Miei cari,
pochi istanti prima di morire
vi mando questo mio saluto.
È l’ultimo e per questo credo sia forse il migliore.
13 marzo 1945
Ermete Voglino,
pompiere-partigiano fucilato dai nazi-fascisti
A gennaio di quest’anno oltre trenta vigili del fuoco di Torino, in servizio e in pensione, con grande volontà e determinazione si sono resi promotori della costituzione, al loro interno, di una sezione Anpi dedicata al vigile “Pensiero Stringa”. Un modo vivo e tangibile per onorare un’importante memoria, reso possibile dalla disponibilità del comitato provinciale Anpi di Torino, che ha perfettamente compreso lo spirito con il quale è stata intrapresa questa importante iniziativa, accogliendo con favore la richiesta di quel nutrito gruppo di vigili che credono nei valori costituzionali di libertà, democrazia e antifascismo.
Per spiegare il perché di questa scelta fare un passo indietro nel tempo.
L’armistizio dell’8 settembre del ’43 segna la fine del conflitto tra l’Italia e gli alleati e l’inizio della lotta partigiana: Il regime fascista tentò di riproporsi, facendo nascere, alcuni giorni dopo, la Repubblica sociale italiana, uno stato fantoccio nelle mani dei tedeschi che da alleati si trasformarono in occupanti. Sarebbero trascorsi ancora venti mesi prima che l’Italia potesse riconquistare la propria libertà, durante i quali con un processo irreversibile si consumò in modo drammatico ciò che rimaneva dell’agonizzante regime fascista. In quei lunghi mesi si combatterono senza risparmio e con durezza due eserciti, uno eterogeneo per idee ed estrazione sociale, i partigiani, fatto di donne e uomini male armati, a volte disperati, ma mossi dalla necessità di recuperare quel bisogno profondo di libertà e di giustizia. L’altro, i repubblichini, fedeli all’alleanza con la Germania, in stretta e patetica continuità al regime fascista. I primi erano sostenuti dal popolo, i secondi dai tedeschi occupanti. Negli ultimi giorni dell’aprile 1945 tutto si concluse, con una netta vittoria del popolo italiano.
Una guerra senza armi è stata combattuta anche dai vigili del fuoco, impegnati su un fronte non meno drammatico, fatto di bombardamenti, crolli, distruzioni, macerie, lutti. Combattono con tenacia e rabbia, spesso con la disperazione di chi fu è lasciato solo a fronteggiare una drammatica situazione; nel progressivo sfascio delle strutture statali, i pompieri restano al loro posto, continuando a essere uno dei pochi punti di riferimento per la popolazione. Ma i vigili del fuoco non si limitano all’assistenza dei feriti, al recupero delle salme e alla rimozione delle macerie: al fianco della popolazione combattono con grandissima partecipazione e impegno una guerra che si conclude solo il 27 aprile 1945, penultimo giorno d’insurrezione, con la morte del vigile-partigiano Giuseppe Gibellino, caduto con le armi in pugno, durante l’attacco alla famigerata caserma Dogali in via Asti che, dopo l’8 settembre, costituiva il quartier generale dell’Ufficio politico investigativo (Upi) della Guardia nazionale repubblicana, incaricato di reprimere con ogni mezzo (rastrellamento, cattura, tortura, fucilazione, deportazione) la lotta clandestina in città e in provincia.
Gibellino è solo l’ultimo del triste elenco dei pompieri partigiani Caduti, che ha inizio con Antonio Appino, ucciso sui monti di Forno Canavese il 9 dicembre 1943.
Il tempo trascorso tra la fine della guerra e la Liberazione e gli anni successivi, riuscì a far calare su queste pagine di storia un pesante velo, anche a causa delle forti pressioni e i forti interessi gravanti sulla nuova condizione geopolitica dell’Italia alla fine della guerra. In particolare, il corpo nazionale, incardinato come organizzazione nel ministero dell’Interno, passa attraverso esperienze di discussi ministri e direttori generali che ne avevano diretto lo sviluppo e il funzionamento per anni nel dopoguerra, come Giuseppe Pièche già a capo della terza sezione del controspionaggio del Sim fascista e collaboratore di Franco in Spagna. Accusato di collegamenti con il tentato golpe Borghese, fuggì a Malta e successivamente venne scagionato dall’accusa.
