16 marzo. Siamo già tutti chiusi in casa. Chiama una amica, la voce che non riesce a nascondere tristezza e rassegnazione. Chiediamo: “Come stai? E la tua bambina? Tuo marito?”. “La piccola sta benino. Mio marito non esce e ha perso il lavoro precario. Del resto neanche io posso fare più l’interprete in questa situazione. Dobbiamo resistere. Ma voi? State bene?”. “Sì, preoccupati come tutti, ma bene”. Un saluto e un abbraccio virtuale.
È iniziato così, con una semplice telefonata, prima ancora che le istituzioni, a tutti i livelli, decidessero di accorgersi che l’emergenza che stiamo vivendo non è solo sanitaria, ma anche sociale ed economica. Nessuna richiesta di aiuto. La dignità, il pudore, l’orgoglio vincono anche sulla fame.
Il giorno dopo il Comitato provinciale Anpi Brindisi le chiese che cosa le potesse servire. “Tutto, anzi nulla. Ma che volete fare?”. “Faresti la stessa cosa per me, per noi. Lascia perdere. Hai una bambina in casa”.
“Non credo nella carità, credo nella solidarietà. La carità è verticale, quindi è umiliante, va dall’alto verso il basso, la solidarietà è orizzontale, rispetta l’altro e impara dall’altro” (Eduardo Galeano).
Quella è stata la prima spesa resistente e solidale di Anpi Brindisi. Telefonate e messaggi agli iscritti per spiegare la situazione di emergenza. Altre telefonate ai singoli e alle famiglie che si sapevano in difficoltà da sempre e che la reclusione forzata e necessaria avrebbe lasciato definitamente sul lastrico.
Si scopre ciò che già si sa: molti mangiano ogni giorno pasta scondita mattina e sera. Altri saltano i pasti anche lì dove vivono due, tre, quattro bambini. Le disuguaglianze, esistenti da sempre, si sono acuite per colpa del virus e sono diventate insostenibili. Altro che “La livella”. Poi è entrato in gioco il social che, qualche volta, riesce a tirare fuori il meglio di noi quando si tratta di buone pratiche. Tutto in anonimato.
Arrivano all’Anpi i primi sentiti e generosi contributi economici da una platea di antifascisti che si allarga sempre di più. E arrivano dalla rete di associazioni e dai comitati di quartiere nomi e indirizzi di coloro che non ce la fanno, che, se non li ammazza il virus, lo farà la fame.
Scendono in campo gli antifascisti (soprattutto donne, è bene dirlo, perché se lo meritano) che si offrono di fare la spesa nei supermarket con i loro soldi, con in tasca nome e indirizzo dei destinatari e, soprattutto, con una lista precisa di ciò da acquistare, perché non basta dire “compro qualsiasi cosa purché mangino”. Se in casa ci sono bambini bisogna comprare il latte intero, il pollo, gli omogenizzati, le pastine. Se ci sono anziani, si preferiscono alimenti leggeri. Se le famiglie sono italiane ci si orienta in un certo modo, se sono straniere, si prediligono i loro gusti. Se sono musulmane si evita di far portare a casa loro affettati di carne di maiale. Le spese resistenti sono sempre meditate e dedicate.
Sarà poi lo stesso market a garantire la consegna a domicilio. Se poi questo non è possibile, le iscritte portano la spesa di persona alle famiglie. Avvisano per telefono e lasciano nel portone delle loro abitazioni. Queste spese resistenti di Anpi hanno avvicinato all’associazione altre antifasciste e altri antifascisti che si rendono disponibili a scendere in campo con Anpi. Bardati di tutto punto, con mascherine, guanti, cappucci sulla testa… abbigliamento da ninja. Contagiarsi e ammalarsi è vietato.
La rete è fondamentale. Così Anpi Brindisi ha conosciuto una poliziotta, che si scopre nipote di un partigiano e che, finito un estenuante turno di lavoro di notte, chiesta l’indicazione all’associazione, invece di riposarsi, è andata a fare una consistente spesa in un market per una famiglia in serie difficoltà.
Ci si scambia informazioni e si riesce ad avere un quadro chiaro delle necessità più urgenti. Ci si divide i compiti. Chi ha paura di uscire di casa perché vulnerabile, versa un contributo. Altri vanno in strada, con tutte le cautele.
Famiglie italiane o straniere, non c’è differenza. Si manda a domicilio ma anche alle Caritas delle parrocchie che hanno lanciato un grido d’allarme. Come quella di don Massimo in uno dei quartieri più a rischio della città, Sant’Elia. “Prima bussavano una volta al mese, ora un giorno sì e l’altro pure”, dice. Gli è stata consegnata una spesa abbondate. Si mandano spese ad associazioni che si occupano del dormitorio dove vivono circa 100 stranieri ormai in autogestione. Non tutti lavorano nei campi. Si inviano a un’altra associazione che gestisce una casa di accoglienza che ospita attualmente otto persone, quattro italiani e quattro stranieri (quattro donne e quattro uomini). Loro mandano una lista precisa, come gli altri, di tutto ciò che serve. Non solo viveri ma anche prodotti per l’igiene. Anpi Brindisi è arrivata, con il sostegno degli attivisti, a fare anche quattro spese al giorno.
L’ultimo decreto governativo ha stanziato somme per i Comuni per distribuire buoni spesa per le famiglie in difficoltà. Il Comune di Brindisi ha lanciato un appello alle associazioni per un aiuto pratico anche per il prelievo delle spese donate dai negozi e le consegne alle famiglie.
L’Anpi Brindisi, già allenata, ha risposto mettendo a disposizione sette volontari, per ora. Presto si comincerà. Ma l’azione di Anpi continuerà ancora in autonomia per sostenere con il necessario gli “invisibili”, i braccianti che vivono (talvolta con mogli e bambini) nei ghetti alla periferia delle periferie, in aperta campagna, in attesa della chiamata di un caporale che da settimane non si fa vedere per poter avere il lusso di lavorare qualche giornata.
Perché i ghetti non esistono solo in Calabria, in Campania, nel Foggiano, ma ovunque e anche a Brindisi. Ci abitano in tanti, più di quanti si possa immaginare. Ai margini dei margini della società, al limite della dignità umana, non si lamentano, restano in silenzio per paura e sopportano la fame. Loro non rientreranno mai nel progetto del Comune, che ha il nome “Brindisisolidale”, né potranno usufruire di aiuti statali tradizionali. Non hanno nulla e soprattutto non hanno un indirizzo certo.
Anpi ha già fatto molte spese per loro. Un po’ di sollievo dalla fame. Che nessuno chieda come faccia Anpi a far arrivare i viveri a destinazione. Ma vengono consegnati pasta, riso, latte, pollo, salsa di pomodoro, biscotti, tonno, merende, pane in cassetta, succhi di frutta, prodotti per l’igiene personale.
La rete funziona più che bene e ci si muove in estrema sicurezza come da norme. Anpi Brindisi non è la sola a praticare solidarietà e umanità. Le donne di un comitato di quartiere hanno cucito centinaia di mascherine di cotone per far fronte all’emergenza sanitaria e alla carenza di quelle tradizionali. Vengono regalate. Alcuni negozi di prodotti da forno e di materiale di cartoleria, lasciano, davanti alle saracinesche abbassate la sera, sacchi con prodotti per chi ne ha necessità.
La solidarietà e la voglia di giustizia sociale va urlata sempre, perché, fatalmente, diventa contagiosa. Si continuerà su questa strada. Partigiani sempre.
Tea Sisto, Comitato provinciale Anpi Brindisi
Pubblicato venerdì 3 Aprile 2020
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