In Italia siamo abituati a disapplicare leggi esistenti, i giuristi parlano di abrogazione per desuetudine. Nel caso della legge Scelba, così come integrata dalla legge Mancino sui crimini di odio, si scomoda l’opportunità politica (o opportunismo?) e a corrente alternata gli stessi partiti che in base alla “convenienza” avevano evocato il “pericolo fascista “ alla prova dei fatti (voti alla Camera e Senato di questi giorni docent) abbandonano il campo. Qui non si tratta di evocare pericoli epocali ma solo di applicare le leggi. Se prevale un giudizio di opportunismo politico di partito lo Stato di diritto tracolla e la legge diverrebbe ostaggio di convenienze strumentali: il miglior modo perché venga elusa e violata, una sorta di condono permanente a prescindere. Non si vuole più sciogliere le organizzazioni che tentano di rifare o ricostituiscono il disciolto partito fascista “in qualunque forma” e con qualsiasi mezzo? Si abbia la coerenza di abrogare la XII disposizione finale della Costituzione. Una norma che è alla base del carattere antifascista della Costituzione repubblicana e che ne è il cuore pulsante.
Un limite invalicabile della libertà di associazione che trova una sponda nel mai applicato art. 49 della Costituzione. Che prescriverebbe il diritto di associarsi in partiti purché retti e organizzati secondo regole democratiche. Esattamente il contrario di quanto le piccole o grandi partitocrazie da lustri al potere hanno mostrato, in forza di leggi elettorali che contraddicono il diritto dei cittadini di scegliere i propri rappresentanti democraticamente. Il costituzionalista Michele Ainis sullo scioglimento di Forza Nuova richiesto in primo luogo e da tempo dalle associazioni della Resistenza quali Anpi, Fiap, e Aned, dopo l’attacco squadristico ordito dai capi di Forza Nuova alla sede nazionale della Cgil a Roma, ulteriore e ultimo di altri gravi atti datati nel tempo e anche recenti dell’organizzazione dichiaratamente fascista , e gli scontri di piazza alla manifestazione no green pass dei giorni scorsi , si è spinto ad affermare: “Il rischio più concreto che personalmente intravedo è un’inversione di prospettiva tra persecutore e perseguitato”. Mentre Vladimiro Zagreberlsky si interroga sull’uso dello strumento dello scioglimento a proposito della legittimità del contrasto ai movimenti di carattere fascista dubitando che il problema si risolva con l’invio alla clandestinità o al cambio di nome di un gruppetto di fascisti violenti “di cui si occupa comunque il codice penale” (La Stampa, 16 ottobre 2021). Dissento.
I due eminenti giuristi omettono di considerare che vi sono delle leggi operanti, in primis la XII disposizione finale della Costituzione. Fiat iustitia pereat mundus? Non proprio, trattandosi di norme dirette a proteggere le istituzioni democratiche in tempi di populismi antiparlamentari. Non si tratta di mettere in campo l’armamentario di un antifascismo di maniera ma di esser fedeli alla Costituzione il cui dna sta nel ripristinare le libertà politiche con la sola eccezione di non concedere cittadinanza al nemico della libertà sconfitto dalla lotta di Resistenza.
Il divieto di riorganizzazione del partito fascista, sotto qualsiasi forma è sancito dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione. Finale non transitoria. Secondo i consolidati principi della giurisprudenza, la disposizione costituzionale pone un limite al diritto di associarsi a un partito politico (art. 49) e al diritto di accesso alle cariche elettive (art. 51), quando il partito, la lista o il movimento politico favorisce la ricostituzione del partito fascista fissando un’impossibilità giuridica assoluta e incondizionata e vietando a un movimento politico con tali connotati di partecipare in qualunque modo alla vita politica, e condizionare le “libere e democratiche dinamiche”.
