«La poesia, come qualsiasi manifestazione artistica, a prescindere dalle caratteristiche individuali relative alla personalità del poeta, è necessariamente prodotto dell’ambiente di cui è espressione, ciò vuol dire che per quanto sia ogni individuo a influenzare l’opera che produce, questa è sempre, in ultima analisi, un prodotto della complessità sociale che l’ha generata». (Cabral, 1952)
È il 1948 quando tre studenti africani che vivono alla Casa do estudiantes do imperio di Lisbona decidono di fondare un centro studi africani con l’intento di studiare le lingue dei popoli da cui provengono. Sono Agostinho Neto, Amilcar Cabral e Mario de Andrade. Quest’ultimo diventerà poeta nella sua lingua nativa, il kimbundu; Neto è medico e Cabral terminerà gli studi in ingegneria idraulica.
La stretta correlazione tra l’azione politica e l’impegno culturale nero era già emersa nel V congresso panafricano tenutosi a Manchester nell’ottobre del 1945, nel quale i delegati avevano proclamato la loro determinazione «ad essere liberi, a lottare per i diritti dell’educazione, all’espressione del pensiero e delle emozioni». Poi seguirono le rivendicazioni sempre più combattive della conferenza di Bandung: «Uragani di risvegli nazionali hanno investito la terra, scuotendola, cambiandola, cambiandola in meglio» aveva tuonato il presidente indonesiano Ahmed Sukarno nell’aprile del 1955 davanti ai delegati.
In quel periodo Cabral lascia Lisbona e raggiunge Bissau, dove fonda nel settembre 1956 il Partido africano da Independência (Pai) che successivamente diventerà Paigc (Partido Africano da Independência da Guiné e Cabo‐Verde), e poi in Angola, dove si lega con un piccolo gruppo di africani che stanno gettando le basi di un movimento di liberazione, e a dicembre, insieme con il suo amico Agostinho Neto, diventa membro fondatore del clandestino Movimento popular de libertação de Angola (Mpla).
A seguito della strage di Pidjiguiti, in cui la polizia il 3 agosto 1959 soffoca lo sciopero per gli aumenti salariali uccidendo 50 operai portuali e ferendone gravemente un centinaio, mentre la polizia politica (Pide) avvia un’ondata di repressione e violenza, il Paigc capisce che è necessario cambiare il metodo di contestazione e proclama la lotta contro i portoghesi «con tutti i mezzi possibili, compresa la guerra».
Nell’“anno dell’Africa” (1960) Cabral smaschera il vero volto del neocolonialismo dell’Estado Novo fascista di Salazar: «I colonialisti portoghesi perseguitano, arrestano, torturano, uccidono, massacrano, conducono una guerra coloniale in Angola e si preparano febbrilmente a una nuova guerra nella Guinea “portoghese” e nelle isole di Capo Verde. […] la violenza e la menzogna furono, e sono ancora, le principali armi di qualunque genere di colonialismo. Nondimeno, quando il paese colonizzatore ha un governo fascista, quando il popolo di questo paese è in maggioranza analfabeta, non conosce né gode i diritti fondamentali dell’uomo […], la mancanza di rispetto per la dignità dell’uomo africano passa tutti i limiti».
Contro questo regime oppressivo, il Paigc dichiara nel suo Programma fondamentale (1962) che con la sconfitta dell’imperialismo neocolonialista portoghese verrà instaurato in Guinea un governo repubblicano, democratico, aconfessionale, anticolonialista e antimperialista, e che ci sarà «eguaglianza di diritti e di doveri: una forte unione e una fraterna cooperazione tra i cittadini, dal punto di vista sia dell’individuo che del sistema sociale e della struttura etnica, in modo da bloccare e sconfiggere tutti i tentativi di dividere il popolo. Ci sarà unità economica, politica, sociale e culturale».
Con l’uscita dalla clandestinità e l’inizio della lotta armata a seguito del fallimento di ogni mediazione pacifica con il regime lusitano, che avviene nel 1963, il Paigc rinnova le sue concezioni e i suoi modi d’azione. Sorto come un’avanguardia nel senso letterale del termine, composta da un piccolo gruppo di uomini e donne risoluti, nel corso degli anni i suoi capi decidono di procedere a diverse riorganizzazioni e alla democratizzazione del partito, tanto che nel 1964 viene convocato il primo congresso dei militanti nella foresta meridionale della Guinea. Il paese viene diviso in regioni e zone, a scopi sia politico-amministrativi che militari, si struttura un esercito regolare nel quale si arruolano come volontari circa duemila combattenti e vengono devoluti poteri ai comitati di villaggio delle zone liberate, che nel 1967, coprono circa la metà della superficie totale delle campagne guineane, e la maggior parte della popolazione rurale che appoggia la lotta di liberazione.
Diversamente da altre esperienze, è tutto un popolo che combatte contro il regime oppressore: i comitati di villaggio hanno molti compiti, tra cui l’incremento della produzione agricola, in modo da avere riso a sufficienza per i contadini e per i combattenti. Anche i combattenti producono riso, miglio, ecc.; ma sono soprattutto i villaggi che nutrono le unità guerrigliere.
L’elaborazione del lavoro politico quotidiano nel villaggio è il vero centro propulsore del movimento di liberazione nazionale, che Cabral definisce «educazione politica», ovvero il «compito più duro e più ardito, ma anche il più importante dell’intera campagna di liberazione nazionale». Quell’attività instancabile di ascoltare, parlare, spiegare, osservare, correggere, guidare, e in generale, rappresentare il partito presso i contadini rappresenta l’originale ossatura della guerriglia guineana elaborata da Cabral e pochi altri.
