Il presidente del Consiglio e i ministri della Repubblica, all’atto della loro nomina, giurano sulla Costituzione, impegnandosi a rispettarla e ad attuarla in tutte le sue parti. Ma effettivamente questo Esecutivo lo fa? That is the question.
Abbiamo visto e sentito un governo che, come proprio impegno di programma, ha dichiarato di “non disturbare” chi fa impresa; cioè chi investe in attività produttive di beni e servizi, attività commerciali e finanziarie; e con loro manager, amministratori, direttori generali e via dicendo. Solo a costoro si rivolgeva specificamente la presidente del Consiglio.
Eppure la Costituzione dice che l’Italia è una repubblica democratica (e cioè che favorisce la partecipazione di tutti alla gestione della vita pubblica) fondata sul lavoro; e il lavoro, per definizione, è anche l’attività di chi presta opera. Per cui, le attenzioni del governo dovrebbero riguardare anche i prestatori d’opera e non solo i datori di lavoro. Cioè, si dovrebbe avere altrettanta attenzione verso chi di solo lavoro vive, anziché sottovalutarne l’esistenza.
Ma, su sollecitazione di vari schieramenti, allorché si è proposto di aggiornare, con apposita legge, i livelli retribuitivi dei prestatori d’opera, collocati al penultimo posto in Europa, il governo ha voltato la testa da un’altra parte, proprio per non “disturbare” chi deve (e sottolineiamo il “deve”) pagare gli stipendi.
E ciò in barba all’art. 34 della Costituzione che sancisce il diritto (diritto, lo ribadiamo) a una situazione economica adeguata e dignitosa.
Da molto tempo ormai sentiamo che, da parte di tutte le forze politiche che compongono l’attuale maggioranza di governo, bisogna abbassare le tasse, in particolare alle imprese e alle più remunerative categorie professionali.
Si tratta però di categorie di contribuenti non soggette a ritenuta obbligatoria sulla retribuzione, e perciò messi maggiormente in condizione di poter effettuare denunce non veritiere dei propri redditi. Senza con ciò volere generalizzare, ma riferendoci a una nota situazione di controversa lealtà contributiva.
Senonché, oltre al noto fatto che lo Stato vive e presta servizi in relazione alle tasse pagate dai cittadini, la nostra Costituzione (articolo 53) afferma che il sistema tributario deve tendere alla progressività; cioè che chi più ha o guadagna, più deve versare in termini di tributi erariali.
Ma, volendo ridurre la tassazione a carico delle categorie di cittadini che hanno maggiori opportunità di reddito, si vanno di converso a colpire maggiormente coloro che hanno un reddito fisso, e non godono di opportunità di elevarlo in modo significativo. Cioè si asseconda un sistema che preleva le proprie risorse finanziarie, principalmente e in modo sostanzialmente prevalente, da chi ha redditi medio-bassi.
Con la conseguenza che non solo lo Stato non può disporre di sufficienti risorse per i servizi sociali, che dovrebbero andare a maggior vantaggio dei non abbienti, ma colpisce prevalentemente quelli che, nel complesso, dovrebbero pagare di meno.
Il fatto è che da essi trae gran parte del proprio gestito fiscale, con buona pace del citato articolo 53.
Non è tutto: è vero che il sistema sanitario nazionale è per buona parte gestito dalle Regioni, ma è anche vero che ormai tutte le Regioni hanno inserito l’impresa privata nel Sistema sanitario regionale.
Orbene, è pur vero che la sanità privata produce servizi nel settore, ma con scopo di lucro.
Dunque l’inserimento nel sistema sanitario dei privati coinvolge ormai una buona parte del servizio sanitario che, secondo la legge fondante (L. n. 833/1978) dovrebbe essere per sua natura pubblico, produce profitti per i privati, e inesorabilmente viene ancorato a tale logica.
L’articolo 32 della Costituzione afferma che i cittadini hanno il diritto alla salute e che lo Stato lo deve garantire, e la legge sopra richiamata dovrebbe attuare tale principio.
Ma se le risorse dello Stato vanno sempre più a finanziare la sanità privata (quella che opera in relazione a profitto e convenienza, e non in attuazione dei diritti dei cittadini) il conclamato e sacrosanto diritto di cui all’articolo 32 svanisce nel nulla. Ebbene, abbiamo fatto macroscopici esempi di come importantissime norme costituzionali siano disattese, se non contrastate a livello delle attuali scelte governative.
Abbiamo già visto come l’articolo 2 sia interpretato in modo malinteso e di parte; possiamo constatare come l’articolo 4 (quello che presume solidarietà istituzionale) sia disatteso da una riforma – l’autonomia differenziata – che cristallizza le differenze di livelli di benessere e di godimento dei diritti tra diverse Regioni del Paese e all’interno degli stessi territori.
Abbiamo visto che il dichiarato principio di uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge (art. 3 Cost.) sia bistrattato in materia di servizi sociali, ma anche per l’abbandono da parte dello Stato del proprio compito di rimuovere gli ostacoli materiali che si oppongono alla realizzazione dell’uguaglianza tra cittadini.
Constatiamo come il lavoro (articoli 1 e 4) non sia più il valore fondante di questa repubblica, perché sostituito dal più limitativo principio del “fare impresa”. Vediamo come si stia tentando di rompere l’unità dello Stato con una riforma dei poteri regionali che farà ridere Svizzera, Germania e ogni altro Stato federale.
Constatiamo come l’ambiente, di recente inserito in Costituzione come bene fondamentale da tutelare (articolo 9) venga, a ogni piè sospinto, e con tanti minuti provvedimenti, messo in secondo piano dal privilegio che il governo, in modo conclamato, intende a tutti i costi assegnare a impresa e profitto. Il rilancio di improbabili ricerche petrolifere in mare e nel Meridione ne è il segnale emblematico più evidente.
Senza parlare dell’articolo 11, quello che ripudia la guerra come mezzo di aggressione internazionale. Infatti il governo italiano per ben due volte non ha votato il “cessate il fuoco” in Palestina, proposto dall’Assemblea dell’Onu.
Ebbene, sulla scorta di quanto in precedenza osservato e considerato, c’è da chiedersi, dove, come e quando il governo italiano, che – ripetiamo – giura sulla Costituzione e dovrebbe promettere di applicarla; ne osservi i dettami e ne applichi i principi.
E ciò per tacere delle proposte di introduzione del premierato, che stravolgerà il carattere parlamentare del nostro sistema politico- istituzionale, nonché della modifica dell’ordine giudiziario separando le carriere tra magistrati giudicanti e requirenti (P.M.), così ponendo le premesse per un assoggettamento del PM al potere politico e per un indebolimento del terzo potere nella sua funzione di controllo del rispetto delle leggi.
Dunque è davvero legittimo porsi il seguente interrogativo: su quale Costituzione ha giurato questo Governo?
Pietro Garbarino, avvocato cassazionista, iscritto Anpi, sezione Caduti di Piazza Rovetta, socio di Libertà e Giustizia, legale di parte civile nei processi celebrati per la strage di Brescia, e autore con Saverio Ferrari del libro “Piazza della Loggia cinquant’anni dopo”
Pubblicato giovedì 12 Settembre 2024
Stampato il 21/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/finestre/ma-su-quale-costituzione-ha-giurato-il-governo/