Più di ottanta anni fa Giorgina Levi (nipote di Rita Montagnana, moglie di Palmiro Togliatti), lasciò l’Italia fascista a seguito della promulgazione delle leggi razziali per rifugiarsi nelle Americhe, come migliaia di italiani di origine ebraica. Discriminati nei diritti civili essenziali e soprattutto indesiderati, scelsero la via dell’esilio.
Un’esperienza che trent’anni dopo vedrà protagonisti, invece, tanti latinoamericani che, fuggiti dalle dittature, saranno accolti fraternamente in Italia e nel resto delle capitali europee, e proprio da questi luoghi germinerà la ri–elaborazione politico-culturale che sarà a fondamento delle incipienti democrazie che si affermeranno negli anni Ottanta.
Nel 1941 le fonti diplomatiche registravano un esodo complessivo di circa 6.000 italiani verso varie parti del mondo e in modo particolare verso il continente americano.
Giorgina Levi e il marito Enzo Arian (medico tedesco) scelgono la Bolivia in quanto il governo aveva lanciato un appello ai medici ebrei offrendo loro lavoro.
In questi termini ricorderà anni dopo il giorno della partenza dal porto di Genova: «[…] quello che più mi è rimasto impresso fu il distaccarsi della nave dal porto italiano, con uno spettacolo straziante di gente che piangeva (tutti strappati dalla loro terra come noi) e nel cuore una profonda tristezza». [1]
Nel Paese andino Levi vive anni intensi descritti appassionatamente nel libro di Marcella Filippa, dall’emblematico titolo, Avrei capovolto le montagne. Giorgina Levi in Bolivia, 1939-1946 (Giunti, Firenze 1990).
Nel giugno 1939 arriva in America latina: «il distacco più forte è stato quando siamo sbarcati al porto di Arica in Cile. L’America ci si apriva dinanzi, deserta. Ci siamo sentiti veramente in terra straniera. Capivamo di aver lasciato definitivamente l’Italia». [2] In Bolivia si trasferisce in diverse città e villaggi (La Paz, Sucre, Oruro, Zudáñez) dove svolge dapprima il ruolo di insegnante nelle scuole elementari del dipartimento minerario di Potosí, impegnandosi in un’importante opera di alfabetizzazione a favore dei figli degli operai indios, e poi come docente di latino all’Università di San Andrés.
Spirito di lotta, tenace, ottimista, coerente, si dedica, insieme al marito, alla costituzione del piccolo movimento antifascista locale attraverso la formazione della sezione Garibaldi, la cui sede centrale si trovava in Messico ad opera di esuli dello spessore politico di Mario Montagnana (zio di Levi), Vittorio Vidali, Tina Modotti e Francesco Frola. L’Associazione Internazionale Giuseppe Garibaldi per la libertà dell’Italia rappresentava un “esperimento”, come vollero chiamarlo i fondatori, che accomunava socialisti di sinistra, indipendenti e comunisti nella comune lotta contro il fascismo e che irradiò la sua iniziativa politica verso diversi Paesi latinoamericani. [3]
Ma le ferite aperte dovute allo strappo forzato con il proprio Paese non vengono meno: «C’era sempre il desiderio di tornare, la speranza di un ritorno. I primi tempi si ha nostalgia della via, del quartiere in cui si abita. […] Poi viene la nostalgia di tutta la città, alla fine la nostalgia di tutta l’Italia, il desiderio di tornare purché in quel Paese e, negli ultimi tempi, lo struggimento per l’Europa». [4]
Anche Lore Terracini (divenuta una nota ispanista), figlia del matematico di origine ebraica Alessandro Terracini, in questi termini descriverà anni dopo la sua emigrazione forzata: «Ci fu, senza dubbio, il trauma dell’abbandono di cose note e dell’incontro con cose ignote, ma molto lenito – lo dico come constatazione a posteriori – sia di un elemento liberatorio per l’allontanamento dall’Italia fascista e dall’Europa in guerra, sia da una volontà di integrazione in un mondo a priori ritenuto preferibile». [5]
In Sudamerica Giorgina Levi stringe contatti con diversi italiani. Ad esempio, ad Oruro incontra nel 1941 Renato Treves, fondatore della Sociologia del diritto italiana, giunto in Argentina nel novembre del 1938 e docente all’Università di Tucumán (1939-1947), anch’egli costretto all’esilio e a lasciare la cattedra dell’Università di Urbino. Anche l’amico filosofo Rodolfo Mondolfo, perseguitato dal regime, era sbarcato nella capitale platense nel maggio 1939 ed aveva iniziato ad insegnare all’Università di Córdoba.
