Di marmo, terracotta, legno e metallo, affrescate o all’interno di un baldacchino, le edicole votive costellano le strade di Roma da secoli, piccoli spazi sacri, dal grande valore artistico, che testimoniano una devozione popolare nei confronti di una religiosità spesso dal volto femminile. Un censimento della Sovrintendenza ai beni culturali capitolina, in occasione del Giubileo del 2000, ne contò circa 500, istituite tra il XVII e il XVIII secolo, quando i loro lumi accesi garantivano l’unica illuminazione notturna della città.
Giocando sul ruolo delle nicchie votive nella collettività, le edicole laiche, del progetto Memorie delle Donne Stradarole, rappresentano quattro figure femminili di nazionalità diverse cadute nell’oblio. Collocate nelle aree verdi del quartiere Garbatella, a sud della capitale, le edicole illuminano in modo ideale un percorso della memoria contro la discriminazione, “trasformando la fede in fiducia nella comunità futura”. Il progetto è sostenuto dall’associazione Le Funambole, attiva nel campo della violenza di genere, e finanziato dall’VIII Municipio cittadino, nonché da gruppi associativi che operano sul territorio. “La partenza è il territorio, che si apre a diversi campi di discriminazione come scienza, letteratura, musica, politica, religione per abbattere quei confini che sono spesso solo economici e non culturali – spiega Marta Cavicchioni, ideatrice del progetto e di una delle edicole. “La scelta internazionale – continua l’artista – è dunque una scelta aperta, inclusiva e in grado di affrontare la cancellazione di una storia che non ha confini”.
Il percorso viene dunque dedicato alla religione civile, che, citando lo storico Giovanni De Luna, è “quell’insieme di narrazioni storiche, figure esemplari, occasioni celebrative, riti di memoria, miti, simboli che riescono a radicare le istituzioni non solo nella società ma anche nelle menti e nei cuori dei singoli individui”(Una politica senza religione, Einaudi 2013).
Si parte da piazza Benedetto Brin, primo nucleo centrale della Garbatella dove nel 1920 fu posta la prima pietra per la costruzione dei lotti abitativi che caratterizzano la ex borgata, fondata su un simbolo femminile che le conferì il nome: “l’ostessa garbata e bella”, ovvero, secondo alcune ricostruzioni, Donna Carlotta, rappresentata in una celebre fontana che arreda il quartiere.
Qui trova dimora l’edicola dedicata alla partigiana Raffaella Chiatti, conosciuta come Sora Lella. Durante l’occupazione nazifascista, Sora Lella fu l’unica donna del Gruppo di Azione Patriottica che operò in questo quadrante della città: il suo lavoro come infermiera alla Croce Rossa la esentò dal coprifuoco e la sua abitazione, situata nel Lotto 7, si trovava in una posizione strategica per poter osservare una delle strade di accesso al quartiere. Alcuni documenti della Presidenza del Consiglio dei ministri del 1947 ne certificano la scelta di campo, ma a ricordarla sono solo diverse memorie dei suoi compagni, raccolte dallo storico del territorio Claudio D’Aguanno. A far tornare al centro della cronaca la partigiana è, tuttavia, la sua tragica morte avvenuta nel 1993, quando a 89 anni viene soffocata nella sua abitazione nel tentativo di una rapina. Nessuno ricorda più il suo passato militante. “L’immagine di Sora Lella accoglie e abbraccia idealmente le ventuno madri costituenti perché, come loro, ha lottato per la Costituzione” – chiosa Micaela Serino, autrice dell’opera –. È l’unica partigiana del quartiere a non essere ricordata dalle diverse iscrizioni che nelle strade ricordano i componenti della Resistenza. Questa vuole essere quindi – conclude Serino – un intreccio tra la memoria storica e l’edicola laica”.