La sua attuazione non può essere limitata solo alla repressione di condotte a rilevanza penale, “ma deve essere estesa a ogni atto o fatto che possa favorire la riorganizzazione del partito fascista” (Tar Lombardia Brescia, sez. I, sent. 25/01/2018, n. 105; Tar Sicilia Palermo, sez. II – 22/5/2017 n. 1366; Cons. Stato, sez. V – 6/3/2013 n. 1354) escludendo ogni diritto di associazione di tale carattere. Una norma speciale rispetto all’art. 18 della Costituzione. Il Consiglio di Stato, escludendo “l’esistenza di un diritto soggettivo di associazione in vista della ricostituzione di detto partito” ha stabilito che le controversie contro il provvedimento di scioglimento del movimento politico (nel caso esaminato si trattava del movimento Ordine Nuovo), rientrano nella propria giurisdizione (Consiglio di Stato, sez. IV, 21/06/1974, n. 452).
La legge Scelba (legge 645 del 1952) emanata durante il governo De Gasperi durante anni segnati da grandi tensioni sociali, e poi modificata nel 1975, è stata volutamente denominata dal legislatore dell’epoca come legge attuativa della XII disposizione della Costituzione, per eliminare ogni dubbio sull’intenzione di costruire una legge speciale contro gli allora partiti di estrema destra. La legge vieta la ricostituzione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista (artt. 1 e 2), punisce anche condotte individuali, quali l’apologia del fascismo (art. 4) punisce il compimento di manifestazioni fasciste (art. 5).
Il presupposto soggettivo di applicazione della norma è l’esistenza di un’associazione, di un movimento o comunque di un gruppo di persone non inferiore a 5. La condotta vietata è quella di perseguire “finalità antidemocratiche proprie del partito fascista” secondo precise modalità fra loro alternative, e in particolare: esaltando, minacciando o usando violenza quale metodo di lotta politica propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione, denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, svolgendo propaganda razzista, compiendo attività di esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del partito fascista, compiendo manifestazioni esteriori di carattere fascista.
L’articolo 3 della legge Scelba prevede due modalità per lo scioglimento dei gruppi di ricostituzione del partito fascista: a seguito di sentenza da cui risulti accertata la ricostituzione del partito fascista, lo scioglimento avviene con ordine del ministero dell’Interno, sentito il Consiglio dei ministri; nei casi straordinari di necessità e urgenza, lo scioglimento può avvenire con decreto legge del Governo. La prima modalità di scioglimento, prevista dall’art. 3 comma 1 della legge Scelba, ha come presupposto indispensabile l’esistenza di una sentenza di accertamento della ricostituzione del partito fascista. A seguito dell’accertamento da parte della magistratura, il potere di eseguire la sentenza e ordinare lo sciogliemmo del movimento neofascista spetta all’esecutivo, con ordine emanato dal ministero dell’interno, sentito il Consiglio dei ministri.
Si tratta dell’unica modalità utilizzata fino a oggi nella storia della Repubblica. È quanto è avvenuto con Ordine Nuovo, movimento nato nel 1969 e sciolto per decreto dal ministro dell’Interno Taviani in seguito alla sentenza di accertamento della ricostituzione del partito fascista nel processo in cui era pubblico ministero Vittorio Occorsio, poi ucciso in un attentato rivendicato proprio da Ordine Nuovo. In relazione al caso di Ordine Nuovo, il Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire un principio importante, che emerge anche dal dibattito dei lavori preparatori della legge Scelba, affermando che l’applicazione dell’art. 3 non richiede necessariamente una sentenza penale di condanna, ma è sufficiente una qualunque sentenza da cui risulti l’accertamento della fattispecie prevista dalla richiamata norma (Cons. Stato, sez. IV, 21/06/1974, n. 452).
Scioglimento con decreto legge, le obiezioni dei deputati durante i lavori parlamentari di approvazione della legge Scelba.
La seconda modalità, contenuta nel secondo comma dell’art. 3 è stata oggetto di forte scontro all’interno dell’assemblea parlamentare al momento dell’approvazione della legge. Le perplessità espresse in modo trasversale dai partiti politici dell’epoca, si appuntavano soprattutto sul pericolo di violazione del principio di separazione dei poteri dello Stato e sull’attribuzione al Governo di un potere di fatto arbitrario e fuori controllo.
