(Imagoeconomica, Dimitris Papamitsos)

Nell’affrontare la specificità dei temi di cui si occupa l’Anpi, non possiamo prescindere dal gettare uno sguardo sul nostro Paese nel quadro internazionale e sulle sue principali tendenze di sviluppo. Non può infatti sottacersi che l’Italia come l’intera Europa appare oggi schiacciata dalle esigenze strategiche statunitensi.

(Imagoeconomica, Sergey Bobylev)

Alla esponenziale crescita delle economie dei cosiddetti Brics è corrisposta negli anni la progressiva perdita di peso delle economie occidentali e la minacciosa, per l’economia statunitense, progressiva perdita di centralità del dollaro nel sistema degli scambi internazionali stabilita nel 1944, quando acquisì lo status di valuta di riserva in tutto il mondo. Non è domani la vigilia della sua completa sostituzione con altre valute, compreso l’euro, che rappresenta anch’esso un pericolo per gli Usa, ma la prospettiva del suo accantonamento è inaccettabile per gli Stati Uniti, perché significherebbe per essi dover pagare i propri giganteschi debito pubblico e deficit commerciale estero con la produzione reale di beni e servizi e non, com’è stato finora, distribuendo dollari e quindi in definitiva stampando cartamoneta. Una prospettiva quindi di profondo tracollo del sistema economico Usa. Sistema che inoltre permette il mantenimento della sua poderosa macchina militare in tutto il mondo.

Gli Usa non sono quindi in competizione con la Cina per il primo o per il secondo posto nell’economia mondiale, ma per la sopravvivenza del loro sistema di dominio mondiale. Da quasi dieci anni la pubblicistica statunitense dibatte come per il “Dilemma di Tucidide”, il grande storico ateniese che nel V secolo a.c. si chiese se Sparta avrebbe continuato pacificamente a veder crescere la potenza di Atene. E come sappiamo dalla storia Sparta mosse la Guerra del Peloponneso.

(Imagoeconomica, Carino by Mid)

Oggi, lo sviluppo diseguale dell’economia nelle diverse regioni del pianeta, caratteristico del modo di produzione dominante, ci ha portati in questa nuova fase di scontro verso nuovi equilibri, a cui tutto viene sottomesso, compreso il pericolo di un’incombente catastrofe climatica. Nell’ottica “spartana”, due sembrano le alternative “possibili” agli Usa. Da un lato la guerra totale, che nell’epoca delle armi nucleari corrisponderebbe a una follia. Dall’altro la divisione del mondo in due sfere di influenza, tenute rigidamente separate da un sistema di guerra permanente.

(Imagoeconomica, Carino Ai)

L’odierna situazione di guerra permanente, intanto, se oggi produce una potente ripresa dell’apparato militare industriale statunitense e della sua economia, che ha ripreso a vendere come non mai gas, petrolio, grano e armi, getta invece l’Unione europea ai limiti di una grave recessione e di un continuo saccheggio delle proprie risorse da parte delle corporazioni di Wall Street.

(Imagoeconomica, Christophe Licoppe)

La risoluzione del 28 novembre votata dal Parlamento Europeo chiede invece di colpire la Russia in profondità con missili a lungo raggio, rappresentando una vera e propria dichiarazione di guerra, suscettibile di portare il continente sull’orlo della catastrofe. Sul campo di battaglia i russi stanno continuando ad avanzare. E d’inverno storicamente sono avvantaggiati. L’Ucraina diventa di fango e nel ’41 non avanzarono neanche i tedeschi con milioni di soldati. La guerra la stiamo perdendo anche economicamente. E non ci sono gli Chirac, gli Shroeder, gli Andreotti o i Craxi (cosa siamo arrivati a dover rimpiangere) che seppero opporsi agli Usa.

