La vicenda “Altaforte” che per giorni ha tenuto accesi numerosi fari sul Salone del libro di Torino è stata rivelatrice di un realtà ben poco edificante e promettente: illustri componenti dell’intellettualità nostrana, ma anche della politica, del giornalismo e del costituzionalismo preferiscono sorvolare sul fascismo aggressivamente rinsavito piuttosto che assumersi la responsabilità di un contrasto profondo e radicale. Costituzionale.
Al Salone – vetrina ormai istituzionale ed europea della cultura – diciamolo senza fronzoli, se non fossero intervenuti fatti irresistibili, avrebbe avuto spazio, libertà di esposizione e di fierezza uno straconvinto e operativo apologeta di Benito Mussolini e della sua sanguinaria creatura ventennale. Ergo, una gravissima ferita alla democrazia, al rispetto delle leggi dello Stato, alla memoria della Resistenza e delle tantissime vittime del fascismo. Ma tutto questo non ha minimamente sfiorato la coscienza di chi aveva l’autorità e l’autorevolezza per neutralizzare fin da subito questa pessima prospettiva. Al contrario, ci si è prodigati in un’incredibile, battagliera e largamente partecipata fiera della tutela della “libertà di opinione” e di circolazione delle “idee”. È andato in scena, dunque, un enorme equivoco che in primis offende la stessa dottrina liberale che dal fascismo ha sempre ricevuto e riceve trattamenti pesantemente reclusivi.
Ecco una rapida, e parziale, rassegna stampa: “Credo che le idee debbano essere sempre raccontate e uno dei valori fondamentali della democrazia sia che qualcuno possa esporre convinzioni che non condivido, che penso siano sbagliate o addirittura disprezzo” (Alberto Bonisoli, Ministro dei Beni culturali); “Lo spazio pubblico è un luogo fisico o virtuale caratterizzato da un uso sociale collettivo, in cui chiunque ha il diritto di circolare o di dialogare” (Sabino Cassese, costituzionalista); “A proposito della polemica sul Salone del libro mi è capitato di leggere parole e prese di posizione che sembrano tratti dalla naftalina del baule degli anni 70. Anni in cui spesso un uomo veniva giudicato non in base a quello che faceva diceva o pensava ma solo in base alla sua appartenenza ideologica, reale o presunta che fosse (perché proprio la presunzione, qui, gioca un ruolo determinante)” (Luca Doninelli, scrittore); “Un presupposto essenziale della democrazia è che gli esseri umani siano mediamente assennati e ragionevoli e che di conseguenza basti il libero dibattito delle opinioni a far emergere tra di loro l’orientamento più conveniente e giusto facendolo risultare vincente. A patto per l’appunto che non intervenga la violenza ad alterare le cose” (Ernesto Galli della Loggia, docente universitario). E prendo spunto decisivo proprio da quest’ultima citazione, per dettagliare ancora di più l’elementare nodo della questione.
Il presunto e irreprimibile attore del libero dibattito è CasaPound, di cui Altaforte è la struttura editoriale. Basta sfogliare, per rendersene conto, il catalogo delle pubblicazioni dove non ci si imbatte solamente nell’intervista a Salvini (che qualche mente corrotta ha voluto indicare come il motore propagandistico di tutta la vicenda) ma anche, per esempio, nelle agiografie del criminale Alessandro Pavolini – tra gli ispiratori dell’organizzazione neofascista – e dello squadrismo. Basta leggersi la storia dell’agguerrito militante Polacchi, segnata anche da precedenti penali e dal passaggio ultimo dell’“outing”, fatto proprio nei giorni del Salone, che non ha aggiunto alcun elemento di novità ideologico e biografico, ma che ha condotto alla denuncia da parte del Presidente della Regione Piemonte e dal Sindaco di Torino. Basta quindi – senza dover ripercorrere l’intera e fascistissima esistenza di questa organizzazione – segnalare due recenti “chicche”: la conferma da parte della Corte di Cassazione della chiusura a Bari della sede di questi liberi pensatori a seguito dei fatti di violenza avvenuti il 21 settembre scorso che rientrano, secondo i giudici, in un quadro di “strategia pianificata” e di “apologia di fascismo”; la manifestazione contro la famiglia rom a Casal Bruciato per cui sono stati indagati alcuni militanti per i reati di istigazione all’odio razziale, violenza privata e adunata sediziosa. Elementare, ci tocca dire.
Elementare è cogliere come la violenza di CasaPound abbia dei segni di “intervento” indubitabili. Ecco allora come e perché sia apparso naturale e irrinunciabile per un’Associazione come l’Anpi, nella persona della sua Presidente nazionale, Carla Nespolo, il rifiuto di condividere lo spazio del Salone del Libro con l’editore Altaforte. E lascia a dir poco perplessi la posizione di scrittrici e scrittori che hanno deciso, invece, di tollerare in virtù della loro purificatrice e, dunque, risolutrice presenza. E intanto il bubbone anticivile sarebbe stato lì a fare i propri comodi brutalmente revisionistici e anticostituzionali, con addosso gli sguardi sacrosantamente attoniti del mondo. Per fortuna, anche a seguito della determinazione dell’Anpi, si è creata un’attenzione tale da risparmiare al Paese, a tante buone coscienze, una voragine di irrazionalità, un precedente difficilmente dimenticabile. Per fortuna, a differenza del pensiero di Cassese, tanti Comuni stanno vietano gli spazi pubblici a chi non si dichiara aderente ai valori dell’antifascismo e dell’antirazzismo. Per fortuna, ancora, un largo movimento di giovani sta contribuendo a rimediare alla leggerezza dei grandi, sollecitando con preziosa genuinità la rimessa del contrasto al fascismo su binari di piena responsabilità. Il cammino non è facile, l’alta protezione di cui gode CasaPound, non aiuta, ma segnali positivi ci sono. La Costituzione non è un’opinione, ma un pilastro di sicurezza democratica e civiltà.
Pubblicato lunedì 20 Maggio 2019
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