“Guardare con consapevolezza” agli orrori delle stragi nazifasciste, che “assegnano a noi tutti una grave responsabilità”, ha detto ieri, 25 agosto, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, commemorando insieme all’omologo della Repubblica federale di Germania, Frank Walter Steinmeier, il 75° anniversario della strage nazifascista di Fivizzano. E siccome “la storia ci insegna che, di fronte alla barbarie, interi secoli di civiltà possono venire annientati in un momento”, ha messo in guardia il Capo dello Stato italiano, “è nostro dovere impedire che si creino condizioni in cui questo possa riprodursi”. Ricordando le vittime dello scempio avvenuto tra il 24 e il 27 agosto 1944 nel piccolo borgo di Vinca e in altre frazioni ai piedi delle Alpi Apuane, Mattarella ha voluto sottolineare che “la nostra democrazia, i nostri valori di libertà, la spinta ideale che ha permesso all’Europa di risollevarsi e di riconciliarsi con se stessa, si fondano e si sviluppano proprio a partire dal sangue versato da innocenti, come avvenuto qui, e dal conseguente commosso grido dei padri fondatori dell’Europa: “mai più guerre, mai più lutti”. Un richiamo alla nascita della nuova Europa democratica “nella quale ostilità e sopraffazione fossero bandite”, dettata da una preoccupazione attuale: “la progressiva perdita di fiducia nei valori al centro della storia europea – il rispetto della vita, della dignità di ogni persona, della libertà individuale e collettiva – unitamente alla deformazione dell’idea di nazione, permise a regimi che avevano a spregio la democrazia di giungere a esercitare un potere assoluto”. E citando Primo Levi, il Presidente della Repubblica ha precisato: “È accaduto, quindi può accadere di nuovo”, perché “le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre”.
I presidenti italiano e tedesco hanno depositato una corona ai Caduti davanti al Comune di Fivizzano (Massa Carrara) e scoperto una targa commemorativa nel paese al quale sono state riconosciute la Medaglia d’Oro al Merito Civile e la Medaglia d’Argento al Valor Militare per il contributo dell’attività partigiana e per il sacrificio della sua popolazione dal 1943 al 1945.
In quei giorni di agosto ’44 l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema (Lucca) era già stato compiuto e nemmeno tre settimane dopo i nazifascisti avrebbero ucciso a Marzabotto (Bologna). Le vittime accertate nel territorio fivizzanese furono 173, tutti civili.
Un massacro eliminazionista con stupri, violenze sui bambini, donne incinte, anziani. Un rito ripetuto dell’orrore messo in atto dai militari tedeschi della Aufklärungs-Abteilung 16 (“Reparto esplorante 16”) comandato dal maggiore Walter Reder e da componenti della Brigata nera apuana. Avevano già ucciso le persone che si trovavano nel borgo di Vinca e tornarono nei giorni successivi per trucidare chi si era nascosto ed era poi rientrato a casa. Annientare era il loro imperativo per contrastare il movimento partigiano che sabotava ponti ferroviari e strade, rallentando i lavori di fortificazione della Linea Gotica, e tendeva imboscate alle truppe occupanti e ai collaborazionisti.
A Fivizzano, come in altri luoghi, la memoria della brutalità si trasmette di generazione in generazione. Il neodirettore de La Nazione, Agnese Pini, riporta sul suo giornale la testimonianza della nonna, sopravvissuta perché aveva lasciato il paese, e che aveva raccolto i ricordi di altri sopravvissuti: “parlava delle camionette naziste, del rumore delle ruote sul sentiero pieno di foglie di castagno, del teschio sull’elmetto dei soldati, dei pugnali dentro gli stivali, delle mimetiche, delle retine nere che coprivano il viso degli italiani della X Mas – li chiamavano i Maimorti – che accompagnavano i tedeschi e che si coprivano il viso per non farsi riconoscere. Diceva che uno di loro suonava l’organetto, e che l’organetto aveva suonato per tutto il tempo in cui era durata la strage, dall’alba alla sera, mentre i soldati stupravano, o seviziavano, o torturavano: c’era sempre quell’organetto, diceva, e non so come glielo avessero raccontato, come quei racconti fossero diventati così vividi in lei, quasi che sentisse ancora l’organetto nelle orecchie mentre ne parlava”.
Il crimine di guerra, come in altre occasioni, verrà solo pallidamente punito. Il generale Max Simon verrà condannato all’ergastolo e così il superiore Walter Reder sono condannati all’ergastolo dal Tribunale militare territoriale di Bologna per le stragi di Vinca e Marzabotto (Monte Sole) ma la condanna sarà interrotta nel 1980 e poi cancellata da amnistia nel 1985. Nel 2009 un nuovo procedimento del Tribunale militare di Roma sentenzierà l’ergastolo a carico di 9 militari tedeschi. I 64 membri della Brigata nera apuana guidata dal generale Biagioni vennero processati dal Tribunale di Perugia che espresse condanne severe (11 furono gli ergastoli comminati) ma destinate ad ammorbidirsi con l’amnistia.
La storia, è ovvio, mai si ripete esattamente. Tuttavia, è un fatto, il clima di odio e rancore che verso ogni diversità, verso ogni impegno solidale, che si coglie in questo nostro tempo non ha precedenti da molti e molti decenni.
E nei giorni complessi che sta vivendo il nostro Paese risuonano dunque come un ulteriore monito le parole scelte a Fivizzano dal Presidente della Repubblica Mattarella: “l’impegno al quale siamo chiamati è, insieme, personale e collettivo: che quel ‘mai più’ appartenga anche alle sfide dell’oggi. Che alle giovani generazioni venga consegnato un mondo in pace, dove l’odio e l’avversione fra i popoli siano banditi e a prevalere siano i valori del dialogo e del rispetto reciproco”.
Pubblicato lunedì 26 Agosto 2019
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