Il 19 giugno 1923 Benito Mussolini diventava cittadino onorario di Firenze. Si trattava di uno dei primi conferimenti degni di nota per il dittatore, accolto alla stazione di Santa Maria Novella dalle autorità civili e militari sulle note di Giovinezza e al grido «Viva Mussolini», come disposto dal sindaco Antonio Garbasso, perché «Viva Mussolini vuol dire Viva l’Italia» (la Stampa, 20 giugno 1923). Nuove intitolazioni sarebbero seguite a luglio, a Napoli, e poi in autunno, quando Bologna, Perugia e Ravenna omaggiarono il duce in occasione del primo anniversario della marcia su Roma.
A un secolo di distanza dai primi conferimenti – revocati a Firenze, Napoli, Modena e Ravenna, tra gli altri, non a Bologna e Perugia – la questione delle onorificenze municipali a Mussolini risulta ancora attuale. Negli ultimi anni, attorno al tema sono nati un discreto interesse e non poche polemiche: lo scorso febbraio a Salò, cittadina simbolo dell’esperienza della Repubblica sociale italiana, anonimi affiggevano sotto il loggiato del municipio uno striscione di protesta contro Mussolini «cittadino dis-onorario di Salò» rinnovando implicitamente la richiesta di revoca del titolo, già rifiutata nel 2019. Nell’aprile 2022, il Consiglio comunale di Carpi respingeva la proposta di ritirare il fregio avanzata dal consigliere Pd Alberto Bellelli. Pochi mesi prima, nel novembre 2021, la scelta del Consiglio comunale di Anzio di confermare la cittadinanza a Mussolini, negando il riconoscimento alla sopravvissuta ad Auschwitz Adele di Consiglio, aveva convinto la poetessa Edith Bruck a rifiutare il Premio per la pace conferitole dalla città.
Su questa stessa rivista, in più di un’occasione sono state descritte le problematiche sollevate all’interno delle assemblee municipali attorno alla questione delle onorificenze mussoliniane, il cui ritiro, lungi da promuovere occasioni di convergenza e di confronto sul passato dittatoriale, finisce non di rado per provocare polemiche e divisioni. Una tendenza ricorrente soprattutto laddove ad amministrare sono coalizioni di centro-destra, ma che non ha risparmiato neppure le giunte di centro-sinistra di Bergamo (2015-2016) e Bologna (2021). Anche alla luce dell’attuale contesto politico, le discussioni sorte attorno alle cittadinanze mussoliniane rappresentano indicatori utili a rilevare la capacità degli italiani di fare i conti con una figura storica complessa, ma inequivocabilmente portatrice di significati contrastanti con i principi costituzionali, come pure a misurare il livello di maturità politica di una comunità e dei suoi rappresentanti locali.
Per chi di mestiere di occupa dello studio del passato, a sorprendere sono soprattutto i richiami al valore storico delle cittadinanze mussoliniane, che esprimerebbero fatti ormai storicizzati, testimonianze di un sentimento popolare certamente distanze da quello odierno, ma che non meriterebbe di essere «cancellato» con operazioni «giacobine». In realtà, argomentazioni come quella appena richiamata sono indicative di un dibattito perlopiù appiattito sul presente, che spesso ignora il reale contesto politico e sociale dell’Italia del 1923-1924 e interpreta – talvolta ingenuamente, talaltra convenientemente – le onorificenze a Mussolini come riconoscimenti legittimi e spontanei, espressione di una genuina volontà popolare. Una tendenza che ha ostacolato lo sviluppo di considerazioni più consapevoli attorno al problema, laddove proprio nel passato sarebbero da ricercare le risposte a domande fondamentali: fra tutte, quale significato storico e politico attribuire ai conferimenti durante il fascismo, che di rado furono espressione di un sentimento popolare, quanto, piuttosto, frutto di sollecitazioni provenienti dal potere politico.