L’itinerario laico fa tappa nel parco di Commodilla, dove è presente l’edicola dedicata alla scrittrice spagnola Maria de Zayas, realizzata dall’artista Marta Cavicchioni. Si conosce ben poco della biografia di Donna Maria, neanche l’anno esatto della sua morte, collocata nella seconda metà del Seicento. Nelle sue opere, tra cui Novelle amorose ed esemplari (1637), narrò tentazioni e vendette di donne ingannate e sedotte da uomini cinici, di giovani adultere e di confinate nell’ambiente domestico, nei conventi o nei bordelli, raccontando il desiderio femminile e interrogando la morale dell’Inquisizione. I lavori di Maria de Zayas, definita una Boccaccio donna, riportarono un notevole successo per due secoli, poi caddero in disgrazia con il Romanticismo: tacciati di essere moralmente corrotti, svaniscono fino alla riscoperta da parte delle femministe americane negli anni Settanta che la reputarono una perspicace antesignana delle loro rivendicazioni. Poi di nuovo il buio, fino alle pubblicazioni della University of California Press del 1990.
Il parco Cavallo Pazzo ospita la terza edicola che rappresenta la fisica austriaca Lise Meitner (1878-1968). Discriminata perché donna nel mondo accademico di cui fece parte, prima nella raffinata Vienna dell’Impero austro-ungarico che le diede i natali, dove restò a lungo senza stipendio e senza accesso ai laboratori, poi, perché ebrea, dall’avvento del nazismo a Berlino, dove si recò per intraprendere gli studi sulla fissione nucleare. Sebbene fosse stata la prima a dare l’esatta interpretazione del processo preso in esame, Lise Meitner non fu mai designata del premio Nobel che invece andò al chimico con cui collaborava, Otto Hahn. Da pacifista, la scienziata si oppose a un uso bellico della sua ricerca: rifiutò infatti di partecipare al progetto americano Manhattan creato per fabbricare la bomba atomica, a discapito della sua carriera. “Oltre ad essere un intervento artistico, il progetto veicola un contenuto forte ed è per questo che diventa un presidio contro le discriminazioni di genere – afferma Debora Malis, creatrice dell’opera – Anche il gruppo che ha lavorato al progetto è composto solo da donne: le organizzatrici, noi artiste e la falegnama che ha costruito le nicchie”.
L’edicola dedicata alla pianista e cantante afroamericana Hazel Scott (1920-1981) si trova nel parco Caduti del mare, di recente chiuso al pubblico dalle autorità a causa di una voragine. Star internazionale, Hazel Scott vide l’apice del suo successo tra gli anni Trenta e Cinquanta e fu fieramente impegnata nella difesa dei diritti civili a favore delle donne, rifiutandosi di esibirsi in tutti quei luoghi in cui vigeva la segregazione razziale. Per il suo impegno civile, venne accusata di collusione con il comunismo e per questo il suo show, condotto per la prima volta da una donna di colore, venne sospeso dopo la prima puntata. Visse a lungo a Parigi per fuggire dal clima di sospetto e oppressione che vigeva in quegli anni negli Stati Uniti. La nicchia che la rappresenta è di natura astratta: un doppio arco di ferro grezzo delimita uno spazio centrale, circondato da 88 elementi di rame, tanti quanto i tasti di un pianoforte “che rappresentano gli esseri umani – spiega Cecilia Milza, autrice dell’opera – a cui assegno un unico colore e materiale per affermare che siamo fatti tutti della stessa carne e che la razza è una sola ed è quella umana. Il doppio arco inoltre – continua l’artista – rimanda anche a una vulva che è un’immagine potente del femminino e che anticamente era ritenuta sacra in quanto simbolo di trasformazione come varco tra invisibile e visibile e porta di primo accesso al mondo terreno”.
Anche la street art ha celebrato il ruolo delle donne nella lotta al fascismo. In una nicchia situata su un muro di Porta San Paolo compare e riappare, come la natura effimera della street art vuole, il poster Splendida Madre della Resistenza, scortata da due protagonisti dell’antifascismo: Argo Secondari e Guido Picelli, entrambi tra i fondatori degli Arditi del popolo, primo movimento armato antifascista. L’installazione cartacea è la rivisitazione in chiave politica di Maternità di Gino Severini, protagonista del Futurismo. “Il poster – chiosa l’artista Ex Voto – è improntato sul ruolo svolto da tutte quelle donne italiane, madri e partigiane che sono riuscite attraverso il nutrimento del loro prezioso latte, che è la cultura della Resistenza al fascismo, a crescere le generazioni di antifascisti che sono seguite a quelle che combatterono allora, contro la brutalità e l’odio, prerogative di quel regime”, parafrasando Nutrimi della tua essenza, la didascalia posta al di sotto della composizione figurativa.
