Pavia, 29 marzo. Fuori dall’aula del tribunale, una signora non giovane mostra un cartello recante la scritta “a processo dovrebbe andare chi ha autorizzato la manifestazione in spregio alla Costituzione”.
Noi, siamo tutti attorno a questo cartello.
E aspettiamo.
Sono le 8.30 del mattino e nell’aula del tribunale sta per iniziare la prima udienza del processo che vede imputati sette iscritti Anpi che, insieme a molti di noi, il 5 novembre 2016 si sono dati presenti per esprimere il proprio sdegno per la manifestazione fascista autorizzata a sfilare.
La signora con il cartello continua a sostare davanti al tribunale.
Come lei tanti altri restano per strada, fuori dall’aula che, comunque, non potrebbe contenerci tutti, e non ha più una sedia libera.
Chi è salito di due piani per arrivare all’aula del “nostro processo” ha fatto la fila, e, come da richiesta, ha svuotato le tasche, ha aperto la borsa e spento il cellulare.
Poi, si è seduto in silenzio ad ascoltare le prime battute del processo che inizia e che, idealmente, ci vede tutti imputati – per avere ritenuto, la sera del 5 novembre, nostro dovere uscire di casa, per dire che no, quel corteo fascista proprio non doveva essere autorizzato a sfilare, tenendo nel cuore, sotto gli ombrelli aperti, la tristezza, la rabbia, il malessere acuto di sapere che interi pezzi di Repubblica, autorizzando il fascismo a sfilare, hanno rinnegato la propria radice antifascista delle libertà individuali e collettive, conquistate con la lotta di Liberazione.
Il “nostro processo” inizia alle dieci.
Gli imputati coprono un arco di età che va dai ventitrè anni di chi si è laureato da poco e arriva agli oltre sessanta di chi è stato responsabile della sezione cittadina dell’Anpi.
Anche i presenti seduti ad ascoltare riflettono lo stesso arco di età, e idealmente saldano la continuità antifascista dall’una all’altra generazione, tra i rappresentanti delle sezioni “storiche” dell’Associazione dei partigiani, come Stradella, e i ragazzi dell’Arci e di Udu che, la sera del 5 novembre, alle prime manganellate dirette a colpire chi, contro l’apologia di fascismo, stava accanto agli striscioni di Anpi, Arci, Udu, Rete Antifascista, hanno intravvisto la faccia inquietante della Repubblica.
Il processo inizia, e, subito, vira, decretando per vizio procedurale la nullità delle posizioni di due imputati per i quali il procedimento dovrà ricominciare dalle indagini preliminari.
Si va avanti, mentre tra noi che assistiamo qualcuno sommessamente chiede chiarimenti a chi è più esperto in materia per essersi laureato in giurisprudenza.
E poi, quasi di botto, dopo brevi interventi degli avvocati, il processo si aggiorna.
Il giudice sfoglia l’agenda.
Ci rivedremo in aula il 19 luglio, per assistere, nel contradditorio tra le parti, alla visione dei video della sera del 5 novembre, e per ascoltare i testimoni.
Mentre scriviamo, inizia il mese di aprile, e sappiamo tutti che, prima del 19 luglio in tribunale, ci vedremo molte e molte volte ancora. Perché avremo molte iniziative, la prima il sette aprile, una biciclettata lungo i Navigli, tra Certosa e Pavia, dove il 31 agosto 1944, in pedagogia di morte diretta in monito alla popolazione civile, vennero abbandonati i cadaveri di quattro partigiani.
E mai vorremmo scriverlo: che sono caduti invano.
Annalisa Alessio, vicepresidente comitato provinciale Anpi Pavia
Pubblicato lunedì 1 Aprile 2019
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