Da tutta Italia continuano ad arrivare notizie di proteste e rivolte dei detenuti reclusi negli istituti di pena. Drammatiche quelle che provengono da Modena, dove hanno perso la vita alcuni detenuti. E ancora l’evasione di Foggia, i detenuti sui tetti, il fuoco a San Vittore, le battiture e le proteste in moltissimi altri istituti della penisola.
Il minimo comun denominatore delle proteste e delle rivolte è la paura scatenata dalla diffusione del coronavirus e dalle misure adottate dal governo su scala nazionale per cercare di arginarne la propagazione.
Queste misure hanno riguardato anche il carcere; adottate per la tutela della salute pubblica anche nei penitenziari hanno l’obiettivo di scongiurare la possibilità dell’ingresso negli istituti del virus, che in spazi circoscritti e soggetti a una forzata promiscuità (acuita dalla conclamata situazione di affollamento) avrebbe una facilità assoluta di contagio mettendo a rischio tantissime persone nell’impossibilità di soddisfare eventuali esigenze di isolamento di potenziali malati.
Il carcere si è così chiuso ancor più in se stesso: chiuse le scuole, il lavoro per ditte esterne, la formazione professionale e ogni altra attività per la quale fosse previsto l’ingresso di personale esterno. A queste sospensioni si è accompagnata la ancor più dura restrizione nei colloqui. Questa limitazione non è stata adottata in modo univoco su tutto il territorio, ma ha visto oscillazioni che sono andate dalla sospensione totale nelle zone maggiormente afflitte dal contagio, alla previsione della possibilità per ogni detenuto di incontrare un solo familiare per volta.
Il governo ha adottato misure per lenire questa sofferenza affettiva prevedendo la possibilità per i ristretti di telefonare più spesso alla famiglia (l’ordinamento prevede in condizioni normali una telefonata a settimana di 10 minuti), e l’utilizzo anche di mezzi telematici come Skype per sostituire il colloquio visivo. Tuttavia la sola previsione non basta, occorre l’applicazione nella pratica di queste misure che andrebbero ulteriormente ampliate.
La paura per il contagio, la paura per la lontananza dalle famiglie, l’impossibilità di ricevere pronte notizie dall’esterno e di poterne dare, la scarsità di informazioni e la confusione che le ha caratterizzate nei giorni appena trascorsi, hanno innescato un moto di proteste che, come detto, si è presto diffuso alle carceri di tutto il Paese.
Occorre depotenziare al più presto questa paura incontrollata. Una paura che come si è visto in questi giorni non ha certamente colpito i soli detenuti, ma che anzi ha portato tantissime persone a fuggire dal nord Italia o a fare scorte immotivate nei supermercati in preda a timori irrazionali controproducenti ai fini stessi delle misure di salute pubblica. Difficile aspettarsi una reazione compita e razionale, in controtendenza con la generale reazione del Paese, all’interno degli istituti. Per questo se la ricetta per riportare la calma in tutta Italia è stata individuata nella necessità di chiarezza e trasparenza nella comunicazione lo stesso è da chiedersi per gli istituti di pena, con un ulteriore sforzo emotivo perché la lontananza dalle famiglie e l’impossibilità di spostamento è in questo caso irrimediabile.
In queste ore Antigone, per voce del suo presidente Patrizio Gonnella, ha fatto appello ai detenuti perché comprendano il momento di grande difficoltà che sta attraversando il Paese. Serve il buon senso di tutti, le proteste devono essere ricondotte a manifestazioni pacifiche al più presto per evitare che la situazione degeneri come è purtroppo già avvenuto ad esempio a Modena. Dall’altra parte l’appello alla responsabilità riguarda tutto il mondo penitenziario a cui è richiesto uno sforzo ulteriore rispetto all’ordinario. È necessario spiegare chiaramente le motivazioni alla base di quelle che potrebbero apparire come indebite e ulteriori restrizioni a una vita già ristretta. Questo sforzo deve essere accompagnato dalla comprensione umana, empatica, dell’esigenza ora più che mai, di mantenere vivi i contatti con i cari all’esterno. Per questo servono più telefonate con l’auspicio che in un momento straordinario possano essere quotidiane e di venti minuti. È necessario permettere di sostituire ai colloqui visivi – laddove questi siano sospesi – telefonate via skype dove è possibile mantenere un contatto con i propri cari più vivido. Un contatto rassicurante. Inoltre l’endemica condizione di affollamento dei nostri penitenziari si rivela nuovamente di certo non d’aiuto nella gestione degli istituti, inevitabilmente anche in un momento straordinario. Per questo chiediamo anche che siano previste prontamente misure volte alla riduzione delle presenze in carcere attraverso il ricorso alla detenzione domiciliare o alle misure alternative.
Carolina Antonucci, Associazione Antigone
Pubblicato martedì 10 Marzo 2020
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