Scriveva la partigiana Carla Capponi: “Nessuna di esse ebbe un cedimento. Furono con il loro silenzio, le più dure e temibili avversarie della macchina di morte nazifascista. Un esercito solidale silenzioso senza divisa, senza gradi, senza il soldo. Un esercito di volontarie della libertà – prosegue la combattente Medaglia d’Oro al Valor militare – che restituirono senso e valore al ruolo della donna nella società italiana, degradato ed offeso dalla teoria fascista di donne solo come delle fattrici di figli per la patria”.
Il regime fascista, con un decreto regio del 1926, escluse la popolazione femminile dai concorsi per l’insegnamento di lettere e filosofia nei licei e, per scoraggiare le famiglie a far studiare le loro figlie, vennero aumentate le tasse per le donne, fino a diventare il doppio rispetto a quelle per gli uomini, mentre i salari delle lavoratrici vennero dimezzati nel 1927, lasciando loro solo la possibilità di avere ruoli subalterni perché bandite da quelli dirigenziali: poterono insegnare nelle scuole elementari, professione in linea con la loro vocazione di maternage, ma non diventare presidi di scuole medie e secondarie, come stabilito da un provvedimento del 1928. Venne inoltre varata una legge che stabilì compensi per famiglie con più di sei figli, prestiti vantaggiosi e premi a ogni nascita e nel 1939 venne istituita la medaglia d’onore per le madri di famiglie numerose. Il ricorso all’aborto e l’uso di contraccettivi vennero definiti crimini contro l’integrità della stirpe, sanciti dal Codice Rocco del 1930, e lo stupro fu considerato un reato solo contro la morale. Si dovrà attendere sino al 1996 perché diventi un reato contro la persona. Nel 1940, l’Italia entrò in guerra e vennero sospese tutte le direttive che limitavano la presenza femminile nelle professioni: le donne porteranno avanti il Paese mentre gli uomini saranno al fronte, ma nel 1942 il regime promulgò il Codice civile nel quale si ribadì che il potere del marito era nettamente superiore a quello della moglie. L’abrogazione della potestà maritale sarà abrogata solo nel 1975.
Resistenza e venerazione popolare si concretizzano, a Roma, nella figura della Madonna del Divino Amore, che la tradizione vuole abbia protetto l’urbe dalla distruzione finale ad opera dei tedeschi: il 4 giugno 1944, nella chiesa di Sant’Ignazio, dove la statua era stata portata per motivi di sicurezza, venne scoperta la targa in memoria del voto dei romani alla Madonna affinché la città venisse risparmiata dalla distruzione. Quella stessa sera i tedeschi lasciarono la città e le truppe alleate fecero il loro ingresso trionfale. Un particolare rilievo assume l’edicola situata in via Casilina 416, a est della capitale, posta accanto al portone d’ingresso di quello che fu il Commissariato di polizia dell’VIII zona partigiana, ricordato come la via Tasso dell’VIII zona.
Oggi la Madonna del Divino Amore rappresenta ancora uno dei culti più vivi della città, soprattutto nelle classi popolari, italiane e straniere. Da marzo a ottobre pellegrinaggi notturni partono da piazzale Ostiense e portano, all’alba, a celebrare l’eucarestia nel santuario di via Ardeatina. Si prega in tutte le lingue del mondo, di notte, attraversando le strade tra le catacombe e il raccordo anulare. Come è noto, la venerazione della Madonna si è modellata su forme preesistenti di religiosità dal concetto onnicomprensivo di Dea Madre, simbolo della fertilità, sia nella vita agricola che nel contesto domestico, sotto la cui protezione si ponevano tutti i momenti della vita antica. Tracce di questo passato si scorgono tuttora nel centro della capitale: il tempio situato sul colle Aventino dedicato a Cerere, divinità materna della terra e della fertilità, da cui ha origine il nome cereali, maggiori doni che la dea dispensava alla popolazione. E nella chiesa di Santa Maria in Via, conosciuta anche come Piccola Lourdes, dove una Madonna troneggia su un pozzo da cui, si narra, scorga acqua miracolosa, riconducibile, secondo gli archeologi, a un culto ctonio, ovvero legato alla fertilità della terra a cui le donne e gli uomini saldano pratiche antropologiche e teologiche da sempre.
Mariangela Di Marco
Pubblicato domenica 9 Maggio 2021
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