Le attività dell’Anpi riservano sempre delle sorprese, belle sorprese. E stato così anche per il congresso della sezione Anpi in Banca d’Italia, dove ha partecipato con un saluto anche il Segretario generale dell’importante istituzione, Alberto Martiello. Che non si è limitato a dare il benvenuto in qualità di ospite ma ha offerto un importante contributo alla storia democratica del Paese, quale “segno di adesione personale alla causa dell’antifascismo”. Nel solco della “memoria delle radici”, il Segretario generale ha illustrato una originale e inedita ricerca basata sull’esame dei fascicoli del personale della Banca durante il ventennio, nel periodo dell’occupazione e nel dopoguerra. Uno sguardo al passato per guardare all’oggi e al futuro, forte dei “valori di eguaglianza e dignità che la Costituzione affida alle cure dello Stato e che sono gli stessi valori per i quali si sono spesi i partigiani, anche a costo della vita”. Ringraziando di cuore il Segretario generale Alberto Martiello per aver voluto condividere l’indagine con gli iscritti Anpi e con Patria Indipendente, buona lettura.
Ho accolto con entusiasmo l’invito a rivolgere un saluto in avvio dei lavori del congresso della sezione dell’Anpi in Banca d’Italia, perché mi permette di dare un segno di adesione personale alla causa dell’antifascismo; è una causa importante sempre attuale che ogni generazione deve portare avanti raccogliendo le testimonianze dal passato per interpretarle secondo le logiche e i bisogni del tempo in cui si vive e trasmetterle con rinnovata forza alle generazioni del futuro.
È molto importante su questo fronte tenere sempre la guardia alta perché il virus delle dottrine illiberali nel nostro Paese e nel mondo è sempre attivo pronto a riprendere forza, si manifesti sia nelle forme più estreme e violente del fascismo vero e proprio, sia in quelle più subdole del qualunquismo o del populismo.
Questo invito è stato per me anche l’occasione per una veloce incursione nella storia della Banca d’Italia e far emergere tracce che possano fornire spunti d’interesse nel solco della “memoria delle radici”: un concetto alto mutuato dalla relazione che il presidente mi ha inviato.
Dirigo un dipartimento dove lavorano eccellenti professionalità in campo storico e archivistico e ho quindi chiesto loro di aiutarmi per orientarmi in questa breve incursione negli anni del fascismo. Inoltre tornando indietro nella mia esperienza professionale, è riemersa alla memoria una mia collaborazione a una ricerca storica basata anche sull’esame dei fascicoli personali giacenti negli archivi di deposito; sono affiorati ricordi e suggestioni che oggi ho l’opportunità di condividere con voi.
Il mio campo di interesse professionale è sempre stato quello delle persone: mi sono pertanto chiesto quali fossero i sentimenti delle donne – ai tempi una minoranza – e degli uomini che in quell’epoca buia con il loro lavoro riempivano di contenuto il concetto astratto di istituzione: perché la Banca è fatta dalle migliaia di persone che nel tempo l’hanno composta; donne e uomini che con le loro competenze, modi di essere e di pensare, i loro valori hanno concorso a fare di questa istituzione ciò che oggi siamo.
Certamente ve ne erano alcuni convintamente fascisti – la Banca è uno spaccato della società – altri si piegavano al conformismo di un regime che non ammetteva alternative, altri ancora, purtroppo, avranno vissuto quegli anni con il timore se non il terrore delle conseguenze per l’escalation di intolleranza e di violenza che andava montando.
Una traccia di questa escalation la troviamo anche nei bollettini del personale allora in vigore.
Nel modulo che a quei tempi si usava per la valutazione del personale – un foglio stampato su entrambe le facciate – nel 1936 apparve una nuova voce: “Iscritto al Partito Nazionale Fascista”; la risposta non lasciava margini: sì/no. Questa voce scomparve nel 1938 e non per un rigurgito di tolleranza, bensì perché la legge aveva sancito l’obbligatorietà dell’iscrizione al fascio e quindi raccogliere questa informazione era diventato ormai superfluo.