Scriverà Treves di Giorgina Levi: «[…] con molto coraggio conduceva una vita dura e difficile». [6]
È interessante sottolineare che il giovane Ateneo di Tucumán in quegli anni stava acquisendo una vitalità eccezionale con la chiamata di molti intellettuali europei, di profondo spessore culturale, in fuga.
Tra il 1930 e il 1940, di fatto, l’Università visse un decennio di vera e propria globalizzazione culturale, specialmente nell’ambito delle scienze umane e sociali: non solo vi lavoravano giovani intellettuali argentini, come Risieri e Silvio Frondizi, allievi di noti intellettuali riformisti, ma anche, esuli ebrei italiani. Oltre a Mondolfo e Treves, vanno citati i matematici Beppe Levi e Alessandro Terracini, il linguista Benvenuto Terracini, il diplomatico Paolo Vita Finzi, i docenti Giovanni Turin e Giorgio Arias, i quali, insieme ad altri professori italiani e argentini, costituirono il Centro di cultura italiana nella Repubblica Argentina. A Tucumán arrivavano periodicamente intellettuali spagnoli e argentini di prestigio, come, ad esempio, il comunista Rafael Alberti o il penalista socialista Luis Jiménez de Asúa, che impartì una lezione su “Le teorie di Norberto Bobbio sull’analogia nella logica del diritto e il diritto penale”. [7]
Questa particolare circostanza permise la diffusione della cultura democratica italiana in stretto collegamento con gli esuli anche grazie al contributo efficace delle case editrici, che pubblicarono la traduzione di opere di Croce, Carlo Rosselli, di Gioele Solari e altri giuristi italiani. Studi successivi hanno evidenziato quanto questo apporto culturale (emigratorio) risultò fondamentale per la formazione della cultura giuridica argentina, e non solo.
È lo stesso Treves a rilevare l’importanza dell’inevitabile e prolifico interscambio culturale: «L’esilio argentino mi ha spinto ad occuparmi di sociologia e di ricerche sociologiche e mi ha spinto anche a svolgere indagini storiche su argomenti a cui mai avrei pensato». [8]
Anche Giorgina Levi durante la permanenza boliviana si dedica a perfezionare la sua preparazione politica, teorica e storica. Grazie all’amicizia con il professore di filosofia José Antonio Arce, che da poco aveva fondato il Partido de la Izquierda Revolucionaria (Pir), scopre le opere del marxista argentino Aníbal Ponce, di cui legge tutti i libri che riesce a trovare e che porterà con sé al rientro in patria. [9]
Nel contesto di questo impegno, la sua vita in Bolivia «era una verifica continua» di quello che stava leggendo: «assistevo a esempi di comunismo primitivo, vivevo la vita del feudalesimo, i rapporti sociali in un mondo di feudatari, grandi proprietari e servi, e al tempo stesso vivevo la vita dei minatori, degli operai, i rapporti con i grandi trust minerari e i grandi monopoli».[10]
Impegnata sui fronti dell’insegnamento e della lotta antifascista, lavora per la diffusione dei libri di sinistra nella cittadina di Oruro arricchendo il catalogo di una piccola libreria locale, che registra un notevole afflusso di studenti universitari. Mossa da un «profondo senso di rivolta contro il fascismo», scrive articoli sulla guerra e la Resistenza italiana su vari giornali sudamericani e collabora a Stato Operaio, rivista teorica del Pci diretta da Giuseppe Berti da New York e diviene Presidente dell’Alleanza Giuseppe Garibaldi.
Rientra in Italia il 25 luglio 1946 e il giorno dopo, insieme al marito, si presenta nella sede della federazione comunista a Torino dove incontra Camilla Ravera, all’epoca segretaria di stampa e propaganda del partito ed inizia a collaborare con l’Associazione Italia-Urss, della quale ricoprirà il ruolo di segretaria per sette anni.
