Professor Canfora, lei, dal palco della manifestazione per protestare contro l’aggressione neofascista nei confronti di alcune persone che tornavano da un corteo anti-Salvini, ha detto: “Bari si è svegliata”. È davvero così?
La città ha dimostrato di saper reagire. È stata un’aggressione violentissima, una novità assoluta per la Bari degli ultimi decenni. I neofascisti c’erano, ma rappresentavano ben poco. Io stesso sono stato minacciato da militanti di Forza Nuova, intimidazioni ridicole, scritte sui muri, niente di più. Ora invece l’aggressione è stata propiziata dal fatto che al ministero dell’Interno c’è qualcuno con cui CasaPound si sente in sintonia; si sentono incoraggiati ad aggredire, prendendoli isolatamente, dei manifestanti che avevano pacificamente sfilato appunto contro Salvini. Oserei dire che neppure al tempo di Scelba, che pure scatenava la celere e la polizia a cavallo contro i dimostranti con mano pesantissima, sono accaduti fatti simili. Oggi sta accadendo qualcosa di molto diverso dalle reazioni tradizionali di quel tipo. Va preso atto di questo, se vogliamo capire il momento storico che sta attraversando tutto il nostro Paese.
Bari dunque non è città che strizza l’occhio alla destra.
La sua storia racconta molto ed è specchio di quella italiana, almeno di gran parte. Per Bari si dovrebbe parlare di due città: la città vecchia, degli operai e dei braccianti, difesa strenuamente nel 1921 dall’assalto delle squadracce nere – alla difesa partecipò anche un giovane Di Vittorio – e la parte nuova che, sorta nel 1813, era più borghese. Il capoluogo pugliese fu prediletto dal fascismo soprattutto sul piano urbanistico, agricolo e commerciale per contrastare l’antifascista Napoli. Un esponente dei casati nobiliari, Araldo Di Crollalanza, era stato tra quanti avevano guidato la Marcia su Roma, e così divenne prima console generale della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, in seguito podestà di Bari e poi ministro dei Lavori pubblici. E molto clientelarmente favorì il suo luogo di origine, fece bonificare il litorale e realizzare il bellissimo lungomare che tuttora è un vanto cittadino. Mussolini stesso agevolò e gratificò molto Bari. Creò un polo di sviluppo con la Fiera del Levante, per esempio. All’inaugurazione della V edizione nel 1934, prima dell’alleanza con Hitler, tenne il discorso del “sovrano disprezzo” nei confronti dei tedeschi e delle “teorie” razziste di “gente che ignorava la scrittura in un tempo in cui Roma aveva Cesare, Virgilio e Augusto”. Addirittura si rivolgeva ai popoli dell’Oriente per “scambiare merci e idee”.
Ben diverso da quanto disse nel ’38 a Trieste, quando annunciò le leggi razziali.
Mussolini era un opportunista viscerale. Quando a Bari creò un polo di sviluppo con l’Università, il primo rettore fu Nicola Pende, uno dei firmatari del Manifesto della Razza. Ma la città poi, dopo l’8 settembre, avrà Radio Bari che, seppur controllata dagli Alleati, aveva una redazione tutta composta da socialisti ed esponenti del Partito d’Azione schierata contro il re e la monarchia. Non è un caso che nel gennaio ’44 a Bari si terrà, al Teatro Piccinni, il primo convegno dei Comitati di Liberazione Nazionale. Fu una scelta degli inglesi, sempre per contrastare la repubblicana Napoli. E Benedetto Croce fu costretto, alla veneranda età di 80 anni, a un viaggio complicato dai danni dei bombardamenti alle infrastrutture. Ancora oggi non ci sono buoni collegamenti ferroviari.
E come visse il dopoguerra, Bari?
Fino al ’48 il Consiglio comunale era diviso a metà: socialisti, comunisti e azionisti da una parte e dall’altra monarchici e Uomo Qualunque, cioè la destra. I democristiani erano appena 4 e furono costretti ad allearsi con la sinistra. Abbiamo avuto a lungo anche una giunta monarchica a maggioranza missina. Quando più tardi Di Crollalanza, recuperati i diritti politici, si presentò al Senato per la seconda legislatura repubblicana, venne eletto al primo turno con il Movimento sociale e sarà confermato fino alla sua morte. Paradossalmente con i voti della città vecchia che alla Camera votava comunista. Un voto disgiunto, diremmo, dettato da quanto aveva fatto per Bari. La città in realtà è sempre stata un laboratorio nazionale: Il centro-sinistra nacque proprio nel capoluogo pugliese: il craxiano Rino Formica propiziò un’alleanza Psi-Dc. Lo stesso Aldo Moro, padre costituente, protagonista del “compromesso storico” col Pci di Berlinguer, era pugliese, docente alla facoltà di Giurisprudenza di Bari e in quel collegio eletto in Parlamento.
Oggi il neofascismo ha un consenso allargato?
Come altre città italiane, anche Bari ha conosciuto in passato la violenza neofascista di missini o di formazione eversive quali Avanguardia Nazionale, Ordine nuovo, Nuova Repubblica. Si tratta della stagione della strategia stragista nata dalle bombe a Piazza Fontana. I neofascisti erano protetti dai servizi segreti deviati. La conflittualità diffusa ha avuto una lunga durata, contrastata però dai sindaci di centro-sinistra, dappertutto e anche a Bari. Bisogna inquadrare sempre storicamente gli eventi. Per esempio, a mio modo di vedere, quando nel 1976 alle elezioni politiche sembrò che il Pci sorpassasse la Dc, creando preoccupazione tra i servizi deviati, “scoppiò” il Movimento degli studenti di estrema sinistra, apparentemente rivoluzionario. Che prese di mira il Pci e la Cgil. Ricordate Luciano Lama all’Università di Roma? Insomma una situazione ideale per determinare bande contrapposte.
