Finalmente anche i media nazionali hanno dato la notizia della morte della trentaseienne artista di strada Daniela Carrasco, “el mimo”, trovata impiccata in un luogo all’aperto in un comune della città metropolitana di Santiago del Cile il 20 ottobre, cioè circa un mese fa.
Daniela era stata fermata dalle forze di sicurezza. Da quel momento si erano perse le sue tracce. La versione delle autorità è che si sia suicidata. Proprio come Giuseppe Pinelli. Viceversa Ni Una Menos – corrispettivo cileno di Non Una Di Meno – collettivo femminista che da anni combatte contro la violenza di genere, afferma che “Daniela è stata violentata, torturata, nuovamente violentata fino al punto di toglierle la vita”. Daniela, fino al momento del fermo, era impegnata al fianco delle manifestazioni di protesta.
La polizia in queste settimane ha operato una repressione violentissima e sadica.
Si contano più di 25 morti, centinaia e centinaia di feriti in gran parte accecati dai “perdigones”, cioè i pallini sparati sulla folla da armi da fuoco della polizia. Scrive Repubblica che “vengono sparati anche senza che ci sia un reale rischio, spesso ad altezza del viso e quasi sempre da distanza ravvicinata. Si calcola che almeno 200 persone siano state ferite agli occhi, alcuni hanno perso la vista”. A ciò si aggiungono drammatiche testimonianze delle torture e degli stupri dei fermati nelle caserme. Uno scenario così grave legittima l’unica versione possibile della morte di Daniela, quella fornita da Ni Una Menos.
Il Cile è oggi nelle mani del presidente Sebastián Piñera, uomo di destra. L’intero Paese è scosso da manifestazioni e iniziative contro gli intollerabili livelli di diseguaglianza determinati da una politica economica ultraliberista. Si riapre il tema della violenza dello Stato nel Cile dove nel 1973 si era imposta con la forza delle armi la dittatura militare di Pinochet, quando il legittimo presidente Salvador Allende era morto durante l’attacco militare al Palacio de la Moneda.
La drammatica morte di Daniela Carrasco, con tutta probabilità assassinata dai suoi sequestratori, uomini dello Stato, è una conferma del criterio molto relativistico con cui Paesi di democrazia liberale a regime economico liberista affrontano la questione dei diritti umani, a cominciare dal diritto alla vita, un tema che troppo spesso riguarda solo i diritti umani degli altri. Per di più, si tratta dell’ennesimo femminicidio, questa volta per mano istituzionale. Colpisce il silenzio dell’UE e del governo italiano, laddove sarebbero urgenti quanto meno i passi diplomatici necessari a contestare la deriva di barbara violenza in corso nel Paese sudamericano.
È recente l’assassinio brutale di Hevrin Khalaf, segretaria generale del Partito Futuro siriano, da parte della soldataglia turca o dei macellai dell’Isis come conseguenza dell’invasione della Siria del nord est da parte delle truppe di Erdogan e l’omicidio a colpi di arma da fuoco di Almaas Elwan, ex attivista per i diritti umani a Mogadiscio. È di due anni or sono l’assassinio di Daphne Galizia, reporter di Malta. Il mandante, l’uomo d’affari Yorgen Fenech, è stato arrestato pochi giorni fa mentre cercava di lasciare Malta in barca, ma rimangono oscuri eventuali coinvolgimenti di personalità del governo. Ed è passato un anno dal sequestro in Kenia di Silvia Romano, di cui non si hanno notizie. Questo, per non parlare delle violenze e dei femminicidi quotidiani in situazioni di guerra e di pace.
Tanti buoni motivi, a cominciare dal sacrificio della cilena Daniela Carrasco, “el mimo”, per partecipare alla manifestazione contro la violenza alle donne promossa per sabato 23 novembre da Non Una Di Meno a Roma. L’Anpi ci sarà col suo Coordinamento Nazionale Donne (e anche con i suoi uomini). Appuntamento sotto il suo striscione alle 13.45 davanti alla chiesa di Santa Maria degli Angeli in piazza della Repubblica.
Pubblicato venerdì 22 Novembre 2019
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