Caschetto come Louise Brooks e predilezione per l’avventura costituiscono la doppia elica del dna di Valentina Rosselli – o, semplicemente, Valentina. Figlia della creatività del fumettista Guido Crepax, a partire dal 1965, Valentina ha una vita molto intensa, divisa tra la sua professione di fotografa, la passione per il mistero e le sue molteplici “relazioni pericolose”. Nata il giorno di Natale del 1942 (proprio come la moglie dell’autore), Valentina vive in un contesto borghese e conformista, che lei si diverte a provocare con la sua vita fuori dagli schemi, incarnando solidamente l’emancipazione che rivendica la (ri)appropriazione del corpo. In questo fumetto, in cui gli episodi e i colpi di scena sono spesso svincolati dalle figure maschili che, quasi, appaiono marginali, ci si sottrae al regime patriarcale, e il corpo della protagonista non solo ribadisce “sono mia”, ma sembra aggiungere senza ipocrisie “e di chiunque io voglia”. Ma la grande modernità di Valentina risiede proprio in questo: nel suo farsi ambasciatrice di libertà senza mai inneggiare a questo o a quello slogan e, soprattutto, senza trincerarsi dietro un modello, bruciare fantocci del passato o reggiseni, rivendicare la sua femminilità negandola. La bellezza fiera di Valentina è il più lucente vessillo di indipendenza di una protagonista che, nel corso del lungo arco temporale che copre le sue avventure, diventa altro da sé e, da personaggio bidimensionale si evolve, per trasformarsi in una persona tridimensionale.
La sua bellezza innata si sposa con l’eleganza ricercata ed evidenziata nei dettagli non trascurabili, come un vestiario vario e curato. I pizzi e i merletti, la lingerie, le calze di seta, i graziosi cappelli, le spille preziose: tutto in Valentina è ricerca ossessiva del particolare, a dimostrazione di come la connotazione di questo personaggio così innovativo e di rottura con la tradizione passi anche attraverso l’aspetto fisico. Prima di Guido Crepax, infatti, l’importanza data all’estetica di un personaggio disegnato era, senza dubbio, presente, ma non così trainante, dal momento che i protagonisti dei fumetti erano solitamente disegnati sempre con gli stessi abiti. In Valentina, al contrario, ci si imbatte in numerose sequenze interamente dedicate alla scelta di un abito di scena o al processo di vestizione, così come, altrettante, sono le vignette in cui Valentina giace nuda in un letto con l’amante di turno, e i vestiti sparpagliati sul pavimento della stanza: ne è un esempio “Il sogno della moda”, episodio in cui sfilano tutti i capisaldi della saga di Valentina – gli scenari onirici distorti, le presenze inquietanti e quelle angelicate, le riflessioni, i ricordi, la bellezza. Ma i capi d’abbigliamento sono, in tutta la produzione di Guido Crepax, vere e proprie chiavi di volta che sorreggono l’intero impianto narrativo, come accade nel racconto “Scambio imprevisto”, in cui è proprio un accessorio – un cappello con spilla – a diventare l’elemento centrale e l’emblema fatale che decreterà la morte tragica di una delle due protagoniste.
Nella genesi di Valentina convergono sia le origini di Crepax che le sue esperienze lavorative, insieme alle passioni e a tutto il suo retroterra culturale. Il padre Gilberto, infatti, era primo violoncello alla Scala e così, il legame familiare, trasposto su quello artistico, avvicina il giovane Guido ad ascolti ricchi e molto variegati, futura colonna sonora sia del Crepax adulto, sia delle avventure di Valentina. E se, da una parte, le orme paterne indicano la strada della musica, dall’altra, l’attitudine del giovane autore va nella direzione del disegno e dell’illustrazione: la prima (e primordiale) convergenza tra queste due discipline arriva nel 1953, quando illustra la copertina di un vinile del jazzista Fats Waller. Negli anni successivi, il nome di Crepax si lega, forse in modo apparentemente dissonante, alla tradizione della musica popolare napoletana e a grandi interpreti e cantautori, come Peppino di Capri, Domenico Modugno e Massimo Ranieri, per poi approdare a Giorgio Gaber: per quest’ultimo, Crepax illustrò la copertina del 45 giri “Il mio amico Aldo/Tre storie di gatti (una triste, una allegra, una media)”, divertissement scritto da Franco, fratello di Guido, insieme a Dario Fo.
