Oggi le senatrici sono 112, pari al 35,11 per cento dei parlamentari di Palazzo Madama. Le deputate sono 197, pari al 31,27 della Camera.
Una conquista frutto di decenni di lotte delle donne del nostro Paese: addirittura avevano dovuto dar battaglia e attendere il marzo 1946, quasi un anno dopo la fine della lotta di Liberazione, per veder riconosciuto il diritto di candidarsi ed essere rappresentate nell’organo legislativo preposto alla stesura della Costituzione della neonata Repubblica Italiana.
Per l’epoca fu, comunque, un grande risultato la presenza in Assemblea delle 21 Madri Costituenti (su 556 componenti, cioè al di sotto del 4 per cento). Percentuale che si abbassò ulteriormente nella Commissione dei 75 che aveva il compito di redigere il testo, dove si ritrovarono appena in cinque. Ma sul tema della parità di genere, seppur attualmente piuttosto lontana dalla realtà, dobbiamo molto all’impegno di quelle grandi donne.
Ci siamo chieste cosa accadrà alle donne di questo Paese se vincerà il Sì nel referendum del 20 e 21 settembre, indetto per approvare o respingere la legge di revisione della Carta dal titolo “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato in via definitiva dal Parlamento lo scorso ottobre. Una consultazione per la quale non è previsto quorum.
Se nelle urne prevarrà il Sì, i parlamentari passeranno dagli attuali 945 a 600: 345 in meno, tra senatori e deputati. Secondo il nostro punto di vista, forte dell’esperienza concreta, se dovesse vincere il Sì, a perdere rappresentanza saranno in tanti: le regioni “periferiche”, i partiti più piccoli, le minoranze, chi non ha un forte potere da far valere e, quindi, anche le donne. Lo dice l’ANPI tutta. Lo ribadiamo noi del Coordinamento Nazionale Donne dell’associazione dei partigiani.
Se infatti la riforma dovesse essere confermata, dovendo scegliere tra un uomo e una donna da far eleggere, chi taglieranno i capi dei partiti? Le donne. Ciò già si verifica in ogni elezione amministrativa. E non saranno certo le norme di una legge, ordinaria, sulla doppia preferenza di genere a salvarci dall’oblio della politica. La pur conquistata garanzia che ogni genere sia rappresentato nelle liste dei partiti da almeno il 40 per cento delle candidature non tutela affatto le donne candidate.
Come donne, allenate a guardare i fatti, sappiamo che il più delle volte si presenta il maggior numero di candidature maschili nei collegi giudicati “sicuri”, con elezione certa. Alle donne resta solo il compito da retrobottega di portare voti. Ed è anche per questo motivo che il Coordinamento nazionale donne ANPI invita a votare NO in modo convinto e deciso al referendum di domenica e lunedì prossimi.
L’effettiva parità di genere è lontana e questa legge populista di revisione costituzionale, nata da un attacco qualunquista alla “casta”, per l’ennesima volta riporterà le donne indietro, facendo di loro, più della metà dell’elettorato italiano, figure marginali e sempre più esigue in un Parlamento delegittimano e sempre in minor grado rappresentativo degli interessi di tutte e tutti.
«È il vero tradimento dello spirito costituzionale», ha dichiarato Carla Nespolo, Presidente nazionale dell’ANPI, che invita a votare NO convintamente. Il Coordinamento Nazionale Donne ANPI si unisce all’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia tutta in questo appello.
Moltissime donne, avvezze alla concretezza e non inclini a credere alle promesse fasulle di risparmio dei costi della politica e a una futura legge elettorale, che non c’è neanche in embrione, hanno già capito che rischiano di non essere più rappresentate come dovrebbero, e come è necessario sia, a fronte di una parità effettiva non ancora raggiunta. Voteranno NO.
Come Coordinamento vogliamo ribadire questo NO deciso, partendo ancora una volta dall’articolo 3 della Costituzione italiana, fortemente voluto dalle 21 Madri, che resta la nostra guida contro il fascismo e le oligarchie: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Va ricordato che l’articolo aggiunge: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Forse è opportuno rammentare anche un altro articolo per cui si batterono le 21 Madri, l’articolo 51, il cui testo sancisce: “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”, la cui attuazione, con la riforma su cui le elettrici e gli elettori sono chiamati a esprimersi, diventerà sempre più lontana. Noi votiamo NO.
Coordinamento nazionale donne Anpi
Pubblicato mercoledì 16 Settembre 2020
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