Sempre più spesso, da settori politici della destra italiana, si odono riferimenti alla Costituzione della Repubblica; quella nata il primo gennaio 1948, a opera dell’Assemblea Costituente, eletta per la prima volta nella storia del nostro Paese a effettivo suffragio universale (hanno votato anche le donne, prima escluse dal voto), e che ha proceduto nei propri lavori con metodo democratico, dando la parola nel corso dei medesimi perfino ai simpatizzanti del superato regime fascista.
Si vuole qui significare che il voto al femminile è stato il vero primo passo verso il riconoscimento sociale del ruolo della donna, che tuttavia trova ancora così difficile affermazione nei giorni odierni, come dalle frequenti drammatiche cronache che siamo costretti ogni giorno a leggere.
Il testo che è stato allora deliberato ha avuto prevalente impulso e ispirazione dai partiti politici che, prima durante il passato regime e poi nella lotta di Resistenza contro l’occupazione nazista, supportata dai sempre più squalificati residui del fascismo (la fine di tale regime era già avvenuta il 25 luglio 1943), avevano composto quello schieramento denominato “arco costituzionale”.
Ne è scaturito un testo che, nei suoi principi fondamentali e nel suo successivo sviluppo, riguardante i diritti e doveri dei cittadini, l’organizzazione e il funzionamento delle istituzioni dello Stato, da quelle nazionali a quelle locali, gli organi di garanzia e quelli adibiti a fare rispettare le leggi dello Stato. Si tratta di un compendio di norme che enunciano principi e linee di indirizzo che nulla hanno a che vedere con i caratteri e l’organizzazione dello Stato fascista, ma che, anzi vi si contrappongono, nell’evidente intento di evitare che quel funesto e squalificato regime ritornasse e ritorni in auge nel nostro Paese.
Certamente la XII disposizione transitoria della Costituzione ha affermato tale intento, così come la conseguente “legge Scelba”, ma la sua applicazione nel tempo si è dimostrata sempre più labile e affievolita.
Ma vediamo allora quali sono, nel modo più sintetico possibile, quelle norme che in tal senso si caratterizzano, partendo dai primi 12 articoli, che enunciano i principi fondamentali.
La sovranità popolare, contrabbandata nei regimi autoritari come rapporto diretto tra i cittadini e il governante (o i governanti), è mediata dal corpo legislativo, ispirato allo Stato di diritto e garante della uguaglianza di tutti i consociati, a tutela di chiunque e dunque anche degli oppositori politici, dai reietti ed emarginati in ogni senso – sociale, religioso, razziale e sessuale – al fine di evitare che il rapporto diretto (ma mai egualitario) con l’autorità politica prevalga su coloro che tali rapporti non hanno e non possono avere.
Non ci possono perciò essere camicie bianche, rosse e nere che possono vantare primazia politica verso coloro che non sono schierati in identico modo. La tutela delle minoranze etniche o linguistiche è ben dichiarata e perfino realizzata con le Regioni a statuto speciale, al fine di contrastare ogni tentazione di nazionalismo sopraffattore.
Tale principio è complementare alla pronunzia delle auto-norme locali, come strumenti di avviamento della amministrazione pubblica ai cittadini nelle varie parti del Paese che non sono omogenee tra loro, ma sempre nel quadro di una salda unità nazionale e, specialmente nel quadro della generale uguaglianza dei cittadini secondo i principi dell’articolo 3.
Il ripudio della guerra e il richiamo alle convenzioni internazionali, completano il quadro di uno Stato che vuole essere pacifico, equilibrato, aperto alle istanze e operazioni politiche plurali che la società nel suo complesso esprime, e che vuole essere governato non da capi, bensì da leggi, le più eque per tutti. Tali principi fondamentali vengono precisati e sviluppati nelle successive parti della Carta costituzionale, là dove si sanciscono e garantiscono la libertà di riunione, di aggregazione sociale e politica nonché di pensiero, il diritto alla giurisdizione per rimediare alle violazioni della legge, la tutela e dignità del lavoro, il diritto alla salute per tutti e il diritto alla istruzione pubblica.
Anche la libertà di impresa economica è vincolata a una funzione sociale della stessa, e non può svolgersi in contrasto con la dignità e sicurezza di chi presta la propria opera. Di recente è stato inoltre stabilito che lo svolgimento dell’attività di impresa deve avvenire anche nel rispetto dell’ambiente, come condizione essenziale di sviluppo dell’attività fisica e intellettuale della persona umana.
Il sistema tributario deve essere improntato a criteri di progressività, dove ciascuno deve versare allo Stato, per i servizi che esso deve offrire, quanto è proporzionarlo al proprio reddito, sottolineando che lo Stato non è un contenitore di individui che vivono e operano per conto proprio, ma devono tenere conto della collettività e praticare la solidarietà sociale, singolarmente o in formazioni sociali come dispone l’articolo 2.
Quanto alle principali istituzioni dello Stato, la Costituzione si fonda sul principio della tripartizione dei poteri legislativo, esecutivo, giudiziario che devono essere indipendenti tra di loro, ma dei quali il principale è proprio il potere legislativo, delegato al Parlamento quale organo elettivo, democratico e rappresentativo dei cittadini, che tramite lo stesso si danno le regole che normano la vita della collettività nella forma delle leggi, essendo il nostro uno Stato di diritto, in cui tutti sono soggetti alla legge, a qualsiasi livello operino. In tale contesto però i parlamentari eletti dal popolo sono liberi da vincoli di mandato, al fine di garantire la loro libertà di coscienza rispetto alle decisioni da prendere.