Profonda conoscitrice della cultura andina, la permanenza in Sudamerica le permise di analizzare (prima) e contribuire alla divulgazione in Italia (dopo) le peculiarità – allora ancora poco note – del fascismo dipendente latinoamericano. [11]
La lucidità della sua analisi emerge nell’articolo pubblicato su Rinascita (1948), scritto su richiesta di Palmiro Togliatti e tra i primissimi apparsi in Italia sulle specificità latinoamericane, riguardante l’ingerenza dell’imperialismo nordamericano: «La pressione politica, economica e militare dell’imperialismo nordamericano sui governi in Sudamerica, va dalla semplice minaccia al più audace intervento nella politica interna e giunge ad aiutare colpi di stato e insurrezioni provocatorie». [12]
Agli albori dei processi di decolonizzazione post-bellici, Levi aveva analizzato chiaramente la storia politica dei futuri quarant’anni dei Paesi sudamericani.
Nel 1954 diviene responsabile culturale della federazione torinese del Pci e nel 1956 è eletta nel Consiglio comunale di Torino (riconfermata nel 1964). Eletta deputata alla Camera nel 1963 e nel 1968, per tutta la durata della carica ricopre la carica di segretaria della Commissione Istruzione dal 1964 al 1972 ed è la prima firmataria della proposta di legge sull’Istituzione di scuole statali per l’infanzia.
Andrea Mulas, Fondazione Lelio e Lisli Basso
[1] M. Filippa, Avrei capovolto le montagne. Giorgina Levi in Bolivia, 1939-1946, Giunti, Firenze 1990, p. 31.
[2] M. Filippa, Avrei capovolto le montagne, cit., p. 42.
[3] Cfr., G. Levi, M. Montagnana, I Montagnana. Una famiglia ebraica piemontese e il movimento operaio (1914-1948), Giuntina, Firenze 2000, pp. 54-70; P. R. Fanesi, Gli ebrei italiani rifugiati in America latina e l’antifascismo (1938-1945), “Storia e problemi contemporanei”, n. 14, anno VII, ed. Clueb, Bologna 1994.
[4] M. Filippa, Avrei capovolto le montagne, cit., p. 79.
[5] L. Terracini, Dal Regio Ginnasio al Colegio Nacional. Emigrazione da scuola a scuola, in G. Ferruggia – P. Ledda – D. Puccini (a cura di), “Americhe Amare”, Bulzoni Editore, Roma 1987, p. 242.
[6] R. Treves, Incontri di culture nell’America Latina alla fine degli anni Trenta. Una testimonianza, cit., p. 259. Cfr., Id., Antifascismo italiano e spagnolo nell’esilio argentino, in Renato Treves, Sociologia e socialismo. Ricordi e Incontri, Franco Angeli, Milano, 1990 e C. Nitsch, Renato Treves esule in Argentina. Sociologia, filosofia sociale, storia, Accademia delle Scienze di Torino, Torino, 2015.
[7] G. Quaggio, Francisco Ayala e Renato Treves:. Storia di un’amicizia politica e intellettuale, panel, Cantieri Sissco 2017.
[8] R. Treves, Incontri di culture nell’America Latina alla fine degli anni Trenta. Una testimonianza, cit., p. 256.
[9] G. Levi, Aníbal Ponce, un maestro marxista argentino (1898-1938), “Latinoamerica”, anno IX, n. 39, luglio-settembre 1990, pp. 85-92. Nel 1936 Ponce aveva fondato, tra l’altro, la rivista “Dialéctica”, di cui uscirono sette numeri contenenti anche scritti di Rodolfo Mondolfo.
[10] M. Filippa, Avrei capovolto le montagne, cit., p. 133.
[11] Cfr., Il fascismo dipendente in America latina. una nuova fase dei rapporti tra oligarchia e imperialismo, G. Levi (saggi a cura di), De Donato editore, Bari 1976. Il volume raccoglie le relazioni tenute nel corso del Seminario di studi “Imperialismo e fascismo in America latina” (Torino, 26-27 marzo 1976), promosso dalla stessa Levi.
[12] G. Levi, Imperialismo e nazionalismo nell’America latina, “Rinascita”, dicembre 1948, anno V, n. 12.
Pubblicato lunedì 29 Giugno 2020
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