A Konotop, oblast’ di Sumy, in Ucraina, un uomo, un tedesco, scrisse questa contabilità delle “azioni secondo l’uso di guerra”, cioè la fucilazione immediata di uomini e donne, bambini maschi e femmine. Come fu possibile?
Sul nazismo non hanno mai cessato di interrogarsi storici e sociologi, sopravvissuti e politici. Ora sembra che sia più che mai necessario riprendere il discorso con le nuove generazioni perché non ci si ritragga nel guscio grigio dell’indifferenza di fronte alla “frammentazione del mondo e alla depersonalizzazione delle relazioni umane” (Tzevan Todorov).
Contro questo rischio la risposta è nella memoria: occorre che tutti ricordiamo per salvarci da un’altra catastrofe dell’umanità. Di fronte all’obbligo della memoria gli insegnanti, su cui pesa la responsabilità di sostenerla storicamente, avvertono spesso un certo disagio perché sul tema del nazismo si può correre un duplice rischio: da un lato il rigore storico, se inteso soltanto come “ricostruzione dei fatti come avvennero”, può indurre a collocare in un passato concluso una ferita ancora aperta; dall’altro, se si vuole trarre da questo passato una lezione per il futuro si cerca di attivare la sensibilità attraverso ciò che rende visibile, concreto, sofferto il ricordo delle vittime dell’antisemitismo, su cui bisogna assumersi una responsabilità affermando Mai più. Ma questa può essere solo una soluzione retorica del problema.
Scrisse Primo Levi: “nell’odio nazista non c’è razionalità: è un odio che non è in noi, è fuori dell’uomo, è un frutto velenoso nato dal tronco funesto del fascismo, ma è fuori ed oltre il fascismo stesso”. L’antisemitismo è dunque il Male assoluto?
Ma il male “assoluto” (ab-solutum) è per definizione il male in sé e per sé, sciolto da ogni condizionamento delle vicende umane, fine a se stesso, presente nella storia, ma oltre la storia. E, se contro questo Male non si può combattere, Mai più è solo un sollievo moralistico e non basta l’ostensione mediatica delle vittime della Shoah in omaggio alla memoria, non basta Anna Frank, non bastano le visite ai campi di sterminio.
Diceva ancora Primo Levi: questo è il tempo di “capire il carnefice”, di comprendere come furono generate le sue azioni mostruose. Queste possono ancora nascere dalla normalità di un qualsiasi tronco funesto, e per combatterle bisogna conoscerle e capirle. Bisogna rendersi conto di come fu possibile per un essere umano avere la freddezza burocratica con cui compose la tabella redatta a Konotop nell’oblast’ di Sumy, Ucraina, il 21 novembre 1941.
Qui vengono meno le più frequenti spiegazioni: non siamo di fronte alla tragedia della razza ebraica maledetta in secoli di antisemitismo che racconta George L. Mosse, né c’è la motivazione che muoveva i “volonterosi carnefici di Hitler” di Daniel Jonah Goldhagen, convinti che distruggere il male ebraico fosse un dovere patriottico. E non siamo neppure davanti alla banalità del male di un Adolf Eichmann, un mediocre che volendo sfuggire alla sua mediocrità volutamente ignorava la gravità delle sue azioni. Qui c’è semplicemente la disumanità dell’umano.
In Uomini comuni. Polizia tedesca e soluzione finale, di Christopher R. Browning, il Battaglione 101 – riserva di polizia agli ordini delle SS – formato da operai, impiegati, commercianti, artigiani, uomini comuni appunto, per di più arruolati da poco e dunque non incalliti da una lunga esperienza, il 13 luglio 1942, in un solo giorno, rastrellarono nel villaggio polacco di Józefów 1. 800 ebrei e uccisero donne, vecchi e bambini. E Browning amaramente conclude: “All’interno di ogni collettività sociale, il gruppo di riferimento esercita pressioni spaventose sul comportamento e stabilisce le norme morali. Se gli uomini del 101 divennero assassini, in circostanze analoghe quale gruppo umano può reputarsi immune da un tale rischio?”.
William Sheridan Allen, in Come si diventa nazisti, studiò proprio queste circostanze in una cittadina della Bassa Sassonia, Thalburg (nella realtà si chiamava Nordheim), dove più del 60 per cento della popolazione apparteneva alle classi medie e superiori. Non c’è nulla come una piccola comunità capace di spiegare la nascita e l’affermarsi delle pulsioni distruttive nella gente comune, e quelle erano le circostanze in cui tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta fu uccisa a tappe la democrazia, senza che qualcuno allora se ne rendesse conto.