I tre poteri fondamentali trovano il loro punto di equilibrio nella figura del Presidente della Repubblica, il quale vigila sull’attività delle Camere e ne può decretare lo scioglimento, nomina i componenti del Consiglio dei Ministri, e presiede l’organo di autogoverno della Magistratura, non interferendo tuttavia sulla sfera degli altri poteri statali.
La Magistratura è autonoma e indipendente e non può essere influenzata dagli altri poteri statali mentre le leggi ordinarie che provengono dal Parlamento, anche su proposta del Governo, soggiacciono a un controllo di conformità alla Costituzione, legge fondamentale dello Stato, da parte della Corte Costituzionale.
Si tratta di un’impalcatura istituzionale che tende a garantire in un solo momento le libertà politiche, l’autorità dello Stato e l’indipendenza che deve fare rispettare le leggi. Ma, evidenziato quanto sopra circa la Costituzione della Repubblica Italiana, ci si deve chiedere se tali principi siano compatibili, con quelli dello “Stato etico” teorizzato dal fascismo. Va precisato che esso si riporta a una sorta di “missione” planetaria che lo Stato medesimo dovrebbe essere chiamato a compiere. Tipica è stata, nel passato funesto ventennio, l’aspirazione a una sorta di ripristino del dominio del mare Mediterraneo e dell’Impero romano, magari aggredendo e assoggettando altri popoli.
Ma l’Italia di oggi ha quel disegno e quelle condizioni? Di certo la nostra Costituzione lo nega. Non c’è alcuna missione e non è neppure ipotizzata alcuna personalità provvidenziale che guiderà il Paese su cotanta impresa. L’unico compito (l’espressione è letterale) che lo Stato italiano si dà è quello contenuto, come una sorta di programma generale che motiva l’esistenza dello stesso Stato, nell’articolo 3, là dove si indica che la Repubblica deve rimuovere gli ostacoli che si oppongono al raggiungimento dell’obiettivo della sostanziale parità e uguaglianza tra i cittadini, senza distinzione di sesso, razza, religione e condizione economica e sociale.
Dunque il legislatore costituente non ha affatto stabilito obiettivi di natura messianica e ultranazionale, ma si è dato uno specifico compito di realizzare un obiettivo di giustizia sociale interna che riguarda tutta la collettività, in una prospettiva di non competitività con altri Stati e comunità. Già tutto questo sarebbe sufficiente per qualificare la Carta costituzionale del 1948 come un antidoto contro ogni tentazione dittatoriale e comunque autoritaria, ma la garanzia di bilanciamento dei poteri dello Stato, il pluralismo delle forme associative, consentito e tutelato, la libertà di espressione, garantita anche a coloro che si ergono a critici della democrazia, nel nome del duce, evidenziano l’ispirazione diversa e chiaramente contraria al regime del ventennio e fanno di questo Stato, per quanto male se ne possa dire (e anche con fondate ragioni), un esempio di come si possa vivere senza dittatori, partiti unici, uniformi e camicie dal vario colore, adunate obbligatorie e propaganda a senso unico. Orbene, tutto questo poi non piace allo schieramento di destra attualmente al governo e, forse, anche a qualcuno che non appartiene a tale compagine.
Fino alla fine degli anni 50 quello che fu il principale, più noto e pervicace esponente del partito erede del fascismo – parlo di Giorgio Almirante e del Msi – tuonò contro la “Repubblica bastarda”, retta da una Costituzione che si doveva cambiare, secondo i nostalgici di Mussolini. Siamo convinti che a questa recente proposta politica non siano estranei gli strali del sanguinario ex repubblichino, e che coloro che hanno a loro volta ereditato fiamme e fiammelle dal Msi oggi scalpitino per realizzare l’obiettivo che, in fin dei conti, era anche quello del principe Borghese, ex capo della famigerata Decima Mas che massacrò partigiani e persone innocenti in nome della repubblichetta fantoccio di Salò, voluta da Adolf Hitler.
Tale obiettivo era anche quello dei criminali che negli anni 70 e 80 insanguinarono banche, piazze e stazioni ferroviarie italiane, perché il loro scopo politico principale era proprio la repubblica presidenziale, annullando la Costituzione del 1948 che aveva instaurato, proprio in funzione democratica e antifascista, una repubblica parlamentare, in cui il potere principale spetta ai rappresentanti eletti dal popolo e alle camere assembleari; dove si possono confrontare idee e programmi diversi, anziché sottostare al programma imposto da un partito unico e da un uomo (o donna) solo/a al comando.
Dunque è ben chiaro perché la nostra vigente e attualissima Costituzione abbia scelto questa forma di Stato ed è altrettanto chiaro come essa risponda alla necessità che regimi come quello del ventennio fascista non si ripropongano. Ma se c’è qualcuno che si sforza in ogni modo per stravolgere (le modifiche migliorative sono altra cosa) la Costituzione del 1948 e i suoi principi ispiratori, allora non possiamo non pensare che si voglia riprendere il rancoroso e retrogrado programma di Almirante.
Pietro Garbarino, avvocato cassazionista, iscritto Anpi e socio di Libertà e Giustizia
Pubblicato domenica 26 Novembre 2023
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