Venerdì 1° maggio 1925, gli italiani riempiono le piazze, celebrano una festa. Lo fanno dal 1890, come nelle Americhe e in Europa, e pure in Asia e in Australia. Bello! Un abbraccio mondiale di uomini e donne che vogliono determinare il proprio futuro. È la Festa dei Lavoratori, giusto? No, scusate. Ho sbagliato festa e luogo, anzi era solo un sogno.
L’Italia del 1925, del 1° maggio 1925, non è quella descritta sopra. Festa dei Lavoratori? Che senso ha, ma soprattutto, chi rappresenta questo grande afflato di unità dei lavoratori a livello mondiale, visto che in Italia c’è già chi pensa a tutto? Nel famigerato discorso alla Camera dei deputati del 3 gennaio 1925, Mussolini aveva concluso: “L’Italia, o signori, vuole la pace, vuole la tranquillità, vuole la calma laboriosa……Noi, questa tranquillità, questa calma laboriosa gliela daremo con l’amore, se è possibile, e con la forza, se sarà necessario…”.
Un passo indietro. È il 26 febbraio 1923, data in cui viene consacrata la fusione tra il Partito Nazionale Fascista e l’Associazione Nazionalista Italiana, che esprimeva come membri Luigi Federzoni, Costanzo Ciano (padre di Galeazzo, futuro genero del duce) e il giurista Alfredo Rocco, colui che scriverà il nuovo codice penale. Nel documento che sancisce l’alleanza, i rappresentanti delle due forze politiche stabiliscono di celebrare l’accordo unitario con l’approvazione di un manifesto, contenente l’appello all’unità nazionale da affiggere in tutte le città italiane nella serata del 20 aprile, vigilia del Natale di Roma, giorno “significante l’avvenuta rinascita della romana grandezza”.
Poco più di un mese dopo, con “italica tempestività”, il 19 marzo 1923 viene approvato dal Consiglio dei ministri il Regio decreto-legge n. 833 (in GU il 20 aprile), proposto dal presidente Benito Mussolini, che abolisce la festività del 1° maggio e fissa la celebrazione del Lavoro al 21 aprile, Natale di Roma. È la prima celebrazione istituita dal primo governo Mussolini che, a partire dal 21 aprile 1924, diviene festività nazionale e denominata “Natale di Roma – Festa del lavoro”. Così, abolendo il 1° Maggio come Festa internazionale, si fa della ricorrenza dei lavoratori una festa nazionalista. Si nazionalizza il lavoro, si irregimentano i lavoratori. Del resto, al governo della nazione c’è il duce del fascismo, non si può pretendere che abbia sensibilità internazionaliste, il socialismo se lo è lasciato alle spalle e fin dal biennio nero è diventato un nemico. …Come direbbe un forlivese: “ma dai su… non scherziamo…”.
Tuttavia, nell’Italia “proletaria e fascista”, il 1° maggio 1925 ha il suo significato. Ma lontano dalle piazze, è negli uffici. Dal momento che non si celebra la Festa dei Lavoratori, il 1° maggio è un normale giorno feriale. Infatti, con Regio decreto-legge n. 582 del 1° maggio 1925, viene istituita l’Opera Nazionale Dopolavoro, allo scopo di promuovere la costituzione e il coordinamento di istituzioni atte a elevare fisicamente e spiritualmente i lavoratori intellettuali e manuali nelle ore libere dal lavoro. Per definizione statutaria l’OND deve curare “l’elevazione morale e fisica del popolo, attraverso lo sport, l’escursionismo, il turismo, l’educazione artistica, la cultura popolare, l’assistenza sociale, igienica, sanitaria, ed il perfezionamento professionale”.
Lo scopo primo dell’OND è inizialmente limitato alla formazione di comitati provinciali a sostegno delle attività ricreative. Le attività dei vari circoli sono indirizzate alla realizzazione di un programma uniforme: istruzione alla cultura fascista e alla formazione professionale; educazione fisica attraverso sport e la promozione del turismo; educazione artistica attraverso teatro, musica, cinema, radio e folklore. Alla fine degli anni Venti viene inoltre messo a punto un programma ricreativo femminile, che implica un accurato addestramento per “l’elevazione morale” delle donne nella società fascista, e corsi di pronto soccorso, igiene ed economia domestica.
