Lucio Caracciolo è fondatore e direttore della rivista di politica internazionale Limes e di Limesonline, testata web che dal 22 settembre è divenuta quotidiana, e scrive su Repubblica. Nell’intervista a Patria, afferma, a proposito del massacro di pacifisti ad Ankara: “Non do nessun credito alla pista che porta allo Stato Islamico, credo sia un’operazione interna alla Turchia”.
Lucio Caracciolo, da attento osservatore ed esperto di geopolitica ritiene che la situazione in Medio Oriente sia destinata a complicarsi ulteriormente con quanto sta accadendo nelle ultime settimane e nelle ultime ore tra Israele e Palestina, con la cosiddetta Intifada dei coltelli?
Si tratta sicuramente di una novità, perché negli ultimi anni la questione palestinese sembrava quantomeno sedata e gli israeliani la consideravano più un fastidio che un problema. La cronaca degli ultimi giorni dimostra che le questioni non risolte si incancreniscono e possono riesplodere da un momento all’altro. Non penso si tratti già, effettivamente, nuovamente, di una vera e propria rivolta come la Prima e la Seconda Intifada, ma il rischio che diventi un fenomeno endemico è altissimo. È un dato concreto che gli israeliani debbano convivere nel prossimo periodo con il rischio permanente di attacchi palestinesi e, naturalmente, che i palestinesi si troveranno a fronteggiare dure rappresaglie.
Intanto in Medio Oriente sono in campo le massime potenze mondiali, Russia e Usa in prima fila, mentre l’Isis continua a esistere e a minacciare. Come valuta l’altro grande scenario di crisi?
È una sorta di guerra sia civile siriana, sia internazionale, contemporaneamente. Dove diversi attori utilizzano forze locali e combattenti stranieri, immessi nel teatro e nel territorio siriano per combattersi direttamente. C’è un fronte composto dall’Iran, dal gruppo libanese Hezbollah, dal governo iracheno, oltre che dal governo siriano, appoggiato dalla Russia. Nel campo opposto ci sono vari tipi di ribelli più o meno legati al jihadismo – dallo Stato Islamico, ad Al Qaida – appoggiati dalla monarchia saudita e dintorni, ma anche più o meno dall’Occidente. Questa guerra può continuare ancora molto a lungo perché la quantità di attori e di risorse coinvolte è veramente notevole.
Ci sono responsabilità dell’Occidente anche nella nascita dell’Isis, lo Stato Islamico di Iraq e Siria?
Lo Stato Islamico nasce nell’Iraq occidentale, ad opera delle forze che hanno combattuto l’invasione americana del 2003, ex militari di Saddam Hussein, con vari gruppi jihadisti e qaedisti intrecciatisi tra loro in questi anni. Godono di un certo sostegno nella popolazione locale che è arabo-sunnita e non tollera l’attuale guida sciita di Baghdad. Questa è l’origine. Poi il gruppo si è allargato alla Siria, inventando il marchio molto attraente dello Stato Islamico, quindi senza frontiere, riuscendo ad attrarre una notevole quantità di combattenti da tutto il mondo. Si tratta di un raggruppamento che è nello stesso tempo terroristico, un’organizzazione di trafficanti – commerciano di tutto, dai carburanti ai reperti archeologici – e anche uno Stato in formazione, cioè sta tentando di creare delle vere e proprie istituzioni nella parte di Medio Oriente che controlla. Se cacciando Saddam Hussein crei un vuoto di potere e non hai con chi riempirlo, ci proveranno altri. Questo gruppo adesso è abbastanza radicato e penso sarà difficile combatterlo.
Quali potrebbero essere i prossimi sviluppi? Per ora si bombarda.
I bombardamenti non sono inutili, ma poi si dovrà condurre un’azione anche su terra, certamente. In questo momento gli unici che combattono sul campo contro lo Stato Islamico sono i Peshmerga kurdi – che però difendono il loro territorio più che addentrarsi in quello dello Stato Islamico – gli iraniani, il governo siriano e gli Hezbollah, Gli altri combattono da fuori o non fanno assolutamente nulla.
Sul filo di questo ragionamento, sembrerebbe avere un ruolo poco determinante la presenza o meno di Assad in Siria.
Sì, la questione Assad mi sembra secondaria: di fronte a 350.000 morti e a milioni di sfollati il destino di un uomo è veramente cosa molto piccola. Se si pensa che se ne debba andare Assad prima di risolvere la questione, bisogna dimostrare che si risolve effettivamente cacciandolo. Francamente, non lo credo. Penso piuttosto serva un compromesso del quale siano parte anche Assad e i suoi. Ma siamo molto lontani.
Perché l’Isis nella sua propaganda non ha mai attaccato Israele, lo Stato ebraico?
Perché ha già abbastanza nemici nell’area, gli stessi di Israele. Mi riferisco all’asse Iran-Hezbollah-Iraq sciita: fanno parte della costellazione nemica di Israele e quindi esiste una coincidenza di interessi fra Stato ebraico e Stato Islamico.
La cosiddetta mezzaluna sciita dunque darà filo da torcere?
Assolutamente sì.
Vista la rete di alleanze, se mutassero gli interessi si potrebbe allargare la zona di crisi? Potrebbe scoppiare una Terza guerra mondiale?
Di certo posso solo dire che si combatterà ancora molto a lungo.
E l’Italia cosa deve fare? Si richiede e si auspica un ruolo italiano in Libia, e si è parlato anche dell’intervento dei nostri Tornado contro l’Isis…
Non bisogna bombardare se non si ha uno scopo preciso. Siccome non lo abbiamo, eviterei di farlo. Sono necessarie strategie a lungo termine.
In Turchia, nella strage contro una manifestazione pacifista sono morte circa 100 persone, forse di più secondo alcune fonti. È stato l’Isis – come sostiene il presidente Erdogan – oppure è responsabile proprio lui, come affermano le opposizioni e i movimenti scesi in piazza?
Molto probabilmente sono stati i servizi turchi a fare questa strage: in vista delle elezioni del 1° novembre Erdogan ha costruito una strategia della tensione per affermare se stesso, alla fine, come garante della pace e della stabilità. E per togliere, forse, anche, un po’ di voti ai nazionalisti di estrema destra. Non do nessun credito alla pista che porta allo Stato Islamico, credo sia un’operazione interna alla Turchia.
Pubblicato venerdì 16 Ottobre 2015
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