Per unanime riconoscimento sia del CLN che degli stessi comandi nazisti, senza la partecipazione delle donne, compresa quella alla lotta armata, (si pensi ai reparti delle Volontarie della libertà e alle staffette) la lotta di Liberazione non sarebbe stata vittoriosa. Ne dimostrava consapevolezza il movimento partigiano, poiché ne parlano diffusamente anche i giornali stampati alla macchia. Si esprime nella Resistenza un nuovo protagonismo femminile.
Furono le donne, a Napoli, dal 26 settembre al 1° ottobre del 1943, a dare un contributo determinante all’insurrezione che costrinse l’esercito nazista a lasciare la città. È a una donna, la dottoressa Marcella Monaco, che due futuri Presidenti della nostra Repubblica, Sandro Pertini e Giuseppe Saragat, debbono la vita e la liberazione dal carcere di Regina Coeli, con falsi ordini di scarcerazione. Fu una donna, Giulietta (Lina) Fibbi, che con un viaggio avventuroso recapitò l’ordine d’insurrezione del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia al CLN dell’Emilia.
È nella Resistenza che le donne, quelle di cui Mussolini aveva detto “nello stato fascista la donna non deve contare”; alle quali tutti i governi avevano rifiutato il diritto di votare, hanno la possibilità di partecipare alle decisioni da cui dipende il loro destino e quello dei loro cari, entrano impetuosamente nella storia e la prendono nelle loro mani.
Nel momento in cui tutto è perduto e distrutto – indipendenza, libertà, pace – e la vita, la stessa sussistenza fisica, sono in pericolo, ecco le donne uscire dalle loro case, spezzare vincoli secolari, e prendere il loro posto nella battaglia, perché combattere era necessario, era l’unica cosa giusta che si poteva fare.
Nel moto resistenziale si saldarono la tradizione socialista delle lotte nelle fabbriche e nelle risaie; le idealità politiche dell’antifascismo; l’opposizione segreta, ma profonda che tante donne avevano coltivato in modo più o meno tacito contro il fascismo, il regime delle cartoline-precetto, che strappava loro i figli e che aveva fatto della violenza e della guerra un cardine della propria politica e ideologia.
Non vi partecipano soltanto le operaie o gruppi di intellettuali, di pioniere dell’emancipazione, di insegnanti o professioniste, ma anche contadine, mezzadre e coltivatrici dirette, casalinghe: una partecipazione che ha contribuito a saldare una comune coscienza nazionale e a far acquisire alle donne una nuova consapevolezza del proprio valore e del proprio ruolo sociale. Le donne avevano all’inizio partecipato in modo spontaneo, mosse da virtù femminili tradizionali, l’attitudine alla compassione, alla cura, alla solidarietà, forse pensando che altre donne in paesi lontani avrebbero avuto lo stesso atteggiamento nei confronti dei loro figli, fratelli, mariti…
“Fu quello – scriveva Maria Bellonci nel ’64 – un tempo meraviglioso per le donne; i loro gesti semplici diventavano straordinaria sapienza perché gli uomini scoprivano il valore quotidiano della vita, dimenticando temporaneamente la loro superbia virile: e man mano che essi intendevano la sacra necessità del cibo, del vestito, del riposo riparato, le donne entravano nel senso grave e universale della libertà e della giustizia, nel mondo delle idee morali…”. Dalle masse femminili veniva al moto resistenziale un patrimonio di valori e ideali tramandati nella famiglia; esso confluì nella Resistenza, in un comune impegno con le forze laiche e socialiste, la tradizione del mondo cattolico. Un innesto di valori e tradizioni diverse, di esperienze tra loro lontane che nella Resistenza si venne strutturando come movimento unitario, nazionale: i Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà (GDD). Gli scopi dei GDD, definiti nel programma appello costitutivo, approvato nel 1944 a Milano, erano finalizzati alla lotta contro il nemico invasore, cioè a un obiettivo generale e comune a uomini e donne; ma l’appello conteneva in nuce alcune delle future rivendicazioni delle donne, in particolare delle lavoratrici, quali la proibizione del lavoro notturno, del lavoro a catena e del lavoro nocivo alle donne, un salario femminile (per lavoro eguale) uguale a quello dell’uomo e un’adeguata assistenza alle madri. E comunque, allora battersi per tali obiettivi diveniva un atto di guerra.
La Resistenza ha contribuito a far sorgere una comune coscienza nazionale tra donne di differenti ceti sociali, di diverso livello culturale e orientamento ideale, e a far loro acquisire una nuova consapevolezza del proprio ruolo sociale e l’aspirazione a conseguire pienezza di diritti e di cittadinanza. Non a caso i GDD affermavano che logica conseguenza della partecipazione delle donne alla Resistenza dovesse essere il diritto di voto. La partecipazione delle donne alla Resistenza è stata dunque il fondamento per la conquista dei loro diritti civili, sociali e politici. È conferma che il cammino delle donne italiane verso la conquista di piena cittadinanza, che vede oggi tante donne ricoprire cariche di responsabilità nel governo, nel parlamento, nelle Regioni e negli enti locali, e svolgere ruoli importanti nella vita culturale, economica e produttiva, ha le radici nella loro partecipazione alla Resistenza.
Oggi, a 70 anni di distanza, possiamo verificare quanto la condizione delle donne in Italia sia mutata: le donne sono presenti in ogni campo della vita economica, sociale e culturale; hanno conquistato parità nella famiglia e il riconoscimento di diritti propri, quelli che derivano dalla loro specificità, dalla differenza sessuale.
Ma non sempre le donne di oggi sanno quanto sia stato lungo e difficile il cammino.
Marisa Rodano, antifascista, membro dei Gruppi di Difesa della Donna, già parlamentare per il Pci e Presidente nazionale dell’Unione Donne Italiane
Pubblicato giovedì 5 Novembre 2015
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