Poi in quel 1938 furono varate le leggi razziali. La Banca, come gli altri datori di lavoro pubblici, fece distribuire a tutti i propri dipendenti un modulo nel quale si chiedeva di dichiarare la “razza” dei propri genitori e la propria religione: il dramma si stava compiendo.
Nel 1939 comparvero tre nuove voci sul foglio di valutazione: 1)“Razza alla quale il dipendente appartiene, e religione”, 2)“Devozione allo Stato, al Regime, all’Istituto”, 3) “Sentimento nazionale”.
Difficile dire se e quanto i criteri di “devozione”, “religione” e “sentimento nazionale” furono effettivamente utilizzati nel dispensare promozioni e aumenti di stipendio; certo la loro presenza dei fascicoli del personale fu sicuramente un potente fattore intimidatorio nei confronti di qualsiasi dissidenza.
Anche in Banca ci furono persone che patirono la “fascistizzazione” del mondo del lavoro; dagli atti non sembrano molte, ma in questi casi la quantità conta relativamente: ho trovato traccia di 23 dipendenti ebrei costretti a dimettersi e di 4 colleghi licenziati per idee politiche.
Malcontento, indignazione per l’enormità di quelle ingiustizie erano sicuramente molto diffusi tra il personale, seppure per evidenti motivi è difficile trovarne la traccia documentale.
Dalla documentazione di archivio emergono però episodi di ribellione civile; il più noto è forse quello dell’oro della Banca d’Italia depredato dalle truppe tedesche.
Due dirigenti, il vice direttore generale Niccolò Introna e Carlo Sforza, direttore della sede di Milano, si adoperarono per preservare l’oro della Banca, esponendosi a rischi personali.
I tentativi di Introna non ebbero successo mentre quelli di Sforza, anche se relativi a un più modesto quantitativo di oro conservato a Milano, riuscirono. L’oro fu nascosto in un pozzo e recuperato dopo la fine del conflitto.
Poi venne la guerra, con il suo seguito di morte, separazioni, danni e quindi nel 1945 la fine del conflitto e il tracollo del regime.
Ci furono reintegri e compensazioni per coloro che avevano subito ingiusti danni dalla “fascistizzazione”, dalla privazione della libertà, dalla discriminazione; finalmente si avviò la ricostruzione economica e, prima ancora, democratica nel Paese e nella Banca.
In quel periodo in Banca spicca la figura di Paolo Andreini, al quale è dedicata la nostra sezione dell’Anpi. Antifascista, partigiano, Andreini giganteggiò nel sindacato fino alla metà degli anni Settanta, grazie alle doti di leader carismatico. I principi guida che guidarono la sua azione furono la difesa del pluralismo, della libertà e dell’unità sindacale, che considerava un valore da difendere a tutti i costi.
Alcune note storiche per inquadrare il suo ruolo nel dopoguerra: insediato il governo Badoglio, siamo nel 1943, una delle innovazioni più radicali dei mesi successivi fu il primo accordo interconfederale dell’Italia Libera che stabiliva la reintroduzione in tutte le fabbriche e nei luoghi di lavoro della Commissione interna, eletta direttamente dai lavoratori.
Il 13 giugno 1944, pochi giorni dopo la Liberazione di Roma (4 giugno), si insediò e iniziò a operare all’interno della Banca d’Italia il Comitato Interno Provvisorio, emanazione diretta del Comitato di Liberazione Nazionale, costituito da persone di eccezionale levatura morale e civile: Gastone Pacetti per la Democrazia Cristiana, Paolo Andreini per il Partito Comunista Italiano, Federico Caffè per la Democrazia del Lavoro, Pier Luigi Guardati per il Partito d’Azione. Il Comitato aveva il compito di reintrodurre la democrazia sindacale nell’Istituto e costituire il nuovo sindacato della Banca d’Italia. La consacrazione del nuovo organismo avvenne nell’ambito di un’affollata assemblea alla quale parteciparono i dipendenti dell’Amministrazione centrale, della Sede, della Succursale, dell’Agenzia di Roma e gli Operai dell’Officina Carte e Valori.
