Chi come me suona la chitarra, coglie nell’improvvisazione un elemento caratterizzante. Nel variegato mondo delle discipline delle arti e dello spettacolo, l’improvvisazione rappresenta un aspetto qualificante. L’improvvisazione è la realizzazione di una performance che mette al centro lo sviluppo dell’inventiva, che viene esternata con una certa facilità e, soprattutto, coglie l’attenzione con immediatezza. L’improvvisazione esce da uno schema prefissato e si attraverso quella pratica che si definisce creazione estemporanea. Ovvero una creazione sul momento assolutamente originale, che nasce nell’istante stesso in cui viene creata.
L’improvvisazione o la creazione estemporanea hanno la capacità di cogliere l’interesse, costruire consenso, stupire, far appassionare, rendere credibile l’esecutore. Dunque, contraddistingue una capacità universalmente riconosciuta. Improvvisare e creare esecuzioni estemporanee, comporta un bagaglio di competenze, tecnica, conoscenza e cultura della propria arte e quant’altro dimostri la consapevolezza del proprio ruolo. Per intenderci con un facile esempio musicale: se dopo qualche lezione di chitarra si pensa di poter suonare come Jimi Hendrix, non si sarà ricordati come esecutori di grandi improvvisazioni, ma come maldestri strimpellatori improvvisati.
Si può affermare che chi è in grado di improvvisare non è un improvvisato? Certamente sì! Infatti, improvvisare è estro come esaltazione delle capacità dell’umano, l’improvvisato sconfina nella faciloneria. Cosa unisce questi due termini? Entrambi agiscono nel campo dell’umano. Praticare un’arte con mancanza di preparazione e dell’applicazione necessarie, e soprattutto con la pretesa di essere capaci, si ascrive alla categoria degli improvvisati.
Una delle arti umane più significative, proprio perché parte dall’umano per agire e intervenire sull’umano, cioè la politica, non sta dando di sé una dimostrazione alta e nobile. Quasi a pensare che sia rappresentata da improvvisati. Il definire la politica come la scienza e l’arte di governare, cioè la teoria e la pratica che hanno per oggetto l’organizzazione, l’amministrazione e la direzione della vita pubblica, la dice lunga sul fatto che non sia il luogo da improvvisati. La pratica della politica significa svolgere una attività che prevede un insieme di provvedimenti con cui si cerca di raggiungere determinati fini. Per la natura complessa dei vari problemi presi in considerazione, le parole che più si addicono all’arte della politica sono: studio dei diversi orientamenti che può assumere l’intervento nella vita delle persone e dei loro probabili effetti; analisi dell’attività dei criteri a cui è ispirata; lo scrivere, il trattare, discutere norme, principi, le regole della politica stessa; la passione, cioè l’agire per conto di ideali o valori, acquisiti o sedimentati nella propria esperienza o nella propria formazione. Un’arte complicata.
Non è facile individuare gli improvvisati in politica. Per non cadere in un elenco nominale e personale, si può fare riferimento ad atteggiamenti, azioni, modi di essere, di dire e di fare. L’improvvisato si presenta come un nuovo; sfoggia giovanilismo e beltà; appoggia il suo consenso nei mass media, sulle tv e nei social; promette rivoluzioni e cambiamenti nell’interesse del popolo; vende risultati veloci e incisivi; autocelebra svolte epocali, come se tutto fosse cominciato con lui, o lei; disegna una idea della politica che è “del fare”; diminuisce le spese della rappresentanza per non sperperare i soldi dei cittadini; propone modifiche costituzionali ad personam; limita la discussione, che è essenza della democrazia; accantona la memoria perché è passato e magari fastidioso; denigra, con parole, gesti e azioni, le Istituzioni che siano italiane o europee (delle quali fa parte e dalle quali riceve lo stipendio); finge di interessarsi alle “questioni del mondo”, per dare risposte qualunquiste, ad esempio sulla guerra e sui migranti.
I problemi emergono quando c’è bisogno di dimostrare di saper studiare, analizzare, scrivere, trattare, discutere. Quando c’è bisogno di dimostrare la capacità dell’arte della politica, si manifesta il retroterra dell’improvvisato. E tutto ciò non è recuperabile, perché è tardi, soprattutto per i cittadini. E quale è la risposta? La costruzione del personalismo individualista.
L’incomprensione è l’atteggiamento più diffuso e il vittimismo è l’arma più usata. Di norma la “colpa” è sempre degli altri, di quelli che c’erano prima, intendendo con “prima” il lasso di tempo che va da ieri a 80 anni fa, a seconda del bisogno del momento. Pratica diffusa è farsi il proprio partitino (magari in Parlamento), oppure cambiare casacca tante volte quante serve. A tutto si associa lo sciolinare ridondante di parole importanti: responsabilità, intesa come strategia di interesse di parte; serietà, agita come opportunità di stare, o meno, nella maggioranza o nell’opposizione. Il tutto condito da un moralismo che permette qualsiasi giustificazione perché “si hanno a cuore, si capiscono e si conoscono i problemi degli italiani”.
Non è, forse, che il problema degli italiani sono gli improvvisati, che, in virtù del loro essere, contribuiscono allo svilimento della politica? Leggere l’astensionismo con questa lente, dimostrerebbe già, in sé, una serietà.
Tanti cittadini si sono lasciati trascinare dall’utilizzo sbagliato di una parola nobile: politica. Usata talmente male che, ormai, ha vaccinato tutti, o quasi tutti al contenuto sbagliato. Perché se ci si abitua alle parole sbagliate, ci si abitua anche ai contenuti sbagliati. Abituati all’improvvisato della politica (uomo o donna che sia), lo si associa sempre al politico, mettendo sempre sullo stesso livello due termini che sono in antitesi. Così politica assume quel “sentire” diffuso che diventa: “tanto non cambia niente”,” tanto sono tutti uguali”, “vanno mandati a casa”, “non sono capaci di fare niente” e quant’altro. Tutte frasi vere che, giustamente, andrebbero a definire la categoria degli improvvisati, ma che, purtroppo, vengono usate per indicare tutto il mondo della politica e delle Istituzioni. Su questo tessuto è più facile inserire concetti fuorvianti il cui massimo esempio lo si trova nella frase: “finalmente abbiamo un Presidente del Consiglio eletto dal popolo”.
Sia chiaro, non tutti i politici sono improvvisati. Guai a generalizzare, politici competenti ce ne sono. Dare credito ai tanti improvvisati, nasconde la capacità e la serietà dei pochi capaci. Da cittadini, prendiamoci le nostre responsabilità.
Paolo Papotti, comitato nazionale Anpi, responsabile nazionale Formazione
Pubblicato martedì 19 Novembre 2024
Stampato il 21/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/idee/editoriali/gli-improvvisati-e-lastensionismo/