppure ai lager di Stalin”. Quello che ha causato e causa tanti lutti e sofferenze fra i migranti, dice Enrico Calamai, è “un sistema complesso di eliminazione che richiama il Plan Condor praticato in America Latina”.
Enrico Calamai ha raccontato la sua esperienza sotto la dittatura militare argentina in due libri, Faremo l’America. L’impossibile normalità di un console italiano in Argentina negli anni della dittatura (Edizioni Angolo Manzoni, 2002) e Niente asilo politico. Diplomazia, diritti umani e desaparecidos (Editori Riuniti, 2003). Nel 2004 è stato decorato con l’Orden del Libertador General San Martín presso l’ambasciata della Repubblica Argentina in Italia e dal 2010 è onorato nel Giardino dei Giusti di Milano. Da anni porta nelle scuole, nelle università, nelle manifestazioni e nelle associazioni la sua testimonianza, senza smettere di battersi con passione e impegno per i diritti degli ultimi. Dall’agosto del 2018 è attivo nel gruppo “Mani rosse antirazziste” che ogni giovedì, a Roma, manifesta il proprio dissenso contro tutte le politiche di chiusura nei confronti di migranti e profughi. È presidente onorario della sezione Anpi “La Staffetta Partigiana” di Colleferro, in provincia di Roma.
Ecco la videointervista a Enrico Calamai. Buona visione.
Carlo Gianuzzi, Commissione scuola Anpi “Dolores Abbiati” di Brescia
Amalia Perfetti, presidente sezione Anpi “La Staffetta Partigiana” di Colleferro (RM)
Pubblicato martedì 22 Marzo 2022
Stampato il 21/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/interviste-2/enrico-calamai-io-come-schindler-solo-il-mio-dovere/