Molti dipendenti avevano subito conseguenze dirette per i loro trascorsi e per la loro militanza partigiana, pagando a caro prezzo nelle progressioni in carriera o, addirittura, con il licenziamento. Le difficoltà incontrate per la ricostruzione di una così importante pagina di storia dei vigili del fuoco sono state tante: la frammentarietà della documentazione in primis, perché quando gli avvenimenti incalzano e si succedono a ritmo febbrile; pochi hanno cura di annotare ciò che si va dipanando sotto gli occhi di tutti, giorno dopo giorno, ora dopo ora. In queste condizioni gli unici strumenti a disposizione sono le testimonianze verbali che però non sempre si sono rivelate utili, sia per il passare del tempo e l’affievolirsi dei ricordi, sia per un’elaborazione personale delle emozioni che spinge molti a parlare con riluttanza di fatti dolorosi o non parlarne affatto.
Così con intelligenza e infinita pazienza, nei primi anni Ottanta, alcuni giovani vigili, mossi dalla curiosità scaturita dall’aver ascoltato per anni frasi appena bisbigliate, che quegli anziani colleghi, ancora in servizio per poco, si scambiavano tra loro, riescono a raccogliere delle preziose testimonianze verbali e molto materiale documentale e fotografico altrimenti perso, ridando voce e volto ai testimoni del tempo, e ricucendo i numerosi tasselli rimasti per anni scoordinati tra loro. Non è stato semplice convincere quei colleghi, testimoni del tempo, ad aprirsi ai ricordi, perché dominava ancora la diffidenza verso chiunque volesse accostarsi all’argomento. Avevano combattuto per una società migliore per poi trovarsi ignorati nel migliore dei casi, perseguitati nei casi peggiori. La domanda frequente era: “Ma perché questi ‘purilu’ (ragazzini) vogliono sapere queste cose che oramai non interessano più a nessuno?”. Loro queste “cose”, anche a distanza di circa trent’anni, le ricordavano bene e in ogni minimo dettaglio. Allentatasi la loro prudenza, i racconti inizialmente bisbigliati divennero diventano una miniera di ricordi quasi urlati; un fiume carsico fatto di storie, vicende umane, nomi, documenti, che man mano guadagnavano spazio, tornando in superficie.
Erano storie di uomini che non avevano abbandonato la popolazione sofferente, di pompieri morti tra le macerie delle case, nel tentativo di estrarre qualche corpo martoriato, di partigiani e di armi nascoste e tenute efficienti in attesa del fatidico “Aldo dice 26×1”, poi ritrovate molti anni dopo.
L’opera di recupero di quella importante memoria storica, è stata favorita dai turni di servizio notturni, durante i quali tra un intervento di soccorso e l’altro, seduti in cerchio, questi vecchi colleghi raccontano molti episodi. Conquistata la loro fiducia, ogni giorno un tassello si univa agli altri, componendo poco per volta un magnifico mosaico.
È stato possibile, quindi, strappare all’oblio una delle nostre pagine più sofferte e belle, restituendole alla storia e ai protagonisti del tempo. A questi uomini deve essere tributata la giusta riconoscenza e dignità, a quanti, con sprezzo del pericolo e indescrivibili sofferenze hanno lottato e creduto nei fondamentali ideali di giustizia e libertà, pagati spesso con la vita, e di cui oggi noi tutti beneficiamo.
Grazie a questo lavoro di recupero, dalle testimonianze emergono così storie di grandi sofferenze a cui fu era stata sottoposta la popolazione torinese, di pompieri morti nell’adempimento del loro dovere, tra le case distrutte dalle bombe; affiorano le scelte di vita di centinaia di uomini che avevano rifiutato di entrare nella cosiddetta “zona grigia”, che non si erano fatti travolgere dalla guerra, dai bombardamenti, dallo sbandamento delle istituzioni. Uomini che non si fecero erano integrati negli ingranaggi del dominio totalitario, pur trovandosi nell’apparente e comoda certezza di giungere alla fine del conflitto, indipendentemente dagli esiti, incolumi dagli eventi perché protetti dai privilegi di un corpo indispensabile, che richiedeva un impegno duro e pericoloso, ma che restituiva, un’ottima nicchia al riparo degli avvenimenti di quel brutto periodo.
Così, proseguendo nella ricerca, emerge addirittura la storia di una formazione partigiana organizzata tra i vigili torinesi, che preferiscono unirsi all’azione dei combattenti della montagna, dandosi spontaneamente a una lotta fatta di pericoli, carcere, deportazioni, pagando spesso anche con la vita la coerenza della scelta.
Emergono i nomi, non i volti che sarebbero rimasti sconosciuti ancora per anni, quei nomi pronunciati con molta circospezione: Guido Moscato, comandante dei vigili del fuoco di Torino, Renato Odone, che prese prende il suo posto nei giorni della Liberazione, Gabriele Manfredi (il mitico Gabriele!), grande amico sino al 2016, anno della sua scomparsa, il nostro sicuro punto di riferimento per molti di quei tasselli mancanti, Ettore Maccagno, e poi tanti altri ancora.