La tendenza a tributare riconoscimenti municipali a Mussolini iniziò a prendere piede tra la tarda primavera e l’estate del 1923, in seguito all’annuncio di speciali provvedimenti in favore di Napoli: il previsto sviluppo del porto, assieme alla realizzazione della ferrovia Roma-Napoli, prospettavano un periodo di crescita e prosperità non soltanto per il capoluogo, ma per l’intero Mezzogiorno. Questo, almeno, fu il pensiero delle molte municipalità della Terra di Lavoro, al tempo estesa tra Campania, Lazio e Sannio e avente come capoluogo Caserta, che conferirono la cittadinanza a Mussolini in corrispondenza della festa dello Statuto del 3 giugno 1923. La provincia, poi soppressa nel 1927, aveva peraltro già conosciuto il volto violento dello squadrismo, con i fascisti che, assieme alle camicie azzurre nazionaliste, avevano spazzato via ogni forma di associazionismo socialista nell’estate 1923. Il 31 luglio seguente fu poi la stessa Napoli a deliberare la concessione del titolo, la cui pergamena celebrativa sarebbe stata consegnata al dittatore con una grande manifestazione pubblica nel settembre 1924.
È quindi nei mesi immediatamente seguenti la marcia su Roma che si collocano i primi conferimenti di cittadinanze onorarie a Mussolini. Si configurano come iniziative provenienti da Consigli comunali ormai fortemente fascistizzati e si inseriscono nel contesto della sistematica repressione delle opposizioni e della promozione della figura del dittatore: tra il maggio e il dicembre 1923, un’ondata di violenza squadrista travolge le superstiti amministrazioni non fasciste, portando al rovesciamento di 368 consigli comunali e preparando la strada per lo scioglimento di altre 278 Assemblee nel 1924. Le numerose elezioni amministrative tenutesi tra il 1922 e il 1923 vedono i fascisti ricorrere sistematicamente alla violenza e sfruttare appieno i vantaggi derivanti dal controllo delle strutture statali (M. Millan, Squadrismo e squadristi nella dittatura fascista). Conseguentemente, l’attribuzione di titoli onorifici a Mussolini rappresenta per i vincitori un modo di testimoniare il proprio successo, attraverso una serie di celebrazioni che raggiungono il culmine con le manifestazioni bolognesi e perugine dell’ottobre 1923.
L’avvicinarsi delle elezioni politiche del 6 aprile 1924 porta poi a un’evoluzione nell’utilizzo delle onorificenze. Anche grazie all’opera svolta nei territori da prefetti e camicie nere, il cosiddetto «listone nazionale» raccoglie quasi il 65% delle preferenze che, in virtù della legge Acerbo, assicurano ai fascisti oltre i due terzi dei seggi alla Camera. Quella uscita dalle urne è una maggioranza larga, ma non sufficiente a consegnare a Mussolini il pieno controllo del Paese: il potere dei ras rimane solido in periferia, dove meno forte risulta la presa del partito; allo stesso tempo, anche i fascisti moderati e i convertiti dell’ultimo momento non danno garanzie di affidabilità. Le forze fiancheggiatrici, partendo dal mondo reducistico, rivendicano inoltre una propria autonomia, mentre le masse operaie si confermano distanti dal fascismo, che non aveva sfondato nelle grandi città industriali dell’Italia settentrionale. Ai problemi interni, si somma la presenza di un’opposizione parlamentare numericamente esigua, ma determinata nell’esporre le violenze e i brogli che avevano contraddistinto la tornata elettorale: compito di cui si fa carico il segretario del Partito socialista unitario Giacomo Matteotti il 30 maggio 1924.
Il conferimento delle cittadinanze onorarie a Mussolini, in tal contesto, inizia a configurarsi come uno strumento di sostegno al governo. Prototipo di tale operazione è la città di Roma: a pochi giorni dalle elezioni, il 10 aprile 1924 perviene al commissario straordinario della capitale la richiesta di conferire al duce l’onorificenza, concessa nella suggestiva cornice del Campidoglio il 26 aprile seguente, in occasione delle celebrazioni per il Natale di Roma. L’iniziativa diviene così oggetto di una precisa programmazione politica, sviluppatasi appieno nelle settimane seguenti sotto la regia del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giacomo Acerbo, che il 7 maggio invita i prefetti a premere sulle amministrazioni locali, «nel modo che riteranno [sic] più opportuno», con lo scopo di far «comprendere alle Amministrazioni Comunali della Provincia devote al Governo tutto l’alto significato che assumerebbe il conferimento rispettivamente deliberato della cittadinanza onoraria a S.E. il Presidente del Consiglio dei Ministri» (AsGe, Prefettura. Gabinetto 1879-1945, b. 7, f. 4, circolare del 7 maggio 1924).