Mentre il primo comma, infatti, demanda al potere giudiziario l’accertamento dei presupposti applicativi per lo scioglimento del partito, questo secondo comma attribuisce al potere esecutivo la funzione di stabilire e giudicare la presenza dei requisiti richiesti dal legislatore e poi sulla base del proprio giudizio, ordinare lo scioglimento mediante un atto legislativo. La preoccupazione di molti, fra i quali Almirante, esponente del Msi, ma anche Audisio del gruppo comunista, era che la norma attribuisse al Governo il potere di cancellare d’imperio un partito, senza alcun controllo da parte degli organi giudiziari. I sostenitori della norma poi approvata, rassicuravano invece del fatto che il decreto legge deve in ogni caso passare alla ratifica del Parlamento, dove un eventuale decisione del Governo non sostenuta da ragioni condivisibili avrebbe pagato il prezzo politico della mancata ratifica della legge da parte dell’Assemblea parlamentare, con conseguente indebolimento politico del Governo stesso.
Gli oppositori della norma, avanzavano però ulteriori dubbi, rimasti per la verità privi di chiarimento nel corso del dibattito parlamentare. Un forte elemento di perplessità era rappresentato proprio dalla scelta dello strumento del decreto legge, che essendo espressione del potere legislativo deve sempre avere i requisiti di “astrattezza, generalità e novità”; al contrario un decreto legge di scioglimento di un partito neofascista avrebbe la duplice natura di atto giudiziario nella parte in cui stabilisce che un determinato gruppo rientra nei casi di ricostituzione del partito fascista, e di atto amministrativo nella parte in cui dà esecuzione alla decisione assunta. Ulteriore anomalia della formulazione dell’art. 3 comma 2 della legge Scelba, veniva riscontrata nell’attribuzione al Governo di una delega “permanente” in questa materia, sottratta alle competenze del Parlamento.
La legge Mancino
Nel 1993 il governo Amato emanò il decreto Legge n.122 contenente “misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa” poi convertito nella legge 205/93, oggi conosciuta come legge Mancino. La legge Mancino costituisce ancora oggi il principale strumento legislativo contro i crimini d’odio, mirando a sanzionare e a prevenire le condotte di discriminazione razziale, etnica e religiosa, attraverso il divieto di ogni organizzazione movimento o gruppo che abbia tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
L’art. 7 comma 3 della legge Mancino consente lo scioglimento di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che abbiano favorito la commissione dei reati elencati dall’art. 5 della medesima Legge (oggi descritti all’art. 604 ter del codice penale). Si tratta di tutti quei reati commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità. Lo scioglimento del gruppo o della organizzazione cosiddetta “d’odio”, in base alla legge Mancino, presuppone l’avvenuto accertamento del reato con sentenza irrevocabile. A seguito della sentenza il potere di scioglimento è esercitato con decreto dal ministro dell’Interno previa deliberazione del Consiglio dei Ministri.
La legge Mancino ha funzione sussidiaria rispetto alla legge Scelba. Come chiarito dalla Cassazione, la Mancino trova applicazione solo quando la Scelba non sia applicabile per insussistenza, nel caso concreto, di elementi specializzanti rispetto a quelli previsti dalla norma sussidiaria. È il caso ad esempio in cui il giudice ritenga che la propaganda razzista non costituisca di per sé ricostituzione del disciolto partito fascista (Cass. pen, sez. I, 07/05/1999, n. 01475), oppure ancora di quei casi in cui “la condotta abbia una valenza meramente individuale, a prescindere dunque da una diffusione di sentimenti nostalgici del ventennio in grado di agire sulla coscienza di altri soggetti che possa creare il concreto pericolo della ricostituzione di un’organizzazione fascista – ove entra in questione anche il bene giuridico della personalità dello stato”. Nella giurisprudenza della Corte di Cassazione sono punite secondo la legge Mancino le condotte individuali come quella di fare il saluto romano all’esterno dello stadio (Cass. sez. 1, sentenza n. 25184 del 04/03/2009), o di sventolare durante l’evento calcistico un drappo tricolore recante nella parte bianca l’emblema del fascio littorio (Cass. sez. 3, sentenza n. 37390 del 10/07/2007).
