Il 29 settembre scorso si sono gemellate le sezioni Anpi di Cividale del Friuli e delle Valli del Natisone e l’associazione partigiana slovena ZZB-NOB di Caporetto (ndr: Kobarid, Comune sloveno situato presso il confine). Si tratta di una “fratellanza” che affonda le sue ragioni in una storia secolare.
Alla base della pacifica convivenza, per diversi secoli una norma comune a tutti i diversi gruppi etnici di quest’angolo di continente europeo, c’è un’idea moderata di nazione. Una visione che, riflessa nell’uso quotidiano dell’idioma “volgare” utilizzato all’interno di ciascuna delle diverse componenti nazionali, non escludeva affatto la comprensione e l’impiego della lingua utilizzata dal vicino. Ciò per favorire gli scambi economici tra popoli diversi ma che lavoravano assieme, si sposavano, si divertivano usando, a seconda dei casi, l’uno o l’altro metro linguistico. Gli Stati, le classi dominanti, le gerarchie del Clero utilizzavano invece ben altro metro, incomprensibile ai ceti popolari, soprattutto nella sua forma scritta: il latino.
Questo nostro “limes” è quindi, storicamente, un confine permeabile che nel corso di più di mille anni, dopo l’insediamento degli sloveni nell’area nel VII e VIII secolo, non si è sostanzialmente modificato. Questo lungo periodo di sedimentazione, di scambio, di confronto tra etnie diverse ha infine conosciuto le catastrofiche contrapposizioni sviluppatesi nel corso del XX secolo.
Lo scambio vernacolare tra la gente del popolo è evidente nell’uso di certi vocaboli che indicano una sorta di passaggio, una gradualità, da una zona linguistica ad un’altra. Molte sono le compenetrazioni di derivazione germanica, slava o latina nelle lingue di quest’area: per esempio il termine sloveno čevljar (calzolaio) trova corrispettiva assonanza nel friulano čhaliâr, o il tedesco Kartoffeln (patate) si traduce nel carnico cartufule, ma si potrebbe proseguire con le voci friulane colač (kolač-scodella), cocosse (kokos-gallina), zime (zima-freddo), babe (baba-donna), britula (britev-coltello)…
Per tutto il periodo medioevale e fino al sorgere dei nazionalismi, intorno alla metà del 1700, le lotte che si svilupparono nel continente europeo erano in gran parte contese per la supremazia su determinati territori, a volte mascherate da guerre di religione, oppure rivolte contadine contro l’opprimente potere feudale. La stagione delle rivolte contadine coinvolse tutto il continente a partire dal ‘300, e non lasciò indenni le nostre zone: nel 1478 in Carinzia, a Udine e dintorni nel 1511, in Slovenia nel 1515, nel 1573 in Croazia, nel 1713 nella valle dell’Isonzo, nel goriziano e nell’entroterra triestino. È evidente il carattere inter-etnico di queste sommosse.
Se vogliamo trovare una data in cui i sentimenti nazionali virano da una idea di omogeneità nei caratteri etnici, linguistici, culturali ed economici, da condividere però con altri gruppi nazionali, a una visione di superiorità dei caratteri nazionali, di nazione come potenza, di esaltazione dell’antagonismo con le altre nazioni, dobbiamo risalire alla seconda metà del XIX secolo. Poi, nel Novecento quest’ultima concezione di nazione si legherà, per vicende storico politiche che qui non elenchiamo, con concezioni politiche antidemocratiche ed espansioniste, con le nefaste ricadute che la storia del secolo scorso ci ha trasmesso.
La vittoria nella Prima guerra mondiale delle nazioni facenti parte la Triplice Intesa consentì al Regno d’Italia, forte del “sacrificio” di migliaia di soldati (in gran parte contadini e operai) sul fronte orientale, di espandere i propri territori molto più a est dei confini culturali e linguistici italiani (o meglio latini), includendo ampi territori etnicamente sloveni e croati e affermando una presunta superiorità della “razza italica”. Il destino di queste aree annesse al Regno d’Italia sarà la brutta copia di quello della Benecija, annessa nel 1866. Ancora nel gennaio del 1917 la rivista del Touring Club italiano riportava la conta degli idiomi presenti sul territorio del Regno e riconosceva come sloveni ben 18 Comuni facenti parte del Regno d’Italia abitati da circa 38.000 persone (Prepotto, Torreano, Faedis, Attimis, San Pietro al Natisone, Tarcetta, Rodda, Savogna, Grimacco, Drenchia, Stregna, S, Leonardo, Nimis, Ciseriis, Lusevera, Platischis, Resia, Resiutta). Ma a cominciare dagli anni 20 del secolo scorso prese avvio la snazionalizzazione forzata: imposizione della lingua italiana per nomi, cognomi e toponomastica, proibizione dell’uso della lingua materna, distruzione delle istituzioni scolastiche (iniziata già prima del fascismo), amministrative ed economiche delle minoranze, esproprio delle proprietà a beneficio di coloni italiani. Il processo fu via via più accentuato con il crescere del consenso al fascismo, fino a giungere alla proclamazione delle leggi razziali a Trieste nel settembre del 1938.
