“Sentinella, a che punto è la notte?”, recita una citazione biblica. È la domanda che ciascuno di noi pone e si pone, scrutando nell’universo del web e delle tv qualcuno o qualcosa che faccia intravvedere uno sprazzo di luce. Ma oggi è notte, e a vista dobbiamo camminare nell’innaturale silenzio delle città. L’unica cosa certa è che dobbiamo operare per la salvaguardia della vita di tutti. E non è affatto facile, perché la tragedia che viviamo non ha precedenti, cioè non ha ricette collaudate, soluzioni sicure, esperienze vincenti. In attesa di farmaci e vaccini, i provvedimenti assunti in merito al cosiddetto distanziamento sociale sono gli unici che possono garantire una ragionevole speranza di rallentare l’avanzata della pandemia, affinché poi in qualche modo si estingua.
È evidente che in questo periodo siamo privati di diritti elementari, come quello di uscire da casa, ma ciò si spiega con la necessità di salvaguardare un diritto prevalente, quello alla vita, senza il quale non si potrebbe usufruire di alcun diritto. La Costituzione, che pure non specifica una norma relativa a provvedimenti conseguenti a catastrofi di questo tipo, in qualche modo lo prevede, quando afferma (art. 16) che “ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o sicurezza”.
A conferma, ecco l’art. 32: “La Repubblica tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge (…)”. Ma l’urgenza della situazione è tale da non poter attendere l’ordinario iter che accompagna l’approvazione di una legge in parlamento. Le decisioni devono essere assunte qui ed ora, cambiando se necessario di giorno in giorno, come infatti sta avvenendo. Ciò spiega perché sono state assunte decisioni nella forma di decreto del presidente del Consiglio. Siamo insomma in una situazione di sospensione dove, pur seguendo la traccia costituzionale, non è centrale in ruolo del parlamento, che si è anche riunito in forme parziali e discutibili. Tale eccezionalità è però, in questa fase convulsa e drammatica, spiegabile, a condizione che rimanga tale e cioè che, trascorsa la necessità ed urgenza, si ritorni ad una piena restituzione dei diritti ed ad un altrettanto pieno funzionamento delle Camere, che devono esercitare il loro potere prevalente.
Il problema più pregnante oggi, invece, è quello dell’uguaglianza; l’Italia è divisa in due: la maggioranza, pur costretta dalle norme, è relativamente salvaguardata dall’epidemia tramite il distanziamento sociale ed altre tutele connesse; ma c’è una minoranza consistente della popolazione che non è salvaguardata, o è salvaguardata molto meno; si tratta di un lungo elenco: i medici e tutto il personale sanitario, gli addetti ai servizi pubblici, gli addetti ai servizi essenziali, i lavoratori delle aziende fondamentali, larga parte dei giornalisti e tanti altri, tutti coloro, insomma, la cui funzione è necessaria al fine della quotidianità della vita. A questi si aggiungono – si badi – altre categorie: i detenuti, coloro che vivono nei campi rom, gli immigrati irregolari, i clochard. Il rischio a cui sono esposte tutte queste categorie è molto maggiore di quello che corrono tutti coloro che usufruiscono del distanziamento sociale. La questione non si può risolvere astrattamente, ma ogni sforzo concreto dev’essere fatto per ridurre il rischio di chi è più vulnerabile al virus per la sua posizione sociale o lavorativa, a cominciare da tutti gli addetti alla sanità; tanto per essere chiari, colpisce l’elevatissima percentuale di medici contagiati.
Questo governo ha risposto e sta rispondendo a un’ondata travolgente di necessità, di urgenze e di drammi in un modo che è diventato esemplare su scala globale. Eppure è indispensabile che colmi il più possibile il gap di eguaglianza che si è creato nel Paese.
Cosa diventerà questo Paese, l’Europa e il mondo intero quando sarà passata la notte, non è dato sapere. Senza dubbio sarà molto diverso da quello che abbiamo conosciuto, e cambierà in parte forse rilevantissima la nostra vita quotidiana per mille ragioni, a cominciare dalla crisi economica e occupazionale dovuta al lungo blocco delle attività produttive, commerciali e di servizio. Questo sarà il problema, e, per alcuni aspetti, lo è anche oggi, per tutti coloro, per esempio, che hanno visto di colpo interrotta la loro unica fonte di reddito. Si tratta perciò di una priorità assoluta nella gerarchia degli impegni del governo e del parlamento, e più in generale della vita sociale.