(Imagoeconomica)

Significativo del periodo che stiamo attraversando è l’allarme lanciato da Moody’s sul debito europeo per la spesa in difesa. Secondo l’agenzia di rating, la corsa al riarmo nei Paesi Nato (quando il diktat euroatlantico era ancora per una spesa al 2% del Pil di ogni Paese, mentre oggi il nuovo segretario Nato, l’olandese Mark Rutte, chiede l’innalzamento della spesa al 3%), complicherà gli sforzi di riduzione del debito e potrebbe indebolire il loro profilo di credito, “esacerbando il conflitto sociale al loro interno”, con tutte le conseguenze che possiamo temere in termini di tenuta democratica. L’Italia con la Spagna, secondo da Moody’s, è il Paese più esposto, con un debito ormai prossimo al 150% del Pil.

Mark Rutte, segretario generale della Nato (Imagoeconomica, via Nato)

Un quadro generale che vuole un’Europa schiacciata, con la crisi verticale della produzione tedesca e le prossime prevedibili ricadute in Italia. Paese, il nostro, dove si è cominciato a tagliare le pensioni di coloro che percepiscono circa 1.500 euro al mese.

Hannover, Germania, protesta dei lavoratori della Volkswagen (IMagoeconomica, Helko Stumpe)

Più in generale con la perdita di peso e di influenza dei maggiori Paesi Ue, si pensi ai militari francesi che si sono in poco tempo dovuti ritirare da Segal, Ciad, Mali, Burkina Faso e Niger. Nelle crisi politiche della Germania e della Francia è l’immagine della debolezza europea.

Sia detto per inciso che in Francia è a pezzi anche il sistema politico presidenziale o semipresidenziale che dir si voglia.

Parigi, 7 dicembre 2024. Volodimyr Zelensky, presidente dell’Ucraina, e Salomé Zourabichvili, la presidente della Georgia che non si dimette (imagoecnomica)

Nelle elezioni della Georgia e della Romania, oltre che nelle leggi contro i diritti dei lavoratori e contro la Stato di diritto dell’Ungheria e della Polonia, c’è l’immagine dei rischi fatali per le nostre democrazie. In Georgia la ex presidente Salomé Zourabichvili rifiuta di dimettersi dopo aver perso le elezioni e aizza la folla come fece Trump quattro anni fa.

Per quanto riguarda la Romania, bisogna sapere che gli Usa hanno beneficiato dell’esproprio di circa tremila ettari di terreno per la costruzione di un aeroporto, e promesso un miliardo di dollari a fondo perduto; pochi giorni prima delle elezioni hanno minacciato che in caso di vittoria del candidato considerato filorusso, dato per largamente favorito, avrebbero negato gli aiuti economici. E a 48 ore dal ballottaggio la Corte Costituzionale, che è di nomina politica ha annullato le lezioni, perché sarebbero state soggette a influenze russe. Dei nove giudici che la compongono, infatti, tre vengono nominati dal Presidente della Repubblica, tre dalla Camera e tre dal Senato.

Lo stesso conflitto e la distruzione della Siria, l’ultimo Stato arabo laico, si inserisce in questo quadro generale: da un lato il prolungamento del continuo massacro di civili in corso da un anno a Gaza, col bombardamento di Damasco e di Aleppo, tra le altre città siriane, dei passi tra Libano e Siria e l’invasione dell’ovest della Siria; dall’altro la guerra non dichiarata da Israele a diversi Paesi arabi, anzitutto all’Iran, a sua volta appena entrato a far parte dei Brics.

Le forze dei ribelli, oggi presentati come ex terroristi islamici, sono state portate in zona dalla Turchia, che a sua volta rivendica il nord della Siria e Aleppo, dove vivono per lo più uzbeki, tagiki, ceceni, con pochi siriani, cresciuti nelle madrasse di Idlib, dove sono stati indottrinati al terrorismo. Al Qaeda ora è dipinta come democratica e liberatrice. Ci sono ovviamente ancora gli Stati Uniti che bombardano aprendo le strade ai jiadisti, mentre in Siria ci sono i porti russi nel Mediterraneo. Quindi tutto è legato al generale scontro in atto, anche alla guerra in Ucraina e alla proiezione di potenza della Russia in Africa. Ora i russi sono impegnati in Ucraina e Hezbollah non può aprire un secondo fronte come avvenne nel 2013.

