Auguri, quindi, ma sapendo che non bastano.
Bisognerà rimboccarsi le maniche per far sì che l’Italia cambi strada, marcia, registro. Perché il più grave pericolo consiste in una prospettiva in cui, passata la tormenta, tutto torni come prima: un sistema sanitario nazionale messo di fatto in secondo piano rispetto alla sanità privata, per cui l’operazione te la fanno ma fra un anno, mentre da quel medico lì, se paghi, fra una settimana sei sotto i ferri; un sistema economico che cancella il valore delle persone e del lavoro, perché, è vero, quello c’è rimasto cadendo dall’impalcatura, ma sono incerti del mestiere, danni collaterali; un sistema politico che rappresenta sempre meno i cittadini perché tu voti ma non sai per chi, perché ha deciso il leader, e dopo il voto chi s’è visto s’è visto e ci rivediamo fra cinque anni; uno stato sociale più latitante di un latitante perché non ci sono soldi, ma la grande impresa orgoglio del Paese ha la residenza fiscale in Olanda, così non paga le tasse; un Mezzogiorno che sembra di stare in un altro mondo, che non è affatto vero che stiamo tutti sulla stessa barca perché c’è chi sta sullo yacht e chi sta sul canotto; una cultura dominante che continua a civettare con le destre più radicali con tanto di libro di Bruno Vespa assieme al panettone che in fondo il fascismo non era poi così male con pubblicità a canali unificati e non si capisce bene chi paga.
Non solo non se ne può più, ma non funziona. L’Italia non si rialzerebbe più. Quale sarà il destino delle decine di migliaia di esercenti che hanno chiuso bottega? Dei lavoratori che hanno perso il posto? Dei ragazzi che se gli va bene pedalano come forsennati per portare una pizza a domicilio e se gli va male passano la giornata sul muretto?
Attenzione: oggi tutti dicono che bisogna cambiare, ma alcuni di questi sono gattopardi ben mascherati: dicono che bisogna cambiare tutto per non cambiare niente.
Invece bisognerebbe dire poco e cambiare tutto. A cominciare dallo Stato: che non sia più il notaio di quello che avviene nella società e nell’economia, ma soggetto attivo della trasformazione generale del Paese, affinché l’Italia sia finalmente una repubblica fondata sul lavoro e non, come credono alcuni, sul Billionaire, affinché la repubblica medesima rimuova gli ostacoli di ordine economico e sociale e non sia perciò inerte spettatrice di ostacoli vecchi e nuovi che, come iceberg, impediscono il pieno sviluppo della persona umana, affinché si riconoscano e garantiscano i diritti inviolabili dell’umano, come non è avvenuto nel caso di Giulio Regeni, e si richieda l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, come non sempre avviene rispetto alle sempre più grandi sacche (altro che sacche!) di povertà e rispetto alla politica verso i disperati che arrivano via mare – quando arrivano – nel nostro Paese. E affinché – vivaddio! – torni nel fango da cui proviene e che è il suo naturale habitat ogni tentativo di riabilitazione postuma della più grande tragedia dell’Italia moderna: il fascismo.
Si può fare? Ci possiamo rimboccare le maniche in tanti? Possiamo dar vita, come abbiamo proposto, a una grande alleanza democratica per cambiare davvero l’Italia? Sì, si può fare. Si tratta di avviare un processo in cui tutti sono attori protagonisti, tutti scrivono il copione, tutti sono registi. E abbiamo iniziato a farlo.
Naturalmente c’è un codicillo da rispettare: prendere il sistema di valori che ci bombarda da ogni media e che ci parla di odi e violenze di ogni tipo, genere, specie, classificazione, ci parla di un nemico che c’è sempre e che è sempre il cattivo, e che è sempre più brutto del buono, ci parla di una competizione costante perché mors tua vita mea, ci parla sempre dell’individuo e mai della persona, ci parla di modelli sociali prestanti e verbosi (no, il talk show no!) e mai dell’umanità silenziosa, dell’infermiera che rischia la pelle, del lavoratore spremuto come un limone spremuto, della disperazione del disoccupato con famiglia e mutuo. In sostanza prendere il sistema di valori generato pari pari dalle gerarchie del sistema economico dominante e incardinato sul valore del denaro (ma specialmente sull’interesse di chi questo denaro ce l’ha). Prendere quel sistema di valori. Prenderlo con molta cura. E gettarlo nella pattumiera della storia.
Questo comporta un carico di responsabilità e di lavoro per i tanti mondi delle tante culture che formano la cultura dominante e il senso comune.
Si può fare? Anche questo si può fare. Sempre se siamo uniti, se va avanti quel processo di comunione di forze democratiche le più diverse che si sta cercando di avviare.
Si può fare perché in Italia ci sono milioni di persone consapevoli del valore della democrazia. Di persone che distinguono la proposta dalla demagogia, la protesta dal rancore, che non hanno la minima intenzione di progettare – come diceva Flaiano – il passato, ma vorrebbero dedicarsi al futuro perché l’umanità si distingue dagli altri mondi animati perché è l’unica specie che vive ogni presente immaginando ciò che avverrà dopo.
Per aspera ed astra, dicevano gli antichi. Attraverso le asperità sino alle stelle. A ben vedere, gli unici sogni che non si realizzano mai sono quelli che non si sognano mai.
Da domani avremo molto da fare. E abbiamo iniziato a farlo da ieri.
Buon anno a tutte e tutti voi quindi. Buon anno agli antifascisti del cervello, del cuore e dell’anima. Buon anno alle persone belle dentro. Buon anno alla nostra povera e grande repubblica democratica. Buon anno alle partigiane e ai partigiani che ci hanno indicato la strada giusta per pensare e vivere. E che sia davvero un buon anno.
Pubblicato giovedì 31 Dicembre 2020
Stampato il 30/10/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/idee/editoriali/buon-anno-auguri-sapendo-non-bastano/