Un ricco baule di conoscenze ed esperienze, quello dell’autore, che non si disperde con l’arrivo di Valentina, ma – anzi – sublima quel rapporto intenso e viscerale con la musica, che si riverbera nelle vignette, nelle trame e negli ascolti disegnati. E così, come Afrodite nasce dalla spuma del mare, Valentina altro non è che la sommatoria del passato, delle passioni e dell’educazione di Crepax. La musica classica, il jazz, ma anche la conoscenza meticolosa tanto dell’anatomia degli strumenti musicali, quanto della loro storia, diventano non semplice spunto narrativo, ma vero e proprio cardine nelle trame degli episodi di Valentina, come accade nella storia “Pietro Giacomo Rogeri”, in cui epoche e personaggi sono tra loro concatenati per mezzo di un violoncello e delle suites di Bach. Tuttavia, se si presta attenzione a un certo sottotesto, si comprende come la musica classica in Valentina non sia presente solo in modo esplicito, ma percorra come un fiume sotterraneo tutte le scelte stilistiche: la bellezza, lo studio delle proporzioni e il susseguirsi delle vignette, organizzate secondo regole squisitamente musicali, con silenzi e pause che scandiscono movimento e dialoghi, sono elementi che costituiscono un rivoluzionario “spartito” alla base del processo creativo.
L’immaginario che Guido Crepax istituisce si muove nel contemporaneo, ma non nell’ordinario: la sua è, piuttosto, una dimensione epica, in cui il soprannaturale si mescola con la carne e gli eventi sono frutto del volere di un deus (o di un diabolicus) ex machina. Quella che permea tutta la produzione di Valentina è un’epopea imbevuta di leggenda: infatti, se non fosse per le auto, le macchine fotografiche e i vestiti disegnati secondo le mode della seconda metà del Novecento, il modo in cui magico e ancestrale, fato e fortuna si mescolano, potrebbe essere assimilabile a un poema con una protagonista femminile. Eroina e, insieme antieroina, Valentina vacilla sotto il peso delle contraddizioni, delle bugie che intesse per provare a vincere la lotta tra istinto e razionalità: soccombe per un po’, ma poi si libra nuovamente nell’arcano. Nella saga crepaxiana convivono gli antipodi, al punto che il tema del doppio (presente nella produzione di Crepax anche sotto forma di adattamento a fumetti del romanzo di Arthur Schnitzler, “Doppio sogno”) riemerge in questa grave scissione tra la Valentina “pubblica” e quella della sfera privata: tra logos e pensiero, si potrebbe dire. Il tentativo di svelare i misteri e risolvere i casi in cui si imbatte diventa l’allegoria ma, al tempo stesso, anche il paradosso del dipanarsi degli eventi nella vita della protagonista. Infatti, parallelamente al dispiegarsi delle sue “indagini”, Valentina assiste all’evolversi delle sue relazioni private; e se, nel primo caso, spesso è una forza ignota a guidare i passi della fotografa per condurla verso la soluzione, nel secondo, si comprende come i suoi incontri siano, al contrario, strettamente imparentati con bisogni espliciti o desideri inconsci.
Quali sono, quindi, gli elementi che hanno decretato il successo di Valentina? Senza dubbio, il tratto realistico e, insieme, onirico di Crepax, che ne fa un personaggio concreto e frutto di una allucinazione, al tempo stesso. Così come, molto forte, è la carica erotica che emerge da questo fumetto ma che, senza quella narrazione sapientemente studiata, sarebbe sbilanciata e vacua. Valentina può, quindi, beneficiare di un equilibrio vitale in cui gli elementi si rincorrono, le trame si sviluppano e avviluppano, e nel mezzo c’è sempre lei, un’immagine sensuale di donna, una vera icona au contraire. Una figura, cioè, che non viene celebrata nella sua staticità e inamovibilità ma proprio nel suo essere volubile. Non appare infrangibile agli occhi del lettore, né intatta nel corso del tempo, ma è il suo evolversi, maturare, invecchiare, accatastare ricordi e qualche rimpianto, a renderla somma (disegnata e, insieme, umana) delle sue stesse esperienze, emblema sempre nuovo di una narrazione che dismette i panni della serie antologica per aprirsi alla dimensione contemporanea del romanzo a fumetti.
Letizia Annamaria Dabramo
Pubblicato venerdì 26 Luglio 2019
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