I curdi si difendono, anche con l’aiuto statunitense, forse in futura funzione antijiadista, alla lunga pericolosi per Israele più di Assad. Nel frattempo rischiano di essere massacrati dalle truppe turche e dai loro alleati. L’Iraq invece non è praticamente più nell’orbita occidentale, dimostrando che la lungimiranza della politica estera Usa è ormai un retaggio del passato.

(Imagoeconomica, Andrea Di Biagio)

In Palestina, Israele, che nel frattempo ha un accordo di tregua col Libano, dove non ha raggiunto i suoi obiettivi e mostra difficoltà di rifornimento di munizioni, pone in essere un inaccettabile piano a lungo termine di occupazione di Gaza, della Cisgiordania e di Gerusalemme, mentre in Italia, a differenza di molti altri Paesi europei, non decolla un vero e proprio movimento pacifista di massa. Ma è questa la sfida attuale, per un vero e proprio cambio di passo di tutti i partiti democratici, i movimenti, i sindacati dei lavoratori, le associazioni, per poter dare vita a un vero movimento pacifico di massa contro il continuo massacro dei palestinesi e contro la prospettiva di scontro, oggi indiretto, tra la Nato e la Russia e in seguito, eletto Trump – ma in questo in continuità con la precedente amministrazione – contro la Cina.

In questo quadro di difficoltà la raccolta fondi di Anpi per Gaza, per la costruzione di un ospedale che verrà gestito da Emergency è fondamentale, Gaza è Palestina e deve rimanere palestinese e pertanto deve essere ricostruita, fornendole anzitutto le strutture sanitarie necessarie. A oggi siamo sorprendentemente a ben oltre 100 mila euro di raccolta e le nostre strutture territoriali stanno continuando molto efficacemente ad impegnarsi.

La campagna per il riconoscimento dello Stato di Palestina va anch’essa diffondendosi, molti Comuni hanno già aderito approvando specifici ordini del giorno.

Prosegue inoltre la pressione sulle istituzioni italiane ed europee per i diritti del popolo palestinese col documento lanciato dall’Anpi e approvato dalle reti pacifiste. Non solo quindi per l’immediato riconoscimento dello Stato di Palestina, ma per il ritiro di Israele dai Territori Occupati, per l’adozione di sanzioni economiche e la cessazione della fornitura di armi, per disdire l’accordo del governo italiano con quello di Israele, della fine di ottobre 2023 (!), per lo sfruttamento del petrolio palestinese al largo di Gaza, per permettere l’immediato ingresso degli aiuti umanitari che vengono bloccati al valico di Rafah, per scongiurare i rischi di epidemie e del diffondersi della poliomelite. Per impedire di usare la fame, la sete, la malattia, come armi contro i civili.

Importante è sicuramente saper tenere sempre tutto legato nella nostra riflessione e nella nostra iniziativa, dalle tensioni internazionali alla restrizione degli spazi di democrazia, dalla perdita di benessere – si consideri che il nostro livello dei salari è tra i più bassi d’Europa e la disoccupazione reale (compresi gli “sfiduciati”) svetta a quasi il 40%, a sempre nuove misure di sicurezza repressive, poiché tutto è in marcia verso l’abisso di una nuova guerra mondiale o di una lunga fase di guerre permanenti, forse ancor prima di una catastrofe climatica.

Nei principi della Costituzione nata dall’antifascismo e dalla Resistenza indichiamo ancora i pilastri della nostra lotta, mentre ci battiamo per la loro completa realizzazione.

Fabrizio De Sanctis, segreteria nazionale Anpi