Anche recentemente la Corte di Cassazione penale si è pronunciata sul delitto c.d. di “esibizionismo razzista” (art. 2 comma 1 decreto legge. 122/93 convertito in legge 205/93, la cosiddetta legge Mancino), che punisce chiunque in pubbliche riunioni compie manifestazioni esteriori od ostenta emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni ‘razziste’ (di cui all’ art. 3 comma 2 L. 654/75 oggi art. 604 bis co 2 c.p.), cioè (Cass. pen. 23 marzo 2019 n. 21409) di quelle “organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (tra cui non vi è dubbio rientrino tutti i simboli del disciolto partito fascista o riferibili al nazismo ed al fascismo)”.
Il confine tra libertà di espressione e reati d’odio
Il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità in materia, ha stabilito che il principio costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero di cui all’art. 21 della Costituzione “non ha valore assoluto, ma deve essere coordinato con altri valori costituzionali di pari rango” fra cui: il principio di cui all’art. 3 della Costituzione, che consacra la pari dignità e la eguaglianza di tutte le persone senza discriminazioni di razza e in tal modo legittima ogni legge ordinaria che vieti e sanzioni anche penalmente, nel rispetto dei principi di tipicità e di offensività, la diffusione e la propaganda di teorie antirazziste, basate sulla superiorità di una razza e giustificatrici dell’odio e della discriminazione razziale, gli obblighi internazionali, di cui all’art. 117 della Costituzione, fra cui la Convenzione internazionale sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale firmata a New York il 7 marzo 1966, in forza della quale tutti gli Stati contraenti si impegnano a condannare ogni propaganda e ogni organizzazione che si ispiri a teorie basate sulla superiorità di una razza o di una etnia, o che giustifichino o incoraggino ogni forma di odio e di discriminazione razziale e devono dichiarare punibili dalla legge ogni diffusione e ogni organizzazione basate su siffatte teorie, tenendo conto, a tale scopo, dei principi formulati nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (art. 4 della Convenzione e Cass. sez. 3, sentenza n. 37581 del 07/05/2008).
Nel caso di Forza Nuova si rileva un precedente giudiziario: la sentenza che approvò la chiusura dei profili Facebook del gruppo Forza Nuova. La recente pronuncia del Tribunale di Roma del 23 febbraio 2020 si è occupata del movimento politico Forza Nuova, dichiarando legittima la condotta del social Facebook che aveva chiuso il profilo e le pagine di appartenenti a tale movimento politico perché responsabili di incitare all’odio e alla discriminazione.
La decisione del tribunale capitolino ricostruisce i principi internazionali, europei e nazionali in materia, e arriva a concludere che , in ottemperanza alle condizioni generali e agli standard della community, nonché al Codice di condotta europeo e alla normativa nazionale e sovranazionale in materia di limiti alla manifestazione del pensiero in ragione del divieto di discriminazione, Facebook aveva non solo il diritto ma addirittura il dovere di chiudere i predetti account. La sentenza romana, dopo aver compiuto l’esame del programma politico del partito, dei contenuti dei post pubblicati sui social, e dello statuto, arriva ad affermare che Forza Nuova sarebbe pienamente qualificabile come “organizzazione d’odio”, protagonista di iniziative discriminatorie in danno di rom, migranti e omosessuali e veri e propri “discorsi d’odio”.
“Nel nostro sistema ordinamentale” si legge nella motivazione, “nessuna forza politica, pena la sua immediata chiusura e responsabilità penale, può esplicitamente rifarsi all’ideologia fascista, nazista al razzismo, alla xenofobia o, in generale, proclamare idee apertamente discriminatorie. Non a caso tra i punti programmatici enunciati nello statuto di Forza Nuova, figura, espressamente al punto 7 la proposta di abrogazione della legge Scelba e della legge Mancino definite come “leggi liberticide” “espressioni normative di una cultura dominante che tirannicamente impedisce pensiero ed azione, volti alla difesa della nostra storia nonché del patrimonio culturale e religioso del nostro Paese”.
Conclusione: sciogliere Forza Nuova è doveroso. Rinascerà sotto mentite spoglie come l’idra? Forse sta già succedendo, ponendo mente a un movimento che fa capo agli stessi personaggi. Ma la democrazia deve difendere se stessa. Se è accaduto o accadrà è un motivo in più per cominciare a sciogliere Forza Nuova. E con essa, o dopo essa, i suoi travestimenti.
Avv. Antonio Caputo
Pubblicato domenica 24 Ottobre 2021
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