Il movimento di liberazione italiano rispetto alle resistenze che nascono negli altri Paesi europei per contrastare l’occupazione nazista, presenta alcuni caratteri specifici derivanti dal fatto che Mussolini ha voluto l’Italia al fianco di Hitler nei primi tre anni guerra.
Alla notizia dell’armistizio, l’8 settembre 1943 i tedeschi occupano l’Italia per tenere lontano il fronte di guerra dalla Germania. Il Paese, invaso a sud dagli eserciti alleati, è sull’orlo di un collasso totale. Nei territori occupati si costituisce per volontà di Hitler un governo fascista, ora in versione repubblicana, guidato ancora da Mussolini. È la Repubblica sociale italiana (Rsi) che vorrebbe governare il centro nord, ma dipende dai tedeschi militarmente ed economicamente.
La resistenza che nasce dopo l’8 settembre 1943, in parte in modo spontaneo, in parte per l’impegno dei partiti antifascisti, costituisce una sfida quasi impossibile perché ha più nemici da combattere.
In primo luogo gli occupanti tedeschi: è dunque guerra di liberazione nazionale. È questo è l’elemento che accomuna tutti i resistenti per sostenere l’unità e l’indipendenza nazionale.
È guerra contro i fascisti collaborazionisti, quindi contro quella parte di italiani che sostengono ancora Mussolini: è dunque guerra civile perché agisce lo scontro ideologico tra fascismo e antifascismo.
Infine la Resistenza italiana porta dentro di sé una forte componente di classe, che mira non a un impossibile rivoluzione sociale, ma al riconoscimento dei diritti delle classi subalterne, in primo luogo operai e contadini, che nelle fabbriche e nei campi sostengono la resistenza come forma di emancipazione sociale. Peraltro operai e contadini sono la maggioranza nelle formazioni partigiane e trovano appoggio nella popolazione perché contrastano una guerra che significa solo fame, distruzioni e morte.
La Resistenza italiana è quindi un fenomeno complesso sotto il profilo sociale, politico e militare. Ha come fondamento comune l’antifascismo, ma è differenziata nelle componenti militari e politiche, che le danno organizzazione e che pur tra difficoltà riescono a collaborare. Viene costituito un unico organismo politico che è il Comitato di Liberazione Nazionale (Cln) e un unico comando militare, il Comando Volontari della Libertà (Cvl). Grazie a questa unità le giornate della Liberazione dell’aprile 1945 costituiscono un evento straordinario perché le forze partigiane sono in grado di gestire la conclusione della guerra e la ritirata dei tedeschi e dei fascisti, liberando le principali città del nord prima dell’arrivo degli eserciti alleati, salvaguardando le strutture produttive dalle distruzioni, mantenendo l’ordine. Gli Alleati avranno parole di elogio e di riconoscenza per come la Resistenza italiana ha saputo concludere il suo compito.
Al tavolo delle trattative di pace il contributo della Resistenza nel centro nord e del Corpo di Liberazione promosso dal governo del Sud saranno le uniche carte che l’Italia potrà giocare per attenuare le condizioni di pace di un Paese che era stato ideologicamente e militarmente legato al nazismo. È da questa prova che l’Italia ricava le ragioni per superare il drammatico sbandamento dell’8 settembre e aprire un percorso nuovo della sua storia. Da questa prova deriva la Repubblica democratica e il suo riferimento fondamentale, la Costituzione, che nasce dall’accordo e della condivisione delle forze che hanno guidato il movimento di liberazione e hanno elaborato insieme i valori di libertà, democrazia e giustizia sociale.
L’Anpi, l’Associazione che oggi raccoglie gran parte dell’eredità della Resistenza, nel celebrare i suoi 75 anni di vita, si richiama alla valenza nazionale di quell’eredità, al valore dell’unità degli Italiani che trova nel dettato costituzionale il riferimento più alto.
Claudio Dellavalle, presidente dell’Istoreto (Istituto Storico Resistenza Torino), già docente di Storia contemporanea
Pubblicato sabato 25 Aprile 2020
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