Dopo la presa di posizione della Presidenza e della Segreteria nazionale Anpi sull’accorpamento del voto referendario con il voto per le elezioni in sette regioni e sull’importanza di aprire un dibattito pubblico sul tema, accogliamo volentieri il contributo dell’avvocato Antonio Caputo, Presidente Coordinatore della Federazione italiana dei Circoli di Giustizia e Libertà.
Ci rendiamo conto che il dado è tratto dopo il sì della Camera, e resta il senso amaro della vox clamantis in deserto, ma rimane un pasticcio che smobilita ulteriormente il ruolo del parlamento rappresentativo. Anche in assenza di correttivi.
Il referendum sul taglio dei parlamentari (della democrazia parlamentare?) fu indetto e revocato con D.P.R. del 5 marzo 2020, GU del 6 marzo 2020, senza indicare una nuova data né il termine entro il quale sarebbe stato fissato.
Con il rinvio, devono essere rifissate o fissate le date per il rinnovo di Consigli regionali alla scadenza del termine della legislatura in attuazione dell’art. 122 c.1 Cost. (Liguria, Veneto, Toscana, Marche, Campania e Puglia) oppure a causa di scioglimento anticipato (Valle d’Aosta/ Vallée d’Aoste).
Si parla di giornata elettorale unica che, per rispetto della lingua del bel Paese dove il sì suona (Dante, Inf. XXXIII, vv. 79-80) e fioriscono i limoni (Goethe), non chiamiamo “election day”.
Tale intento emerge dal ddl della Camera dei deputati di conversione in legge del decreto-legge 20 aprile 2020, n. 26, recante disposizioni urgenti in materia di consultazioni elettorali per l’anno 2020, nel testo licenziato dalla Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati e ora approvato dalla Camera.
Un evento, l’accorpamento, non rispondente alle finalità che la Costituzione assegna al referendum costituzionale e materia estranea al dl 20 aprile 2020 n. 26.
L’abbinamento con le consultazioni regionali e amministrative, ragionevole in apparenza, è fuorviante.
La centralità costituzionale della partecipazione popolare, collocata tra i principi fondamentali che definiscono la forma di Stato (art. 1 e art. 3 comma 2 Cost.), imporrebbe di tener conto del particolare favore di cui godono gli istituti partecipativi.
La Corte Costituzionale ha più volte evidenziato che il referendum costituzionale costituisce una «istanza di freno e di garanzia, ovvero, di conferma successiva» o diniego rispetto alla volontà parlamentare.
Il referendum ha natura oppositiva e riflessiva perché interviene su un procedimento decisionale già concluso e interamente affidato al Parlamento.
Essendo parte eventuale di un processo deliberativo perfetto, affidato alle Camere, il referendum costituzionale assume funzione di garanzia ed integrazione della decisione politica. L’assenza di quorum e la volontà di limitare i rischi di strumentalizzazione del voto, non utilizzando il referendum in chiave plebiscitaria, accentuano la funzione di freno della consultazione, volta ad aprire ai cittadini titolari della sovranità (art. 1, “la sovranità appartiene al popolo”), potere costituente mediante il dibattito sulla modifica di norme che riguardano l’assetto dell’ordinamento democratico.
Non è costituzionalmente corretto sottoporre la legge costituzionale a referendum da parte della maggioranza parlamentare, tentando di utilizzare il voto per legittimare una scelta politica, con conseguenze peraltro imprevedibili, come insegna la vicenda del tentativo abortito di riforma costituzionale Renzi/Boschi del 2016.
L’uso strumentale del voto comprometterebbe la funzione di garanzia pensata per tutelare le minoranze, con il rischio, accentuato dal Covid 19, di trascinamento distorsivo del voto.
Ragionare “cedendo” all’emergenza, equivarrebbe a mettere in quarantena la Costituzione, lasciando spazio all’idea che determinate garanzie, tutele e diritti possano valere solo in una situazione di “normalità.
Il perdurare dell’emergenza ha reso evidente come non vi fossero le condizioni per fissare la data per la consultazione entro il termine indicato dall’art. 15 co. 1,1 n. 352 del 1970 di sessanta giorni dall’ordinanza di ammissione dell’Ufficio centrale per il referendum (che è del 23 gennaio 2020).
In deroga alla legge sulla disciplina del referendum, è intervenuto l’art. 81 del decreto-legge n. 18 del 2020 per cui il referendum è fissato entro duecentoquaranta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza che lo ha ammesso.
Anche la soluzione legislativa è evidentemente provvisoria e, appena rientrata l’emergenza, il Governo avrebbe dovuto confrontarsi con il comitato promotore, con i capigruppo, con le forze di maggioranza e opposizione, per stabilire i tempi del voto.
Peraltro le Regioni chiamate al voto sono sette, mentre sono moltissimi i Comuni (anche di ampie dimensioni) in cui si svolgeranno le amministrative e dunque è alto il rischio di un’alterazione asimmetrica territoriale nell’espressione del voto laddove, per qualsiasi consultazione popolare, il momento precedente al voto va salvaguardato per proteggere il confronto pubblico e preservare la funzione che la Costituzione assegna ad ogni specifica consultazione popolare.
Ogni scelta andrebbe presa non guardando all’interesse e alle convenienze politiche contingenti, ma proteggendo quella che Schmitt considerava l’«essenza» della democrazia, ovvero, la formazione dell’opinione pubblica democratica.
Avv. Antonio Caputo, Presidente Coordinatore della Federazione italiana dei Circoli di Giustizia e Libertà
Sul referendum per la riduzione del numero di parlamentari vedi anche https://www.patriaindipendente.it/idee/cittadinanza-attiva/perche-no-al-referendum/
Pubblicato mercoledì 17 Giugno 2020
Stampato il 23/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/cittadinanza-attiva/il-referendum-e-la-data-sbagliata/