L’Opera Nazionale Dopolavoro è un’organizzazione popolare, e si rivela capace di coinvolgere vasti strati della società italiana grazie alle innumerevoli iniziative introdotte. È chiaro che l’OND produce consenso, soprattutto in un popolo che scopre e realizza nuove opportunità, come mai prima. L’OND, cioè, realizza servizi reali e concreti alla popolazione. Basta vedere le diverse foto che ritraggono le gite, le organizzazioni sportive, le bande musicali e tutte le iniziative che permettono ai lavoratori e alle loro famiglie la costruzione di uno spazio nuovo, una sorta di protagonismo.
Il primo intervento strutturale del governo fascista, in tema di lavoro, si innesta nelle tematiche sociali del lavoro, ovvero, le opportunità di crescita dei lavoratori. Quasi a dimostrare al popolo italiano che, dal punto di vista delle politiche interne, le azioni si rifanno a una idea di società progressista, a favore del popolo e per il popolo attraverso l’elevazione dei lavoratori.
Per realizzare questi propositi l’OND è dotata di una struttura salda, anzi, saldissima sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista organizzativo. Dal punto di vista economico e finanziario, l’OND ha personalità giuridica e può ricevere e amministrare contributi, lasciti, oblazioni, donazioni di qualsiasi natura o valore, acquistare e possedere beni, alienare beni di sua proprietà, compiere tutti gli atti giuridici necessari al compimento del suo scopo. Tutti gli atti relativi alle manifestazioni dell’OND sono esenti da imposte e tasse perché è riconosciuto il carattere di utilità pubblica. Il patrimonio dell’ente è costituito da beni mobili e immobili provenienti da associazioni, enti e istituti. Dal punto di vista organizzativo, per l’attuazione degli scopi, l’organigramma prevede: una Direzione generale, i Dopolavoro provinciali (presieduti dai segretari delle Federazioni dei fasci di combattimento) e i Dopolavoro comunali, rionali, aziendali.
A questo punto è necessario la domanda: cosa c’è dentro alle belle scatole? Tra il 1927 e il 1939 l’OND diviene strumento del partito fascista che “vigila” sull’organizzazione del tempo libero. Ovvero, organizza il tempo libero dei lavoratori. Ovvero, attua una politica di controllo attraverso un’azione specifica.
Da una parte l’azione organizzativa: unifica e assorbe tutte le associazioni culturali e sportive sorte prima dell’affermazione del regime fascista. Dunque, uno strumento di penetrazione politica fra le masse che, attraverso le partecipazioni alle iniziative, tendono sempre meno a contestare il regime. Sarà varata successivamente, il 26 novembre 1925, la legge n. 2029 che predispone una mappatura dell’associazionismo politico e sindacale operante nel Regno. Con questa legge, tutti i corpi collettivi operanti in Italia (associazioni, istituti, enti), su richiesta dell’autorità di Pubblica Sicurezza, hanno l’obbligo di consegnare statuti (cioè che cosa è e che cosa fa l’associazione), atti costitutivi (cioè nomi, cognomi e indirizzi dei soci fondatori), regolamenti interni (cioè come funziona l’associazione), elenchi di soci e di dirigenti (cioè nomi cognomi e indirizzi di tutti i soci). Coincidenze?
Dall’altra parte c’è l’azione del partito: è presieduta dal segretario del partito nazionale fascista, ed è posta alle dirette dipendenze del capo del governo, cioè Mussolini. Per onestà bisogna considerare la capacità del regime, non le colpe dei lavoratori e degli italiani in genere, per la costruzione del consenso. Perché è riconoscendo questo, che eleviamo in grandezza tutti gli antifascisti che hanno continuato a opporsi, magari pagando con le botte, la galera o la morte. Uno su tutti: il 22 maggio 1925 Alessandro Pertini subisce il primo arresto per attività antifascista.
Un inciso, non da poco. S. E. Cav. Benito Mussolini, nel 1925 detiene le seguenti cariche: due ruoli politici, Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri; un ruolo nel partito, Duce del fascismo; un ruolo militare, a lui risponde la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, (ricordo che la “milizia” è un corpo armato del partito, riconosciuto per legge dal primo governo Mussolini e pagato dalla Stato…); il governo di un Ente Pubblico, a lui fa riferimento l’Opera Nazionale Dopolavoro.