Benedetto Petrone, ucciso a Bari nel 77 da un esponente del Msi, era della Fcgi.
Era un operaio. Indifeso e con gravi difficoltà motorie. Vigliaccamente i missini non hanno aggredito “i maneschi” di Lotta Continua, ma un militante della Federazione giovanile comunista. La città tuttavia reagì, ci fu una mobilitazione civile, grandissima e imponente. Durò per giorni. Massimo D’Alema, al tempo segretario nazionale Fcgi, tenne un comizio particolarmente acceso e applauditissimo. Dall’anno successivo però, dal sequestro Moro in poi, la storia d’Italia è cambiata. La violenza che abbiamo visto proseguire nel nostro Paese ha avuto un dinamismo nefasto: emblematica è la strage neofascista alla Stazione di Bologna. Un dinamismo che d’incanto si è fermato con l’elezione di Berlusconi, affiliato alla Loggia massonica: era avvenuto il cambiamento voluto dal gran maestro Licio Gelli. Niente più violenza missina e neofascista nelle piazze. Sarà un caso? Forse no. E adesso tirapugni cinghie, bastoni, manganelli sono tornati a colpire.
E oggi che fare?
Salvini, che siede al Viminale, è un ministro della Repubblica, ed è portatore di una visione nazional-razzista, ha una visione dei rapporti umani basata sui respingimenti, sul “non ti voglio tra i piedi”. Per questo dobbiamo fare la nostra parte, anche se non sarà facile. Penso a chi ha lottato durante il regime mussoliniano, una nobile minoranza, che ha pagato duramente la sua opposizione. Giustizia e Libertà ebbe rilevanza a Bari grazie a Tommaso Fiore. Aveva rapporti stretti con Gobetti a Torino, con i fratelli Rosselli, con Guido Calogero, docente alla Normale di Pisa, imprigionato proprio a Bari nel ‘42, i tanti giovani che ruotavano intorno alla casa Laterza. Tra loro c’era anche mio padre. Lavoravano per educare alla democrazia i ragazzi delle scuole. La repressione dell’antifascismo e del desiderio di libertà fu terribile a Bari. Dopo il 25 luglio, durante uno sciopero, la Federazione fascista, che doveva essere fuori legge, sparò con l’esercito sui manifestanti. Fu un eccidio, ben 50 i morti, tra i quali il figlio di Fiore. Oggi, per fortuna, il fascismo non ha bisogno dell’olio di ricino, ha bisogno di occupare i centri del potere aizzando i nuovi poveri contro un falso bersaglio: i negri, i migranti, per esempio. Il lavoro da compiere va oltre la militanza politica, d’altronde non abbiamo un’opposizione. Il Pd preferisce litigare al proprio interno.
Però a Bari era in piazza.
Certo. Il Pd è fatto di tante bravissime persone frustrate dalla dirigenza che non vuol abbandonare il timone, non accetta il ricambio. Risultato: aveva 12 milioni di voti nel 2008 e oggi sono appena 6, dimezzati.
Quindi deve essere la società civile a farsi protagonista?
Dobbiamo operare con la cultura e l’istruzione nelle scuole e nelle università. Non ci sono scorciatoie, purtroppo.
Il razzismo sembra dilagare nel nostro Paese, proprio tra le persone comuni.
Nell’80° delle leggi razziali dobbiamo ricordare che contro quelle norme ignobili non si è mosse nessuno. Anzi quando cacciarono le persone ebree dai posti di lavoro, in tantissimi si misero in fila per sostituirli. Almeno la metà dei seguaci di Hitler erano dei disoccupati disperati, dopo la crisi economica del ’29-33. Concetto Marchesi, sul tema del fascismo riemergente, ricordava, a mo’ di ammonizione, gli operai rinnegati che seguivano Mussolini. La destra, sia quella eversiva sia quella narcotica, che addormenta le coscienze, ha sempre un largo seguito popolare perché riesce a fornire di sé un’immagine attraente. Come Alba dorata in Grecia, la Le Pen in Francia e Salvini da noi, ha una larga base sociale: “difendiamo il vostro lavoro dagli invasori”. Oggi la descrizione che si fa del migrante è simile a quella rappresentata ne La difesa della razza (ndr, la famosa rivista razzista italiana, che visse dall’agosto 1938 fino al 1943) e di altre riviste del periodo.
Dobbiamo chiederci perché siamo in questa situazione, se dobbiamo trovare soluzioni. Se non ci fosse stato un impoverimento generale, anche nelle classi medi, il salvinismo non avrebbe tanta presa. E questo è accaduto per colpa di scelte politiche ed economiche errate del centro sinistra, a partire dall’entrata nell’euro, che ha dimezzato il valore del salario. Ma quando le critiche arrivano dalla propria parte politica si corre il rischio di essere impallinati, di essere accusati di dire cose di destra. Mentre il problema esiste, eccome. Dunque la battaglia è difficile e per di più, rispetto agli anni 20 e 30, al governo degli Stati Uniti c’è Trump, non Roosevelt. Allora gli Stati Uniti erano un baluardo di libertà, mentre oggi una potenza egemonica a livello planetario è governata da un capo fascistico. Insomma, c’è molto da lavorare.
Pubblicato venerdì 28 Settembre 2018
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