Il 23 gennaio 1945 il Comitato Interno Provvisorio, che nel frattempo aveva portato a sei i suoi membri a seguito dell’elezione di due rappresentanti del personale non appartenenti ad alcuna formazione politica, venne rieletto come Commissione Interna del Personale della Banca d’Italia – nelle persone di Andreini, Caffè, Ceccarelli, Guardati, Pacetti, Piergiovanni – con il compito di preparare il terreno per la nascita formale della nuova Unione Sindacale fra il Personale dell’Istituto di emissione. La Commissione Interna elaborò una bozza di Statuto provvisorio della costituenda associazione sindacale che, sottoposto all’approvazione di tutti i dipendenti venne approvato all’unanimità.
L’Unione Sindacale fra il Personale dell’Istituto di Emissione nasce ufficialmente con l’assemblea dei Presidenti dei Consigli di Sezione, convocata a Roma fra il 15 e il 20 ottobre 1945, in base alle norme statutarie elaborate dalla Commissione Interna.
Possiamo dire che in quegli anni vengono poste le basi per la moderna Banca d’Italia: un’organizzazione “tecnica” fondata sulle alte competenze professionali del proprio personale e ispirata ai valori democratici della Costituzione, a cominciare dalle modalità di assunzione finalmente per pubblico concorso.
Concludo questo mio breve ragionamento con un salto ai nostri giorni accennandovi alle iniziative che la Banca sta adottando per la valorizzazione delle diversità; questo è un campo strettamente collegato con il tema dell’antifascismo giacché uno dei tratti dei regimi totalitari è tipicamente quello dell’oppressione delle minoranze.
La Banca d’Italia è attiva nella promozione dell’equità, della valorizzazione delle differenze, dell’inclusione di ogni persona per l’unicità che essa rappresenta. Lo facciamo al pari delle realtà più avanzate – grandi imprese, istituzioni internazionali – per la consapevolezza che anche le organizzazioni debbono impegnarsi per affermare attivamente, al loro interno e all’esterno, questi valori. In Italia siamo all’avanguardia tra le istituzioni pubbliche su questo fronte: ciò è possibile grazie all’impulso convinto del Direttorio, all’autonomia di cui godiamo, all’integrazione nell’Eurosistema, che ci consente di misurarci con le banche centrali di altri Stati membri dell’Unione europea e di imparare da loro.
Così facendo contribuiamo a promuovere, come datore di lavoro, i medesimi valori di eguaglianza e dignità che la Costituzione affida alle cure dello Stato e che sono gli stessi valori per i quali si sono spesi i partigiani, anche a costo della vita.
Dallo scorso febbraio ciascuna persona può, se lo desidera, sottoscrivere il Manifesto delle diversità e dell’inclusione: è un testo molto bello, che elenca una serie di comportamenti concreti che ciascuno può tenere per rispettare, riconoscere, valorizzare l’unicità di chiunque lavori con noi.
Ognuno, all’interno della Banca, può avere un ruolo come testimone e promotore dei valori della diversità e dell’inclusione. Ciascuno può essere un vettore di inclusione o, al contrario, di emarginazione: sta a noi decidere da quale parte stare. Nel nostro piccolo siamo chiamati ogni giorno a fare la medesima scelta di campo che, in un momento storico buio e con enormi rischi, fecero i partigiani quando scelsero di combattere per i valori di libertà e dignità di tutti gli esseri umani.
Alberto Martiello, Segretario Generale e Capo Dipartimento Risorse umane e organizzazione della Banca d’Italia
Pubblicato martedì 11 Gennaio 2022
Stampato il 30/10/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/cittadinanza-attiva/quando-la-banca-ditalia-si-tolse-la-camicia-nera/