In quel tempo a Thalburg (o Thalberg), sullo sfondo della depressione economica, operai e impiegati, commercianti e giornalisti del quotidiano locale, reduci di guerra e piccoli funzionari statali discutevano nel Club dei giardinieri, nella Società di pronto soccorso, nel Dopolavoro ferroviario, nella sezione di qualche partito, o in piazza, di piccole vicende locali, fatterelli non connessi fra loro, e nessuno si accorgeva che ognuno di essi era un piccolo passo verso l’orlo del baratro. Dal punto di vista politico, oltre a diversi piccoli partiti, due erano quelli effettivamente in gara: la Nsdap (Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi) e la Spd (Partito socialista di Germania) si contendevano i voti della piccola e media borghesia, e dei lavoratori delle poche industrie e dell’agricoltura.
Dopo il 1928 quelli della Nsdap cominciarono a vincere, e poi a stravincere, perché furono abili a proporsi come coloro che si sarebbero battuti “fino alla morte” per l’onore tedesco contro lo spettro del comunismo e l’umiliazione di Versailles, come i soli capaci di risolvere i mali prodotti dall’insipienza della classe politica democratica, la crescita della disoccupazione, la caduta dei consumi, l’angoscia per il futuro. Di elezione in elezione, a Thalburg e in tutta la Germania, con la loro divisione le forze progressiste andarono allo sbando. Nel 1933 la strada era spianata per Hitler che, con il 44% dei voti ottenuti nell’ultima elezione, diventò democraticamente cancelliere, poi capo dello Stato un anno dopo, alla morte di Hindenburg. E cambiò tutto.
Il dominio nazista, a Thalburg come ovunque, si impossessò di tutte le funzioni pubbliche, dalla carica di bidello a quella di sindaco, che diventarono il suo braccio operativo; i gruppi politici, gli antichi sodalizi religiosi e le società di mutuo soccorso, i centri culturali furono sciolti, o costretti a sciogliersi, mentre sorgevano associazioni per l’indottrinamento e l’inquadramento della popolazione.
In questo clima, con il “Decreto dei pieni poteri” che dichiarò lo stato di emergenza, il 22 marzo 1933 si apre a Dachau il primo campo di concentramento sperimentale in cui vanno rinchiusi i funzionari comunisti o filomarxisti e tutti coloro che “mettono in pericolo la sicurezza dello Stato”. Anche a Thalburg avvengono le prime deportazioni e violenze naziste contro i minimi segni di dissenso, ed è martellante la propaganda del Reich per formare nei tedeschi la consapevolezza di appartenere a una razza eletta, destinata al dominio del mondo. Alla fine del 1935 a Thalburg la comunità civile, la socialità del passato non esisteva più.
Nella notte fra il 9 e il 10 novembre 1938, la “Notte dei cristalli”, da Berlino ai più sperduti villaggi rurali fu sperimentato a livello di massa il potere che ognuno, in quanto tedesco, aveva di stabilire chi fosse degno di essere considerato un essere umano e chi non lo fosse.
Disumanizzando gli altri l’uomo disumanizzava, e disumanizza, se stesso. Questo è necessario capire e ricordare anche oggi perché abbia un senso dire Mai più.
Kommandostab Reichsführer-SS
28 luglio 1941- Ordine speciale del Comando del Quartiere generale.
Oggetto: Direttive per il rastrellamento sistematico e la perlustrazione dei territori paludosi affidato alle unità di cavalleria SS.
“Se la popolazione è formata da persone ostili e spregevoli sotto il profilo umano e razziale, tutti gli individui sospetti di sostenere i partigiani dovranno essere uccisi. Donne e bambini saranno trasferiti.”
12 agosto 1941, Regg. di Cavalleria SS. Gruppo squadroni a cavallo. Rapporto sulle operazioni nelle paludi del Pripjet.
“Il sistema di sospingere donne e bambini nelle paludi non ha avuto il successo che si poteva attendere non essendo le paludi abbastanza profonde perché potesse conseguirne un affondamento.”
Firmato: Capitano delle SS Magill
La faccenda fu certo risolta nel solito modo, con le “azioni secondo l’uso di guerra”.
Aurora Delmonaco, storica, componente Formazione Anpi nazionale
Pubblicato domenica 18 Giugno 2023
Stampato il 23/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/finestre/mai-piu-ricordare-come-sia-accaduto-per-non-ripetere-la-catastrofe/