Fortunatamente, nonostante la repressione poliziesca sopravviveva un’opposizione, e l’antifascismo ebbe anche il pregio di mantenere i legami tra le etnie storicamente presenti in quest’area. La solidarietà e il lavoro politico comune che sarà alla base della straordinaria stagione della lotta di Liberazione, ha origine alla fine dell’Ottocento. Caso emblematico è quello di socialisti e comunisti di quest’area di cui sono testimonianza le eccezionali figure di Giuseppe Tuntar, Giuseppina Martinuzzi, Jože Srebrnić.
Quali ulteriori nefaste conseguenze avrebbero prodotto la repressione fascista e il nazionalismo e quali sarebbero state le conseguenze sulla guerra in corso se l’unità tra italiani e sloveni non si fosse realizzata? La Resistenza avrebbe avuto esiti diversi, e i rapporti tra queste componenti (anche se bruscamente interrotti dal 1948, in parte per motivi ideologici) non sarebbero proseguiti cordiali fino ai nostri giorni. Nel contempo però restava diffidente e ostile larga parte degli italiani, continuamente pressati dai media sul pericolo slavo-comunista e poco propensi all’autocritica rispetto alla propria storia, in particolare a quella relativa alle guerre di aggressione scatenate dall’Italia.
Nel dopoguerra infatti una nuova guerra, che potremmo definire come la terza del XX secolo, non combattuta militarmente ma dichiarata sul piano politico e culturale, si abbatteva sulla Benecija e su tutto il confine orientale d’Italia. L’emarginazione, la miseria, la mancanza di prospettive inducevano al progressivo e grave spopolamento dell’area. L’infiltrazione in ogni apparato statale militare e civile di strutture segrete clandestine (Gladio), la pesantissima pressione delle servitù militari, la contrapposizione ideologica impedivano il libero sviluppo dell’economia e degli scambi culturali, relegando lo scambio a rapporti di tipo personale e costringendo all’emigrazione migliaia di persone. Si dovrà attendere il 1999 per dare attuazione al dettato dell’art. 6 della Costituzione repubblicana che sancisce la tutela delle minoranze linguistiche con apposite leggi, e il 21 dicembre 2007 per veder cadere (si spera definitivamente) la frontiera tra Italia e Slovenia, con le sue anacronistiche regole.
Nei lunghi mesi di lotta comune i partigiani consolidarono rapporti che, nonostante l’apparato repressivo, sono durati fino ai giorni nostri. I partigiani italiani, nel corso della guerra, entrarono in contatto con la popolazione slovena, ne ricevettero l’aiuto e la solidarietà e gli sloveni capirono che non tutti gli italiani erano fascisti e che la causa degli antifascisti era una causa comune e sovranazionale. Tanti partigiani italiani sono ricordati nelle lapidi e nei monumenti della lotta di Liberazione in Slovenia.
Ora è giunto finalmente il giorno di guardare ulteriormente avanti e di far conoscere la cultura e la lingua di questo popolo a noi così vicino. È venuto il momento di scrivere assieme, italiani e sloveni, la storia di queste zone, di uscire da un’ottica di contrapposizione. È il momento che questo territorio venga narrato non a partire dalle sue divisioni ma a partire dalla sua straordinaria complessità etnico-linguistica, che è la sua ricchezza.
È proprio in quest’ottica e seguendo questo filo conduttore che il gemellaggio tra le organizzazioni partigiane di Kobarid, della Benecija e di Cividale assume una grande importanza. Il patto di gemellaggio sottoscritto il 29 settembre 2018 tra ZBB-NOB e ANPI così recita: “Ci impegniamo ad approfondire le nostre relazioni collaborando in tutti gli ambiti e particolarmente con la finalità di: assicurare rapporti di buona convivenza reciproca; valorizzare, tutelare e favorire la memoria e la ricerca storica in relazione alla comune lotta al nazi-fascismo; favorire rapporti di interscambio culturale e sociale e riaffermare i principi di pace richiamati anche dagli statuti delle nostre Associazioni. Ciò indipendentemente dalle differenze linguistiche e culturali esistenti nei nostri territori ed anzi utilizzandole come forza positiva per un’ulteriore crescita delle nostre Comunità, nel rispetto delle singole autonomie”. Alle future iniziative, alcune già in cantiere, il compito di concretizzare questo patto.
Luciano Marcolini Provenza, Anpi di Cividale del Friuli
Pubblicato giovedì 24 Gennaio 2019
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