Scrive nel 1967 Basil Davidson, il giornalista inglese che ha vissuto sul fronte quelle lotte di liberazione e regalato pagine memorabili: «il Paigc è un movimento rivoluzionario basato su un’analisi marxista della realtà sociale. Ma dire questo è, dopo tutto, dire ben poco: quale movimento rivoluzionario degli ultimi cinquant’anni ha proclamato di essere qualcosa di diverso? Il punto importante è che il Paigc è un movimento rivoluzionario basato su un’analisi della realtà sociale in Guinea: rivoluzionario precisamente e soprattutto perché le sue concezioni fondamentali sono interamente ricavate dalla situazione locale. Ciò non garantisce naturalmente la correttezza delle sue conclusioni, ma ne fa senza dubbio qualcosa di originale».
La diversità e l’originalità dei metodi di lotta e dei fondamenti politico-sociali del Paigc, contro ogni forma di dogmatismo, vengono orgogliosamente rivendicati da Amilcar Cabral dal palco della prima Conferenza di solidarietà dei popoli di Asia, Africa e America Latina (nota come Tricontinentale) che si tiene a L’Avana nel gennaio 1966. Fidel Castro sceglie Cabral come portavoce di tutti i movimenti in lotta contro il Portogallo, e il suo intervento – che segue quello del líder máximo – non smentisce le aspettative. Nello storico discorso Fundamentos e objectivos da libertação nacional em relação com a estrutura social, «uno dei migliori discorsi della Conferenza» (riporta “Le Monde”, 8 gennaio 1966), il leader guineano delinea i caratteri originali dell’esperienza del suo popolo: «È bene ricordare, in questo ambiente tricontinentale dove le esperienze abbondano, che, per quanto rilevante sia la somiglianza dei casi presenti e l’identità dei nostri nemici, la liberazione nazionale e la rivoluzione sociale non sono delle mercanzie d’esportazione; esse sono, ogni giorno di più, il prodotto di elaborazioni locali, nazionali, più o meno influenzate da fattori esterni favorevoli e sfavorevoli, ma essenzialmente determinati e condizionati dalla realtà storica di ogni popolo, e consolidati dalla vittoria o soluzione corretta delle contraddizioni interne fra le differenti categorie che caratterizzano questa realtà».
Quindi per Cabral la lotta di liberazione nazionale è composta da due fasi: nazionale e sociale, e quest’ultima è la più cruciale per il suo successo. Dato che l’indipendenza politica non è di per sé il risultato finale della lotta di liberazione nazionale, è possibile che un movimento nazionalista lotti contro il dominio politico straniero o contro gli aspetti più puramente politici, ma non persegua la vera liberazione nazionale. Ne deriva che la liberazione nazionale è un atto di cultura in quanto il «dominio imperialista ha come necessità vitale praticare l’oppressione culturale».
Si tratta di una tematica costante nelle elaborazioni del leader rivoluzionario, secondo il quale esiste un’interazione tra la cultura e la lotta, in quanto: «la cultura fondamentalmente ispira la lotta». Il leader guineano più volte si sofferma su questo aspetto determinante per la lotta di liberazione in chiave dell’affermazione di una piena democrazia, come nel caso del testo inviato a luglio del 1972 alla Riunione di esperti sulle nozioni di razza, identità e dignità dell’Unesco a Parigi. Vale la pena riportarne uno stralcio: «La cultura non è, né potrà mai essere, un’arma o un metodo di mobilitazione di gruppo contro la dominazione straniera. È molto di più di questo. È nella conoscenza concreta della realtà locale, specialmente di quella culturale, che si basa la scelta, la strutturazione e lo sviluppo dei metodi più adeguati alla lotta. […] la dinamica della lotta esige anche la pratica della democrazia, della critica e dell’autocritica, la partecipazione crescente nella gestione della propria vita, l’alfabetizzazione, la creazione di scuole e di servizi sanitari, la formazione di quadri venuti dall’ambiente rurale o dagli operai, e molte altre realizzazioni che implicano una vera marcia forzata della società sulla strada del progresso culturale. Si dimostra così che la lotta di liberazione non è solo un fatto culturale, ma anche un fatto di cultura».
Al di là dei successi militari nella Guinea-Bissau e a Capo Verde, il maggiore merito di Cabral risiede nella brillante formulazione di un’idea di cultura intesa come elemento centrale per portare a termine un radicale processo di decolonizzazione, lontano dall’affannosa riproduzione di (presunti) “modelli rivoluzionari”.
Grazie alle capacità diplomatiche di internazionalizzare la causa delle lotte delle ex colonie portoghesi, il 22 novembre 1972 il Consiglio di Sicurezza dell’Onu riconosce i movimenti di liberazione dell’Angola, della Guinea-Bissau, di Capo Verde e del Mozambico come rappresentanti legittimi dei popoli di quei territori. Si tratta di un riconoscimento mondiale che apre la strada inevitabilmente alla proclamazione d’indipendenza (unilaterale) della Guinea che avverrà il 24 settembre 1973, ma Cabral viene assassinato il 20 gennaio a Conakry per mano di un membro del Paigc e non potrà festeggiare la realizzazione del progetto per cui ha combattuto.
Andrea Mulas, storico Fondazione Basso
Pubblicato venerdì 20 Gennaio 2023
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