Tutto ciò rinvia ad un criterio abbastanza ovvio in ogni emergenza nazionale: l’unità. Eppure, nonostante i pressanti inviti del Presidente della Repubblica che sta svolgendo una funzione davvero meritoria in questa situazione così difficile, siamo sommersi da distinguo, rivendicazioni, blasfemi riferimenti religiosi, persino fake news o insulti da parte di questo o quel personaggio pubblico, magari lo stesso che un mese fa sosteneva l’esatto contrario. C’è chi il 22 febbraio gridava “Blindiamo i confini”, il 27 febbraio diceva “Riaprire e rilanciare le fabbriche, i negozi, i musei”, ed oggi invoca misure sempre più draconiane con l’aria di chi dice “Io l’avevo detto!”. Si tratta – diciamo così – di uno spettacolo imbarazzante e di cattivo gusto, dove sembra prevalere l’interesse di parte sull’interesse nazionale, e dove il senso di responsabilità viene travolto dalla scelta di cavalcare le paure ed anche i rancori che in questo periodo stanno crescendo nel ventre della società.
E c’è infine il contesto europeo dove, alla prima, devastante dichiarazione del 12 marzo di Christine Lagarde, presidente della Bce (“Non siamo qui per chiudere gli spread”), ennesima testimonianza dell’irriducibile incapacità della logica liberista di mettere al primo posto gli interessi dell’umanità, hanno fatto seguito dichiarazioni e decisioni di segno opposto, a cui hanno corrisposto finanziamenti ampi (ma vedremo se sufficienti e ben indirizzati). Ma, fra i tanti eventi di questi giorni, colpisce il sequestro in dogana di mascherine destinate all’Italia da parte della Polonia e della repubblica Ceca, Paesi, assieme all’Ungheria ed alla Slovacchia, di punta del sovranismo in Europa e dei muri contro i migranti. Non si tratta solo di gesti meschini che la dicono lunga sulla qualità dei rispettivi governi; si tratta di atti che colpiscono al cuore quel minimo di unità senza cui l’Unione europea è una parola priva di senso.
Ne discendono due conseguenze. La prima è la necessità di rafforzare il contrasto a ogni sovranismo, forma moderna e rivisitata del novecentesco nazionalismo, in cui con tutta evidenza gli egoismi nazionali entrano in rotta di collisione con gli interessi e i diritti degli altri paesi e che porterebbero inesorabilmente alla dissoluzione della Ue. La seconda è l’urgenza di un’altra Ue, dove comunità, solidarietà, responsabilità, non siano vuota retorica ma pratica quotidiana e dove si ponga al centro dell’interesse dell’Unione il lavoro, il progresso tecnologico e scientifico, l’uguaglianza, la pace. Questo era il Manifesto di Ventotene. Questa era la visione dei fondatori. Questa davanti alla grande crisi economica e sociale che si prospetta, è l’unica, ragionevole strada per salvare l’Europa e gli europei.
Tutti noi, tutti gli italiani sono scossi se non traumatizzati dal precipitare di eventi che hanno sconvolto in pochi giorni la nostra vita ed hanno persino negato la vita ad alcune migliaia di cittadini. Pur nelle mille contraddizioni di questo tempo infame, sappiamo che dopo la notte, dopo ogni notte, sorge l’alba. Non solo l’alba della scomparsa del virus e del ritorno ad una nostra vita piena. Il virus ci ha reso nudi, e questo ci dà la possibilità di essere migliori. Ci danno l’esempio i tanti medici che rischiano la pelle per curare gli ammalati. E forse, dopo, quando sorgerà l’alba, potremo guardarci con altri occhi, e potremo scoprire che c’è un altro modo di convivere e di rispettarci, di organizzare l’economia, la società, la politica, un altro modo di pensare, più libero e civile, un altro modo di vivere. O forse no, forse avverrà esattamente il contrario, con un ulteriore imbarbarimento. Dipende anche da noi. Mai come oggi c’è bisogno da parte di tutti di un nuovo senso di responsabilità nazionale verso gli altri e verso noi stessi.
Pubblicato lunedì 23 Marzo 2020
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