Chi erano le donne costituenti? (Segnalo che ad esse, per conto della Fondazione della Camera dei Deputati, ha dedicato un pregevole studio la storica Maria Teresa Morelli.)
Tra quelle per così dire della vecchia generazione, alcune, come Rita Montagnana, Lina Merlin, Adele Bei, Eletta Pollastrini, Nadia Spano e Teresa Noce si definivano – scusate se adopero un termine che apparirà desueto – “rivoluzionarie di professione”: avevano abbracciato un ideale di trasformazione radicale della società e vi si erano dedicate senza riserve; avevano compiuto quella che l’onorevole Giorgio Amendola ha chiamato una scelta di vita. E a causa di quella scelta avevano conosciuto carcere e confino o erano state costrette all’esilio; alcune erano state anche deportate nei campi di concentramento nazisti.
Altre, come Elisabetta Conci, Maria Jervolino, Maria Federici, Angelina Cingolani, Maria Nicotra, Filomena Delli Castelli, Angela Gotelli, Vittoria Titomanlio, erano approdate alla politica per “spirito di servizio”, o per obbedienza al monito papale che in un celebre discorso del ’45, aveva invitato le donne ad assumere responsabilità nella vita pubblica ed esclamato, rivolgendosi loro: “Tua res agitur”.
La on. Ottavia Penna, dell U.Q., invece, aveva alle spalle anni di impegno sociale.
Le più giovani, come Nilde Jotti, Teresa Mattei, Bianca Bianchi, Angiola Minella, Laura Bianchini, Maria Maddalena Rossi, erano state invece sospinte, oserei dire catapultate, nella politica dagli eventi drammatici della guerra di Liberazione.
Malgrado, come si è detto, fosse stata, per alcune una scelta di vita, e sarebbe divenuta per altre (penso, ad esempio a Nilde Jotti e a Elisabetta Conci) un impegno costante di tutta l’esistenza, nessuna di loro avrebbe mai considerato la politica come una professione o una carriera. Si fa forse fatica oggi a immaginare che la politica potesse essere allora una attività nobile e disinteressata, potesse essere considerata, come ha scritto proprio un costituente, Giuseppe Lazzati, “una alta forma di carità”. Ma quelle parlamentari avevano un comune punto di riferimento: aver combattuto contro la dittatura o aver condiviso l’amore per la libertà e la giustizia. Tutte desideravano cambiare la condizione di discriminazione ed emarginazione delle donne, assicurare loro dignità, eguaglianza di diritti e il riconoscimento della specificità di genere.
Questo spiega, come emerge dalla lettura dei dibattiti che si sono svolti nelle sottocommissioni, nella commissione dei 75 e in assemblea, che se il confronto delle idee era franco, talora aspro, esisteva però tra quelle donne sempre una volontà di intesa, una ricerca non di meri compromessi, ma di formulazioni comprensive della ricchezza e validità delle differenze ideali, la volontà di trovare una “convivenza inclusiva”. Ne emerge anche la constatazione di quanto sia stato fecondo l’incontro tra generazioni così diverse non solo per età anagrafica, giacché una generazione non è, come dicono i sociologi, una coorte, cioè l’insieme delle persone nate nello stesso intervallo temporale, ma è composta da quelle che hanno condiviso una comune esperienza storica.
Senza le donne non sarebbero stati scritti nella Costituzione quei principi di parità, che, per la prima volta, introducevano l’idea che la democrazia non è tale se non tiene conto delle donne, che insomma rompevano lo schema tradizionale di una democrazia monca perché monosessuata, e che hanno costituito la base per la trasformazione non solo delle leggi, ma della vita e dello stesso modo di pensare delle donne italiane.
Una conferma di quanto le donne costituiscano, per la vita politica e per le istituzioni, una preziosa risorsa, un valore aggiunto. Le costituenti erano un piccolo drappello, ma hanno dato un contributo essenziale alla elaborazione della nostra Carta fondamentale. Purtroppo non è che nel corso di questi 74 anni, la rappresentanza femminile, nelle istituzioni, sia pur con alti e bassi, sia molto aumentata.
Marisa Rodano, partigiana, già deputata, senatrice e parlamentare europea
Nell’immagine, Guttuso, Donne di zolfatari, 1950
Pubblicato lunedì 1 Giugno 2020
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