È da qualche giorno che nelle mie orecchie riecheggia insistentemente una chiacchierata avuta con Tina Costa, mia cara amica ma, soprattutto, incredibile staffetta partigiana che ho avuto modo di conoscere grazie all’Anpi e al Roma Pride.
Qualche tempo fa parlavamo della partecipazione di tutta la comunità LGBT+ romana all’ultima manifestazione del 25 aprile e della partecipazione dell’Anpi al Roma Pride del 9 giugno e, mentre commentavamo il legame fra totalitarismi, diritti civili e resistenza, le ho chiesto come fosse stato possibile, a suo parere, che nel secolo scorso gli italiani si fossero ritrovati immersi in vent’anni di inesorabile dittatura.
Tina, con il suo tono diretto e crudo mi ha risposto:” Sebastiano, ricorda, è difficile che la democrazia ti venga tolta di colpo, dall’oggi al domani. Accade più spesso che venga tolta pezzetto per pezzetto, distraendo la gente con scemenze populiste contro le minoranze, come gli immigrati o gli omosessuali. Anche allora è accaduto così, quando gli italiani se ne sono accorti era troppo tardi, ecco perché è necessario presidiare le libertà fondamentali di tutti, chiamare le cose con il loro nome, ecco perché è mio dovere essere con voi al Pride, perché l’Italia non può commettere un’altra volta quell’errore”.
Forte di quelle parole di Tina credo sia necessario iniziare a chiamare le cose con il loro nome: la comunità LGBT+ è letteralmente sotto assedio.
L’ultima stagione dei Pride ha visto, per la prima volta in 25 anni di storia di Pride nel nostro Paese, diversi attivisti ed attiviste destinatari di violente e costanti minacce che hanno reso necessario il ricorso della scorta delle forze dell’ordine. Questo è accaduto in diverse città d’Italia come Milano, Bologna, Roma. Lo stesso Pride della Capitale e i suoi organizzatori dopo essere stati al centro delle attenzioni di Forza Nuova, hanno ricevuto diverse minacce ed attacchi.
Nelle ultime settimane si è passati all’aggressione fisica.
A Verona l’11 agosto una coppia è stata aggredita da un branco di 20enni al grido di “froci di merda” e “femminucce” e velocemente gli insulti sono diventanti aggressione fisica. La coppia ha reagito e, con quello stesso orgoglio con cui marciamo ad ogni Pride, ha denunciato l’accaduto. Nell’ultima settimana, purtroppo, quella stessa coppia è stata vittima di un’aggressione ancora più grave. Verso le 2 del mattino uno dei due ragazzi, svegliato dai rumori fuori dalla porta di casa, ha aperto e in un attimo è stato cosparso di benzina, rischiando serie lesioni alle retine, oltre alle lesioni dovute alla conseguente e grave caduta per terra. Per i due ragazzi, tuttavia, l’incubo non era finito. Al rientro dall’ospedale hanno trovato sui muri di casa e sulla loro auto le scritte: “Culattoni bruciate” e “Vi metteremo tutti nelle camere a gas” oltre a tre taniche intonse di benzina, segno che gli aggressori avevano, forse, intenzione di dar fuoco all’abitazione, se non fossero stati interrotti prima.
Nella stessa settimana i muri della Scuola Popolare di via Bramantino a Milano sono stati imbrattati da svastiche e scritte come “Froci al rogo”.
Stesso odio, stessa violenza.
Questo per limitarci a tornare indietro nel tempo soltanto di una settimana ma già negli ultimi mesi avevamo avuto diverse e pesanti avvisaglie: annunci che escludevano persone omosessuali dall’affitto di appartamenti o da colloqui di lavoro oltre a innumerevoli denunce di aggressioni e violenza verbale difficilmente immaginabili fino ad un anno fa.
Che cosa sta accadendo nel nostro Paese?
È da un anno, ormai che l’Italia è in costante campagna elettorale, una campagna elettorale che, a detta di Amnesty International, è stata dominata da un inquietante linguaggio discriminatorio, xenofobo, misogino e, a volte, da veri e propri discorsi d’odio.
Da più parti della società civile sono giunti richiami alla politica affinché si abbassasse il livello di violenza verbale, richiami rimasti purtroppo inascoltati.
Quando il linguaggio d’odio corre e dai social entra nelle case degli italiani, attraverso le parole dei nostri politici, il rischio, che diviene sempre più concreto, è quello di legittimare ed armare le aggressioni fisiche e verbali.
E quanto sta accadendo non riguarda soltanto le persone LGBT+.
Immigrati divengono bersagli di tiro al piattello, quando non sono protagonisti di improbabili e xenofobe comunicazioni social da parte di ministri della nostra Repubblica.
E, intanto, qualche settimana fa abbiamo assistito anche al gravissimo episodio accaduto a Venezia all’attrice Ottavia Piccolo, bloccata dalle forze dell’ordine perché aveva indosso il fazzoletto dell’Anpi. Com’è possibile che un simbolo di orgoglio, liberazione, Resistenza del nostro Paese sia rapidamente diventato motivo di imbarazzo e controlli?
È necessario che la società civile, quella concretamente e realmente democratica, progressista e, soprattutto, antifascista, argini la pericolosa deriva di un Paese che mentre ricorda gli 80 anni da quel vergognoso 18 settembre del 1938, anniversario dell’annuncio delle leggi razziali, contemporaneamente, come se quel giorno non avesse insegnato niente, assiste inerte mentre i suoi giovani rischiano vita, lavoro e serenità a causa del proprio orientamento sessuale o identità di genere o mentre suoi storici simboli di resistenza, come il fazzoletto dell’Anpi, vengono contestati dalle stesse forze dell’ordine.
È necessario far sentire le nostre voci, la nostra presenza, le nostre testimonianze e la nostra unione.
Contro ogni fascismo dobbiamo continuare a resistere e lottare.
La liberazione continua.
Sebastiano F. Secci
Presidente C.C.O. Omosessuale Mario Mieli – Portavoce Roma Pride
Pubblicato venerdì 28 Settembre 2018
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