La loro scelta appare ancor più pericolosa se si considerano i vincoli e i controlli, continuamente esercitati dalle autorità fasciste e naziste sull’attività svolta dai vigili del fuoco. Bisognava combattere il regime ben due volte: la prima in modo diretto imbracciando un’arma, la seconda cospirando affinché non fosse palese l’attività clandestina. L’intelligenza dei responsabili permise aveva permesso di coniugare i due momenti, tanto da riuscire a mettere su una capillare ed efficiente organizzazione e le delazioni e le denunce, in percentuale alle azioni compiute, furono erano contenute.
Fondamentalmente il vigile del fuoco, anche il più tiepido o indifferente agli avvenimenti, non era un convinto assertore della causa fascista; lo si evince dai numerosi casi di rifiuto della tessera del fascio o di giuramento alla Repubblica sociale. Per molti degli irrequieti pompieri di Torino, all’indomani dell’8 settembre 1943, giorno dell’annuncio della firma dell’armistizio con gli alleati, fu un fatto del tutto naturale e spontaneo, schierarsi con l’emergente movimento di Resistenza, e diventarne, con il trascorrere dei mesi, uno dei maggiori punti di riferimento. Già da tempo covava in loro un forte sentimento di ostilità verso il regime e, in particolare, verso i tedeschi in particolare, non ancora in veste di occupanti, che si rivelò in tutta la sua carica, in concomitanza ai tragici fatti connessi all’episodio della strage compiuta presso l’Opificio militare di Torino del 10 settembre 1943. Nella confusione di quei giorni, molti torinesi, spinti comprensibilmente dagli stenti e dalle difficoltà di anni di rinunce, cercavano di trafugare dai magazzini militari e dalle caserme abbandonate cibo, legna, stoffa, beni utili per prepararsi a un inverno che si preannunciava duro. Quel giorno una colonna militare germanica, appena giunta in città, transitò passò davanti alla caserma dei vigili del fuoco di corso Regina Margherita, proseguì, e senza alcuna esitazione né pietà, giunta all’opificio militare di via Ricasoli, fece fuoco contro la popolazione civile intenta al saccheggio. Venne compiuta una vera strage: nove persone, la maggioranza donne, rimasero a terra uccise dal piombo nazista, più 17 feriti.
Così si presentò a Torino l’occupante nazista! I vigili vennero chiamati per estinguere l’incendio appiccato dagli stessi nazisti.
Così ha testimoniato da un anziano collega: “…e dopo un’ora circa di lavoro l’incendio era completamente spento, e trattandosi che nel frattempo i militi della croce rossa avevano trasportato via i feriti e i morti che si trovavano sulla strada, lasciando le chiazze di sangue sul terreno, allora io colla stessa condotta ho fatto lavare, in modo da non lasciare più tracce”. Lì, tra le donne morte per mano nazista, si accese, anche in chi fino ad allora aveva mantenuto un atteggiamento di distanza dalla politica, un forte odio verso l’occupante e verso i loro sostenitori fascisti. La forte avversione si acuì ulteriormente con il rientro nel corpo di quei vigili del fuoco impegnati sui vari fronti di guerra. Questi narrarono non solo le sofferenze della guerra, ma anche il disgusto per il comportamento sleale dei militari tedeschi nei loro confronti sui fronti di battaglia.
Così, già nei primi giorni di settembre, incominciò per i pompieri l’attività clandestina, con il compito di procurare armi, viveri, vestiario, materiale clandestino di propaganda e protezione alle formazioni partigiane, che man mano si andavano formando sui monti.
Un’attività pericolosa per i pompieri torinesi, poiché essendo dipendenti del ministero dell’interno il rischio di delazioni e di controlli serrati era molto alto, ma che tuttavia non impedì loro di fare una precisa scelta di campo e ingaggiare una battaglia, certamente rischiosissima, pur di contribuire ad affermare i valori della libertà dall’oppressione nazi-fascista. Quei pompieri si aggregarono in modo spontaneo perché mossi da un unico ideale politico e da un medesimo desiderio: combattere i nazi-fascisti, in qualunque modo e con qualsiasi mezzo. Nacque così tra i vigili del fuoco la XXIII brigata celere “Pensiero Stringa”, intitolata a uno dei primi vigili-partigiani trucidato dai nazi-fascisti. Fu tra le prime brigate sappiste a formarsi sul territorio cittadino.
Forte della determinazione dei suoi organizzatori e degli elementi che seppero sfruttare al meglio le enormi risorse del comando dei vigili del fuoco, in breve si affermò come uno dei più agguerriti gruppi di partigiani, non solo sul territorio cittadino. Gli appartenenti lavoravano incessantemente in due distinte direzioni: nel sabotaggio e nel contro sabotaggio, ovvero con l’intento di danneggiare l’organizzazione nazifascista e supportare la lotta dei partigiani foranei. La capacità operativa della brigata aveva raggiunto degli ottimi livelli, tanto da essere in grado di maneggiare mine ed esplosivo, utilizzato in gran quantità per il sabotaggio di baraccamenti militari, centrali e linee elettriche ad alta tensione.