Possibile che non sia mai venuto un dubbio al Capo dello Stato, cioè a S. A. R. Vittorio Emanuele III? Se ha chiesto chiarimenti, gli saranno bastati? Perché non è intervenuto? Il risultato è la firma di tutte le successive leggi “fascistissime”. Troppo spesso ci scordiamo le responsabilità di Casa Savoia.
La società italiana durante il fascismo comincia a essere guidata, a partire dal 3 gennaio 1925, da un regime che ha tra i suoi scopi quello di mutare il modo d’essere e comportarsi degli italiani, in definitiva il loro stile di vita, per uniformarli al modello sociale ed etico dettato dall’ideologia fascista. La propaganda del regime propugna la conformazione a ideali quali nazionalismo, patriottismo, militarismo, l’eroismo l’esaltazione della civiltà romana. Il fascismo si vuole presentare come l’alternativa a capitalismo e socialismo. Obiettivo finale: la creazione di un nuovo tipo d’uomo, destinato, negli auspici del regime, a guidare l’Italia e Roma a nuovi fasti imperiali. L’OND si inserisce a pieno titolo in questo progetto.
Conclusione. Nel 1925 Paolo Belfiore, che ancora può usare il nome d’arte anglofono Paul Bernard, ci ride sopra con un brano umoristico a evidente doppio senso erotico: “In riva al Po…”. Poco elegante brano da macchietta che, nella metafora degli eventi narrati, invita a stare attenti a quello che può succedere nei pressi dei fiumi. Distratti da facili conquiste, si può essere travolti da una improvvisa “piena nera” che, incontrollata, avanza fino a una esondazione disastrosa, per tutti.
Conclusione bis.
La Festa dei Lavoratori fu riportata al 1° maggio dopo la fine della Seconda guerra mondiale, rirendendo lo status festivo. Un giorno di festa che ci ricorda quanto ancora c’è da conquistare e da migliorare per rendere effettiva la condizione che permette ad ogni cittadino di concorrere al progresso materiale o spirituale della società.
Il 1° maggio ci sono lavori che non si fermano, per la peculiarità specifica di quel lavoro: servizi alla persona, trasporti, chi fa turni nelle aziende, chi si occupa di sicurezza, in ambito culturale, nei settori turistici e così via fino ai politici. “Mestiere” complesso quello della politica, di fatto si è sempre “in servizio”. Un “mestiere” che, a differenza di altri, si sceglie di fare e lo si realizza per volontà popolare. Per questo può non stupire, anzi, può rappresentare un segno di vicinanza ai lavoratori, un Consiglio dei Ministri la mattina del Primo Maggio. A Palazzo Ghigi l’odg aveva, fra l’altro, “un decreto-legge con misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro”. Rappresentare il popolo, per chi fa il “mestiere” della politica, comporta certamente il suo portato di priorità e responsabilità. Fra queste, si potrebbe suggerire, quella di stare dove è il popolo, per esempio nelle piazze del 1° Maggio. Emanare decreti-legge il 30 aprile o il 2 maggio, ne avrebbe ridotto il significato? Sicuramente no. Ma stare negli uffici, il 1° maggio, per chi vuole rappresentare il popolo, può far pensare a una volontà o a un tentativo di svilire la festa. Deviare dal significato, se fossimo a scuola, sarebbe un errore di concetto, cioè un errore grave. Le piazze di lavoratori daranno la loro risposta, così come è successo per i democratici e gli antifascisti il 25 Aprile.
Paolo Papotti, componente del Comitato nazionale Anpi, responsabile gruppo Formazione
Bibliografia
- L’Opera nazionale dopolavoro. Tempo libero dei lavoratori, assistenza e regime fascista 1925-1943 – Elena Vigilante – Bologna, il Mulino
- Consenso e cultura di massa nell’Italia fascista. L’organizzazione del dopolavoro – Victoria de Grazia – Roma/Bari, Laterza
Pubblicato lunedì 1 Maggio 2023
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