Foto da http://informailweb.altervista.org/wp-content/uploads/2013/10/La-Gabbia-785x549.jpg
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Perché Stefano Cucchi è rimasto ostinatamente in silenzio, non ha denunciato le violenze subite? Il suo stesso silenzio ha contribuito a occultare per sei anni la verità sul pestaggio furioso di cui fu vittima il giovane geometra romano.

D’altra parte, chi crede alle parole di un detenuto? «Nell’aprile scorso – spiega Luigi Manconi, Presidente della Commissione Diritti Umani del Senato e alla guida dell’associazione A buon diritto – abbiamo pubblicato la vicenda di un detenuto che con un registratore nascosto aveva documentato violenze, minacce, intimidazioni, trascrivendo parola per parola. Il volume Abolire il carcere ha goduto di molta fortuna in libreria. Eppure chi doveva intervenire era “distratto” e solo quando l’audio è stato diffuso in rete si è gridato allo scandalo di un sistema disumano».

Il senatore Luigi Manconi
Il senatore Luigi Manconi

Ora la Procura di Parma ha aperto un fascicolo sulla vicenda di Rachid Assarag, condannato a 9 anni e 4 mesi di carcere e recluso finora in undici istituti di pena diversi. Nel sonoro divulgato si sentono le umiliazioni e le minacce degli agenti penitenziari addetti alla sua custodia, la dissuasione a denunciare. Un operatore sanitario avverte: “Poi gli agenti scrivono nei loro verbali che non è vero… il detenuto è caduto dalle scale… hai presente il caso Cucchi?”. Poi la risposta di un agente alle proteste di Rachid: “Se la Costituzione fosse applicata alla lettera, questo carcere sarebbe chiuso da vent’anni. In questo carcere la Costituzione non c’entra niente”. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha inviato gli ispettori.

Il testo di una delle registrazioni del detenuto Assarag da http://www.repstatic.it/content/localirep/img/rep-parma/2015/12/04/111427905-0b66900b-e296-4609-b93a-b6815b51bb04.jpg
Il testo di una delle registrazioni del detenuto Assarag da http://www.repstatic.it/content/localirep/img/rep-parma/2015/12/04/111427905-0b66900b-e296-4609-b93a-b6815b51bb04.jpg

Più volte l’Italia è stata richiamata o condannata dalla Corte Europea dei Diritti Umani per il trattamento riservato a chi era affidato allo Stato, a cominciare dal sovraffollamento delle carceri: «Dal 2013, dopo la sentenza di Strasburgo per il caso Torreggiani, con nove detenuti stipati in celle di 3 metri – racconta Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone – è iniziato un percorso di riduzione del tasso di presenze: oggi i reclusi sono circa 53mila, due anni fa oltre 67mila. Ancora non basta. Le condizioni di vita sono molto diverse da luogo a luogo, in alcuni istituti sono dignitose, in altre restano inaccettabili. La pena deve essere solo quella prevista dalla Costituzione, cioè non deve andare contro il senso di umanità e deve tendere al reinserimento sociale». Due Presidenti della Repubblica, Saragat e Pertini, furono imprigionati a Regina Coeli durante il fascismo ed erano sensibili al tema dei diritti all’interno delle carceri: «Ora sarebbe necessaria una simile, forte volontà del Governo e dell’Amministrazione Penitenziaria affinché le condizioni diventino uniformi».

Per il senatore Manconi riformare il carcere è invece un’impresa ormai disperata: «Il sistema penitenziario induce a incattivirsi, accentua la propensione criminale. Si esce più criminali di prima. I dati lo confermano: quasi il 70% di quanti scontano interamente la pena commette nuovamente reati. Servono soluzioni alternative, per favorire sanzioni più efficaci, meno nocive e disumane». Appena il 10% dei detenuti possono essere considerati socialmente pericolosi: gli affiliati alle organizzazioni mafiose e chi ha commesso delitti efferati. Il resto della popolazione carceraria è composto da immigrati, dai depauperati dalla crisi economica e dai tossicodipendenti.

