Il 2009 ha visto l’Anpi mobilitata per una battaglia politico-culturale contro un progetto di legge che mirava a ribaltare la verità della storia e dunque conferire dignità giuridica e civile alla Repubblica di Salò.
Il famigerato progetto di legge 1360, promosso da Lucio Barani deputato socialista dell’allora Popolo della Libertà, stabiliva l’Istituzione di un “Ordine del tricolore” – ossia un’onorificenza con assegno vitalizio annuo – composto da partigiane e partigiani inquadrati nel Corpo volontari della libertà, dai mutilati e invalidi di guerra, dagli ex internati nei campi di concentramento e dai militi della Repubblica di Salò.
“L’istituzione dell’«Ordine del Tricolore» – si legge nella presentazione della proposta di legge – deve essere considerata un atto dovuto, da parte del nostro Paese, verso tutti coloro che, oltre sessanta anni fa, impugnarono le armi e operarono una scelta di schieramento convinti della «bontà» della loro lotta per la rinascita della Patria. Non s’intende proponendo l’istituzione di questo Ordine sacrificare la verità storica di una feroce guerra civile sull’altare della memoria comune, ma riconoscere, con animo oramai pacificato, la pari dignità di una partecipazione al conflitto avvenuta in uno dei momenti più drammatici e difficili da interpretare della storia d’Italia; nello smarrimento generale, anche per omissioni di responsabilità ad ogni livello istituzionale, molti combattenti, giovani o meno giovani, cresciuti nella temperie culturale guerriera e «imperiale» del ventennio, ritennero onorevole la scelta a difesa del regime, ferito e languente; altri, maturati dalla tragedia in atto o culturalmente consapevoli dello scontro in atto a livello planetario, si schierarono con la parte avversa, «liberatrice», pensando di contribuire a una rinascita democratica, non lontana, della loro Patria”.
Un’evidente e grave acrobazia giustificativa a favore di coloro che per perpetuare il regime fascista scelsero di militare nell’abusiva e criminale, oltreché asservita ai nazisti, Repubblica di Salò. Per non parlare dell’asserita parificazione tra i partigiani e appunto i repubblichini.
Di fronte a questa disinvolta aberrazione, l’Anpi denunciò immediatamente una «l’ennesimo tentativo di sovvertire la nostra storia e le radici stesse della Repubblica».
Con un conferenza stampa, tenutasi il 13 gennaio alla Sala del Cenacolo della Camera dei Deputati, l’Associazione lanciò l’allarme e annunciò l’avvio di una decisa e larga mobilitazione.
A prendere la parola furono, tra gli altri, Raimondo Ricci, Vice Presidente vicario, Armando Cossutta, componente del Comitato nazionale, Marina Sereni, Deputata del Partito Democratico e Giuliano Vassalli, giurista, già parlamentare e Ministro della Giustizia.
Proprio quest’ultimo, in un articolatissimo intervento, fornì precise motivazioni giuridiche, politiche e storiche sulla necessità di contrastare il progetto di legge.
È utile riportarne alcuni passaggi: «Non c’è testo di legge in cui non si abbia la premura, dopo che la Repubblica Sociale Italiana era sorta, di dire: “il sedicente governo della Repubblica Sociale Italiana”. Parlo, e non è che un esempio, di un decreto dell’ottobre l’44, n. 249 “Assetto della legislazione dei territori liberati”, che comincia col dire che «sono privi di efficacia giuridica i seguenti atti o provvedimenti adottati sotto l’impero del sedicente governo della Repubblica Sociale Italiana».
E ancora: «Ebbene, è stato giustamente ricordato l’episodio del Movimento Sociale Italiano: esso aveva, già nel 1946, propri rappresentanti in Parlamento. Queste persone alle quali oggi si vogliono riconoscere questi titoli di cavaliere e questi 200 Euro annui alla pari degli altri, questi soggetti hanno potuto diventare pubblici amministratori subito, deputati subito, senatori subito. Alcuni sono stati sottoposti, dove possibile, a processi regolari, a processi nei quali ora sono stati assolti, ora condannati, e comunque sono stati trattati come qualunque altro cittadino. Il principio dell’eguaglianza più piena, anche per gli autori di crimini efferati compiuti sotto il regime della Repubblica Sociale Italiana, compiuti nei territori occupati dai tedeschi, è stato riconosciuto, è stato consacrato tra i primi atti di questo nuovo Stato della Repubblica Italiana, della Repubblica del 1946. Non solo vi fu l’amnistia Togliatti, che dovrebbe essere guardata con un occhio meno severo – io l’ho sempre guardata con un occhio meno severo – ma attraverso tutta la legislazione del tempo che senza discriminazioni politiche, senza dichiarazioni, senza bollo di indegnità politica, come quello appiccicato da alcuni Stati nostri alleati, come i francesi ed altri, a singoli individui, a singole responsabilità ma vivaddio senza addirittura il riconoscimento della “parificazione” a coloro che erano stati le loro vittime, ai congiunti di coloro che erano stati le vittime di atrocità, di crudeltà, di incomprensione umana, oltreché di incomprensione di necessità politica e di incomprensione civile e di mancato rispetto per i princìpi fondamentali della civiltà. E allora, che cosa può rappresentare questa proposta di legge? Rappresenta il terzo tentativo, come sappiamo, di penetrare attraverso appunto il trattamento militare, trattamento economico, pensionistico od altro (perché mi riferisco anche ai precedenti della proposta di fondare questo Ordine del Tricolore, che pure vi sono stati e che sono caduti o sono stati tempestivamente e provvidamente ritirati)».
