Il 25 Aprile è un giorno di festa. E festa, assieme, significa solennità e dimostrazione di gioia. È solenne la vittoria sul nazifascismo ed è gioiosa qualsiasi liberazione. Gli italiani si liberarono da un mostro a due teste, che effettivamente erano quelle di Mussolini e di Hitler. Non è retorica: mostruoso è ciò che suscita orrore, e l’orrore che si concludeva quel simbolico giorno aveva disseminato il mondo di decine e decine di milioni di cadaveri, aveva accecato coloro che non avevano visto i campi di sterminio, coloro che erano rimasti indifferenti o, peggio, avevano condiviso l’inumano che, in quella misura e con quelle tecniche, non si era mai visto nella storia e nella geografia del mondo.
L’Italia s’è desta, suonano le parole dell’inno di Mameli. Quella patria farlocca, disegnata sulla mascella del duce e bagnata dal sangue dei libici, degli abissini, degli spagnoli, degli slavi, dei greci, degli albanesi, dei francesi, dei sovietici e di tanti, tantissimi italiani, era finita finalmente. Ma non era la patria vera: era la grottesca pantomima di un partito che diceva di rappresentare tutto il popolo, tutta la nazione, tutto lo Stato, e che avocava a sé l’essere patria. Era sì la morte dell’Italia fascista, ma era anche il sorgere dell’Italia “fondata sul lavoro” e che “ripudia la guerra”, come sarà scritto in modo indelebile meno di tre anni dopo. Era una ri-nascita, che avrebbe portato alla repubblica democratica, quella repubblica in cui “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, come recita l’articolo 49 della Costituzione. L’Italia s’è desta, perché riprendeva il cammino avviato da Mazzini e Garibaldi, il sogno che era stato richiamato dalla costituzione della repubblica romana del 1849, la vocazione liberatoria che aveva animato il Risorgimento.
Sembra ieri. O mille anni fa. Ieri, perché mai come in questi mesi abbiamo sentito e sentiamo sulla pelle il valore morale e civile di quel 25 aprile 1945. Mille anni fa, perché mai come in questi mesi abbiamo sentito e sentiamo la distanza fra quel valore e ciò che ci circonda e ci avvolge come le spire di un serpente, e spesso ci lascia senza fiato. Parlo dei nuovi fascisti e squadristi le cui imprese si succedono in modo sempre più frequente. Parlo di chi, da scranni spesso autorevolissimi, civetta con loro alle volte minimizzando, altre compiacendosi, altre ancora utilizzando lo stesso linguaggio, manifestando idee simili, ostentando una sciagurata miscela di superficialità e cinismo, incitando all’odio e al rancore, come per esempio sulla questione dei migranti. “Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo”, scriveva Primo Levi. È una spada di Damocle che incombe sull’intero Paese e che ha già creato la rivolta di una grande parte degli italiani – i democratici, gli antifascisti – che, semplicemente, non ci stanno.
In questa rivolta noi, l’Anpi, siamo in prima fila, non perché – come afferma qualche sprovveduto (o qualche furbacchione) – siamo “un partito”. Non lo siamo e non lo saremo mai. Ma perché l’Anpi esiste in quanto servizio alla repubblica democratica e antifascista, portatrice dei valori della Resistenza, custode della Carta costituzionale. È una novità? Niente affatto. Scriveva Arrigo Boldrini nel 1987: “L’Anpi può a buon diritto stringersi attorno alla Costituzione repubblicana: furono i partigiani a pagare il prezzo del riscatto e i combattenti del risorto esercito italiano, e i deportati e gli internati nei lager”. Se qualcuno vuol riscrivere la storia perché non gli piace la verità, lo dica. Noi, l’Anpi, non ci muoveremo di un millimetro da questa strada tracciata. La strada ci vede in buona compagnia: c’è un mondo di democratici con noi, e noi stiamo con un mondo di democratici. Lo abbiamo già dimostrato consegnando pochi giorni fa al Presidente della Repubblica centinaia di migliaia di firme raccolte insieme per contrastare ogni fascismo e razzismo. È l’unità la bussola della moderna lotta antifascista e antirazzista. Come lo è stata per l’antica lotta: i Cln ne erano l’incarnazione.
Sappiamo bene le pene del tempo in cui viviamo: una politica che è in crisi di valori e di rappresentanza, milioni di famiglie che vivono una situazione economico sociale pesante o addirittura drammatica, un clima generale incattivito e violento. Chi propone la via del nazionalismo esasperato, chi vede nemici ovunque, chi trama per colpire i diritti di libertà di chiunque, a cominciare dalle donne, chi abbaia alla luna ma non opera per il lavoro e l’occupazione, chi istiga i penultimi contro gli ultimi, fallisce inesorabilmente. È dietro l’angolo un’Italia isolata in Europa e nel mondo con un’economia in recessione.
Ma sappiamo anche che da questo passaggio stretto si può uscire proprio con gli strumenti previsti dalla Costituzione: restituire ai partiti la loro funzione di libera rappresentanza, dar vita ad una politica economica che ponga al centro il lavoro ed il progresso abbandonando il binario morto della visione liberista, perseguire l’unità europea come condizione per migliorare la situazione italiana, lottare per una democrazia sociale fondata sulla libertà e sull’eguaglianza, seguire la strada della solidarietà, della dignità e del rispetto, estendere l’area dei diritti delle persone.
Il 25 Aprile è festa. La festa popolare di una piena gioia di vivere, una primavera dell’umanità, un sogno perseguibile per il nostro Paese, una porta aperta per godere di tutti i colori del mondo e non rassegnarsi al grigio o, peggio, al nero. Chi non si rassegna persegue una speranza. E la speranza combattente è quanto di più razionale ci sia: è irrazionale ogni fatalismo, ogni accettazione passiva dello stato di cose esistente, perché la storia non si ferma mai. Questo è l’antifascismo qui ed ora.
Buon 25 Aprile a tutte e a tutti!
Carla Nespolo, Presidente nazionale dell’Anpi
Pubblicato martedì 23 Aprile 2019
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