L’operazione è smascherata dal «Mondo», il quotidiano di Giovanni Amendola e Andrea Torre, che il 21 maggio mette in evidenza il tentativo di creare un consenso fittizio attorno al governo fascista: consenso al quale «sono assolutamente estranee le popolazioni dei comuni italiani, le cui preferenze non si esprimono per mezzo dei Regi commissari e molto meno per imposizione dei partiti» (il Mondo, 21 maggio 1924). Il quotidiano romano si conferma tra le più importanti voci di critica al fascismo, il che ne avrebbe infatti forzato la chiusura nel 1926. La denuncia verso l’ondata di conferimenti è immediatamente ripresa dalle principali testate italiane, dal socialista l’Avanti alla Stampa, al Corriere della Sera, ma non riesce ad arrestare l’operazione: agli inizi di luglio 1924 una nota interna della presidenza del Consiglio stima in quasi 7.000 i Comuni che hanno conferito la cittadinanza a Mussolini, pari a circa l’80% del totale.
Utile a evidenziare il carattere coercitivo dell’operazione è il caso di Genova. Fino al maggio 1924, la città è retta da un’amministrazione a base liberale-combattentistica, eletta nel 1920. Grazie anche alle capacità politiche del sindaco e senatore Federico Ricci, nonché al sostegno popolare attirato da una gestione coscienziosa della cosa pubblica, la giunta era sopravvissuta fino a quel momento ai tentativi di fascistizzazione, fattisi particolarmente insistenti dopo le consultazioni elettorali dell’aprile 1924. Nel mese di maggio, la proposta di un consigliere fascista di conferire la cittadinanza onoraria a Mussolini incontra la ferma opposizione di Ricci – il quale, del resto, non farà mai mistero della propria avversione al fascismo – e della maggioranza consiliare. Nel giro di pochi giorni, la vicenda porta alle forzate dimissioni di Ricci e dell’intera amministrazione, consentendo così la nomina di un commissario prefettizio e l’immediato conferimento al duce della cittadinanza genovese.
Tale risvolto solleva a livello nazionale un notevole clamore, alimentato dalle residue testate antifasciste pronte a denunciare come «la legittima rappresentanza di una grande città debba abbandonare il suo posto e lasciarlo ad un commissario per un gesto di omaggio che non ha voluto compiere o per un atto di adesione ad un indirizzo politico, che può anche non approvare» (il Mondo, 21 maggio 1924). Quanto avvenuto a Genova nel maggio 1924 assume particolare importanza nell’analisi delle cittadinanze mussoliniane: con la caduta dell’amministrazione Ricci sono resi evidenti il carattere coatto e la funzione strumentale dei provvedimenti. Inoltre, la vicenda conferma quanto minuto e opprimente fosse il controllo del potere politico già nell’Italia 1924, nonché quanto variegate risultassero le forme di violenza che tale potere era in grado di esprimere.
Lungi dal rappresentare sincere e spontanee manifestazioni di stima al nuovo presidente del Consiglio – come, ancora oggi, talvolta presentate – le cittadinanze mussoliniane costituiscono testimonianze eloquenti e rilevatrici del vero volto di un regime pronto a mobilitare ogni risorsa per raggiungere gli obiettivi prefissati. Piuttosto che reminiscenze di scelte che gli italiani non furono affatto chiamati a compiere – ma, al massimo, a legittimare posteriormente –, esse sono l’ennesima conferma della presa soffocante esercitata dalla dittatura in ogni angolo del Paese: anche in forme diverse da quelle tradizionalmente riconosciute, anche all’interno delle assemblee teoricamente più immediatamente rappresentative ed espressive della piena realizzazione democratica.
Nell’aprile 2024 ricorrerà il centesimo anniversario di gran parte dei conferimenti tributati al dittatore. L’auspicio è che, laddove ancora necessario, i rappresentanti locali siano, finalmente, chiamati a fare i conti con la storia negando ogni forma di cittadinanza a Mussolini e al fascismo.
Michelangelo Borri, Università degli Studi di Udine e Trieste *L’articolo rielabora il saggio «Il cittadino d’Italia». La cittadinanza onoraria a Benito Mussolini, in «Passato e Presente», 118, 2023, Doi: 10.3280/PASS2023-118005
Pubblicato venerdì 2 Giugno 2023
Stampato il 21/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/finestre/quella-revoca-al-duce-che-afferma-antifascismo/