Una disamina puntuale, segnata anche dalle riflessioni di un uomo che aveva percorso, in non pochi casi da protagonista, tutte le vicende storiche riguardanti il merito del progetto di legge e anche quelle immediatamente successive. Un’autorità dunque che si rivelò preziosa per l’esito positivo della vicenda. Vassalli al termine del suo intervento ricordava anche due precedenti tentativi legislativi, paritetici alla 1360, che videro il loro iter interrotto.
Si riferiva: 1) al disegno di legge 2681 del luglio 2000 proposto dai deputati di Forza Italia Pietro Giannattasio e Roberto Luigi Lavagnini, che istituiva l’“Ordine del Tricolore” tra i cui appartenenti avrebbero dovuto figurare, oltre ai partigiani anche, genericamente, “i combattenti della guerra “1940-1945”; 2) al disegno di legge 2244 del maggio 2003, che vedeva come firmatari parlamentari di Alleanza nazionale e che intendeva riconoscere ai soldati della Rsi – col dichiarato supporto di una sentenza del 1954 del Tribunale supremo militare – la qualifica di belligeranti al servizio di un “Governo” operante sul territorio sottoposto alla sua sovranità effettiva.
In occasione del secondo caso, sempre Giuliano Vassalli redasse una nota giuridica in un passaggio della quale chiariva: «Richiamandosi integralmente a una sentenza del Tribunale supremo militare del 26 aprile 1954 n.747, la relazione al disegno di legge entra in grave collisione con tutta la legislazione postbellica sul “collaborazionismo con il tedesco invasore” segnatamente con l’art. 5 del Decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944 n.159 (sostitutivo di precedente regio decreto legislativo 26 maggio 1944 n.134), che punisce a norma delle disposizioni del Codice penale miliare di guerra chiunque abbia commesso o commetta delitti contro la fedeltà e la difesa militare dello Stato, con qualunque forma di intelligenza o corrispondenza o collaborazione col tedesco invasore, di aiuto e di assistenza a essa prestata». Per l’appunto, l’esercito di Salò.
Tornando al progetto di legge 1360, la succitata conferenza stampa ebbe un esito dirompente. Si aprì nel Paese un grande dibattito con autorevoli prese di posizione. «Non posso condividere l’iniziativa di legge per attribuire la qualifica di “combattenti” a coloro che prestarono servizio militare nella Repubblica sociale italiana – dichiarò il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi –. Auspico pertanto, proprio perché possano consolidarsi i valori di solidarietà e di unità nazionale, che in nessun caso venga meno il rispetto dei valori del diritto e della storia».
Il partigiano e giornalista Giorgio Bocca scrisse: «La pacificazione ha reso tutti i cittadini italiani eguali nella partecipazione politica e la prova è che ex fascisti sono presidenti della Camera, o sindaci di grandi città, e che nello spirito della pacificazione è stato quasi sempre dimenticato l’obbligo legale di proibire l’apologia del fascismo. Ma pretendere di riunire in un ordine militare nazionale, un ordine della Repubblica democratica, combattenti per la libertà e combattenti per il nazifascismo, pare un’inutile provocazione, una prova che c’è un fascismo superstite. Un fascismo che, approfittando della situazione politica favorevole, vuole ritornare sulla scena italiana con tutti gli onori» (da la Repubblica del 14 gennaio 2009).
La Presidenza nazionale Anpi mobilitò tutte le sue strutture periferiche per attivare, con iniziative di informazione diffuse su tutto il territorio nazionale, la sensibilità delle cittadine e dei cittadini e per sollecitare Comuni, Province e Regioni ad approvare Ordini del giorno contro l’operazione apologetica della Repubblica di Salò. Così fu, e in breve tempo si creò nel Paese un indimenticabile clima di passione antifascista e costituzionale.
E tale fu la pressione che il 26 aprile il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, dovette annunciare il ritiro del progetto di legge. La battaglia era vinta. All’indomani della notizia, Luciano Guerzoni, componente della Segreteria nazionale Anpi, così si espresse in un comunicato: «Ci si aspetta ora che il Presidente del Consiglio ed il Governo manifestino coerenza e continuità con il rispetto e con l’attuazione di un indirizzo antifascista e costituzionale in ogni ambito della vita civile e sociale del Paese e nel governo dello Stato e delle istituzioni». Purtroppo dopo breve tempo, nel 2011, quella stessa destra – tutt’altro che intenzionata a normalizzarsi e dunque ad abbandonare le sue pessime attitudini e abitudini nostalgiche – ci riprovò col disegno di legge 3442 proposto dal deputato di Forza Italia Gregorio Fontana. Ma anche in quest’occasione l’Anpi, con l’adesione di altre associazioni, non mancò di organizzare una ferma protesta. Il disegno di legge finì i suoi giorni penosi nel nulla. Dal sito della Camera risulta ferma in Commissione Difesa dal 31 maggio 2011. In una doverosa sosta eterna.
Pubblicato venerdì 12 Luglio 2019
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