Foto da http://www.direttanews.it/wp-content/uploads/cucchi_striscione_solidarieta_famiglia.jpg
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“Un tossico e piccolo spacciatore”, che quasi quasi se l’era cercata, Stefano Cucchi: «Quando ho visto quel corpo ho stentato a riconoscere mio fratello», rammenta Ilaria Cucchi. Solo il coraggio ostinato della famiglia del ragazzo è riuscito a scuotere il Paese e, superando infiniti ostacoli e muri di omertà, a far comprendere che quando un cittadino è affidato allo Stato deve essere rispettato qualunque sia il censo, la nazionalità e persino il suo curriculum criminale. Invece Stefano fu malmenato brutalmente dai carabinieri che lo avevano fermato – come è emerso nell’inchiesta bis della Procura di Roma – e lasciato morire in un letto d’ospedale, semiparalizzato dalla frattura di due vertebre, con la vescica gonfia di urina fin quasi a scoppiare. «Lo Stato aveva abdicato, abbandonandoci – sottolinea Ilaria – e costringendo noi familiari ad assumere un ruolo che doveva essere il suo: la ricerca di verità e giustizia. E noi non abbiamo mai smesso».

Siamo nei corridoi del Palazzaccio, in attesa della sentenza della Corte di Cassazione su anni di processi e verdetti (i giudici si pronunceranno per l’assoluzione degli agenti della penitenziaria e il rinvio in appello di cinque medici): con Patria abbiamo voluto esserci per continuare a seguire da vicino la via crucis di una vicenda emblematica, non ancora giunta alla tappa finale. «Eravamo soli, con il nostro avvocato». L’avvocato è Fabio Anselmo, il legale che “difende i diritti dei morti di Stato”. Così lo chiamano: «Purtroppo, aggiungo io». Preferisce definirsi un semplice avvocato di provincia, Ferrara, dove si occupò della morte di Federico Aldrovandi.

Poi arrivò il caso Cucchi, e quelli di Giuseppe Uva a Varese, Riccardo Magherini a Firenze, Davide Bifolco a Napoli e molti altri. «Nell’aula dove si sta celebrando il processo per la morte di Magherini avverto una sgradevole sensazione, irrazionale forse, di paura e di tensione. Sono molto preoccupato». Anche Rachid Assarag, “ultimo tra gli ultimi”, è assistito da lui: «Per questi casi, ormai divenuti davvero troppi, un’ispezione ministeriale è insufficiente, sarebbe necessaria una commissione d’inchiesta parlamentare per fare piena luce sull’intera gestione dei detenuti». Sulla vicenda Cucchi confida nella nuova inchiesta della Procura capitolina che ha indagato tre carabinieri per lesioni gravissime e due per falsa testimonianza: «Tra pochi giorni però sarà fissata l’udienza per l’incidente probatorio, finalizzato proprio a verificare il nesso causale tra il pestaggio e la morte. Se finalmente saranno nominati periti imparziali,  il capo d’imputazione potrebbe cambiare in omicidio preterintenzionale, come noi chiediamo». (Le ultime notizie sulla scelta da parte del gip di uno dei periti, che non crederebbe siano state le percosse a provocare la morte di Stefano, hanno invece suscitato la reazione indignata della famiglia Cucchi e del loro legale).

Da http://images.jr-international.fr/images_jr/jr/MATN.jpg
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Col suo lavoro, Anselmo è tra quanti hanno dimostrato il pericolo derivante da una grave lacuna nel codice penale italiano, dove il reato si tortura semplicemente non esiste, come ci ha rimproverato più di un volta la Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo, l’ultima pochi giorni fa. Gonnella: «Ad Asti, nel 2004, due detenuti furono spogliati, tenuti in celle di isolamento senza vetri, né coperte. Sono stati percossi e insultati, tenuti svegli giorno e notte, col cibo razionato. Antigone si costituì parte civile. Il giudice competente dichiarò di non poter punire quei gravi reati in assenza di strumenti di legge. Ora il nostro ricorso è stato giudicato ammissibile in Europa».

In Francia la sanzione minima per la tortura è 15 anni, il Regno Unito prevede la detenzione a vita, in Spagna le pene sono più lievi, da due a sei anni. In Germania la tortura è vietata ma non è contemplata nel codice penale, come in Italia. Precisa Luigi Manconi: «Nella Costituzione italiana l’unico delitto di cui si parla esplicitamente per prevedere una sanzione è la tortura, all’art. 13. Che però il nostro ordinamento penale tuttora non ha». Esiste un disegno di legge che porta il suo nome, senatore: «Sì, sta facendo l’andirivieni fra le due Camere, ora giace a Palazzo Madama. È una legge che disconosco perché il testo è stato completamente stravolto. Comunque spetta al legislatore, alla classe politica adempiere al dettato della Repubblica. Se non lo fa è per codardia, per sudditanza psicologica nei confronti dei Corpi della Polizia di Stato e penitenziaria, Guardia di Finanzia e Carabinieri».