Si potrebbe scomodare il celeberrimo «Yes, we can» di Obama. O più semplicemente bussare alla porta dei Comuni che hanno scelto di dare una prima risposta a timori diffusi, mettendo nero su bianco il “no” alla concessione di spazi pubblici a qualunque organizzazione di stampo fascista, xenofoba, razzista od omofoba. Pochi, ma con l’ambizione di fare da apripista: Pavia, il primo capoluogo di provincia a muoversi in tale senso, Chiaravalle, Sarzana, Cavarzere hanno steso regolamenti e delibere vincolanti. Una novità, in un’Italia a volte allarmata dal dilagare dei populismi, ma incapace di contrastare la velocità e facilità con cui si diffondono movimenti vecchi e nuovi di estrema destra, o che addirittura si richiamano in modo esplicito all’ideologia del Ventennio.
Una velocità decuplicata dalla rete, in cui prospera ormai una vera e propria “galassia nera”: 3.600 pagine Facebook legate all’estrema destra, di cui 500 dichiaratamente apologetiche del fascismo. Mentre la mancata applicazione nei fatti della legge Mancino del 1993 (che vieta e sanziona ogni discriminazione razziale, etnica e religiosa) lascia spazio a sempre più esibite ostentazioni di ideologie e simboli condannati dalla storia.
Il contesto
Clamoroso ad esempio quanto accaduto in un piccolo comune del Mantovano, dove domenica 11 giugno la lista «Fasci italiani del lavoro» ha potuto presentarsi alle amministrative (la commissione deputata non ha respinto il simbolo del fascio littorio) raccogliendo un inquietante 10% dei voti.
Gli esempi non sono mancati nemmeno nei mesi scorsi. Sempre in Lombardia, a novembre 2016 a Pavia sfilano almeno 200 camerati, le croci celtiche protette da un cordone di forze dell’ordine. Gennaio 2017, Forza Nuova manifesta all’arco della Pace, un presidio autorizzato dalle autorità nonostante la contrarietà del sindaco Giuseppe Sala, trasformato in un mini corteo con slogan e bandiere. Un concerto nazirock programmato per febbraio alla palazzina Liberty, poi saltato per l’intervento dello stesso Sala. Ma soprattutto, la sfida di un migliaio di camicie nere radunate per commemorare i caduti della Decima Mas al cimitero Maggiore il 29 aprile, in risposta al divieto della Prefettura a sfilare (come pure avevano fatto negli anni scorsi) la mattina del 25 aprile, anniversario della Liberazione.
L’ANPI ha ricordato tra l’altro come le denunce effettuate in queste e altre occasioni per apologia del fascismo, difficilmente si traducano alla fine in condanne giudiziarie. Anche per questo, il deputato Pd Emanuele Fiano ha presentato nel 2015 una proposta di legge per introdurre il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista nel Codice Penale con l’articolo 293 bis. Il testo è però ancora all’esame della commissione Giustizia della Camera.
Primi passi
E allora vale forse la pena di andare a raccontare la storia di quei territori, che per primi hanno raccolto le sollecitazioni dell’ANPI, in vista della giornata di mobilitazione nazionale «Basta con i fascismi» indetta lo scorso 27 maggio. Il 27 aprile ad esempio il Consiglio comunale di Pavia porta a compimento un percorso avviato a dicembre 2016 con un ordine del giorno dello stesso Consiglio, in cui si sollecitava la giunta ad attuare le «Misure da adottare contro ogni neofascismo e contro ogni manifestazione di discriminazione», votate l’anno precedente. Lo strumento scelto è pragmatico, una modifica al Regolamento di polizia urbana. Qui vengono richiamati l’articolo 2 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, gli art. 2 e 3 della Costituzione nonché la XII disposizione che vieta la riorganizzazione del partito fascista, ma anche legge Mancino e codice delle pari opportunità. Risultato: divieto di banchetti, presidi o cortei dai contenuti contrari ai princìpi richiamati sul proprio territorio, autorizzazione all’uso di suolo pubblico pavese solo per chi sottoscrive una dichiarazione di antifascismo e 500 euro di multa per chi non rispetterà le nuove regole. Una scelta chiara, subito operativa, che se seguita da altri municipi potrebbe anche influenzare il legislatore nazionale.
E ancora: il 7 marzo di quest’anno, il sindaco marchigiano di Chiaravalle (provincia di Ancona) Damiano Costantino (classe 1970, avvocato, alla guida di una giunta di centrosinistra) e i suoi assessori dedicano una seduta al fenomeno della violenza legata all’estremismo di destra.
Le delibere
Ed ecco la delibera 41, immediatamente esecutiva: niente locali, spazi e nemmeno occupazione del suolo pubblico ad associazioni o singoli neofasciste o estremiste, il legale rappresentante poi dovrà sottoscrivere una dichiarazione di antifascismo. Il 20 aprile questo esempio viene segnalato dal Presidente dell’ANPI di Sarzana (La Spezia), il partigiano Piero Guelfi, alla giunta del comune ligure: chiede «niente più di quanto, pur stabilito nella nostra legge fondamentale, la Costituzione, non ha avuto mai una piena attuazione sostanziale» ovvero un’analoga censura degli estremisti. Alessio Cavarra (43 anni, già segretario del Pd spezzino) e i suoi assessori recepiscono la sollecitazione con la delibera 103 dell’8 maggio scorso, approvata all’unanimità. In questo caso il riferimento è anche all’articolo 6 dello Statuto del Comune, medaglia d’argento al valore militare. Sulla stessa scia, il 24 maggio il Consiglio Comunale di Cavarzere – città metropolitana di Venezia – vara una delibera («voluta dal gruppo consiliare di Art. Uno Mdp», ricorda in una nota il coordinamento ANPI del Veneto) per regolare le concessioni delle sale pubbliche, con lo stop effettivo a qualsiasi manifestazione da parte di singoli o gruppi razzisti, xenofobi o neofascisti.
Adriana Comaschi, giornalista
Pubblicato giovedì 15 Giugno 2017
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