L’azione della brigata fu anche volta al trasferimento verso luoghi sicuri di prigionieri alleati, di ebrei, alla consegna di dispacci e posta indirizzata alle formazioni partigiane di montagna. Naturalmente quella intensa attività esponeva notevolmente i vigili-partigiani a notevoli rischi, ma consapevolmente nessuno si sottrasse ai pericoli che la scelta comportava, convinti tutti che quella era l’unica strada da percorrere per ritrovare la libertà.
In una sua testimonianza scritta Giovanni Mantelli, ex maresciallo dei vigili del fuoco di Torino, deportato a Mauthausen con altri suoi colleghi per motivi politici, ha fornito in modo molto semplice e con grande umiltà, una preziosa testimonianza di come riuscivano a far fuggire gli ebrei in luoghi sicuri: “Durante la Resistenza noi partigiani dei vigili del fuoco svolgevamo diversi servizi per gli antifascisti e specialmente per gli ebrei, trasferendoli dalle loro case all’ospedale Mauriziano. Questo ci esponeva a un grande pericolo. Il trasporto avveniva con un’ambulanza dove la caposala, suor Giovanna, accoglieva con amore tanta povera gente nel reparto del prof. Coggiola. Gli ebrei venivano qui ricoverati e successivamente destinati per i luoghi più diversi, salvandoli in tal modo dalla deportazione nei campi di concentramento. Per noi era una grande soddisfazione salvare più persone possibili dallo sterminio. Ritornavamo in caserma contenti di aver fatto una buona azione, anche se tutti sapevano che poteva costarci la vita”.
L’azione cospirativa esponeva i pompieri-partigiani a continui pericoli di rappresaglia da parte dei nazi-fascisti. Le rigide misure precauzionali che venivano prese dai componenti e da chi era a conoscenza dell’attività, a volte venivano meno, e tra le maglie intessute a protezione dei resistenti filtravano delazioni e indiscrezioni, accompagnate spesso da errori fatali, tali da mettere a rischio non solo l’incolumità dei singoli, ma l’intera struttura organizzativa, per giungere infine in taluni casi all’annientamento di interi gruppi di Resistenza. Quei 32 vigili del fuoco Caduti, censiti nella sola Torino, morirono in azioni di combattimento, vennero fucilati a seguito di rastrellamenti o perirono nei campi di concentramento.
Fasi storiche drammatiche ma anche dense di passionalità ed emozioni, che legavano gli uomini del corpo dei vigili del fuoco tra di loro forse più di qualunque altra cosa, accomunati da un destino duro, incerto, ma coinvolgente e carico di speranze e di fiducia per un futuro che tutti si auguravano migliore. Uomini legati, indipendentemente dalla loro fede politica e dalla scelta di campo che sovente li contrapponeva, da un intento comune: il bene del prossimo. Seppero persino convivere, negli ultimi mesi del regime fascista, con una strana alchimia, specchio di un’indole tutta italiana, i rossi con i neri, senza che gli uni sopraffacessero mai gli altri. Il dato certo comunque era che i vigili del fuoco, a dispetto degli eventi che imponevano una scelta di schieramento, rimasero sempre al loro posto vicini alla gente, senza mai farsi travolgere dagli avvenimenti che sconvolgevano il Paese. Sempre in prima linea. Non vi fu né il 25 luglio, né l’8 settembre, né i duri anni del 1944 e del 1945 a dividerli e a distoglierli dalla loro nobile missione: dare alla gente colpita negli affetti e nei beni dalla furia distruttiva delle bombe e dalla ferocia nazista, un segnale tangibile (anche minimo) a cui affidare un significato di continuità proiettato in avanti. Un filo conduttore tra il passato, che per tante persone fu annullato completamente, e un futuro che comunque doveva esserci. Dunque, negli anni sono state diverse le azioni che quei giovani e intraprendenti vigili del fuoco hanno portato avanti per riportare alla luce e tutelare la memoria di quegli uomini e di quelle azioni che contribuirono a liberare la nostra città.
L’occasione si presentò alla fine del 1984, quando Giuseppe Gastaldi, presidente dell’Anpi di Chieri ed ex vigile del fuoco, che assieme ad altri vigili, dopo l’8 settembre prese la decisione di unirsi ai partigiani operanti in Valle d’Aosta, contatta quei giovani e inesperti vigili-ricercatori.
Nel quadro delle iniziative dedicate al 40° della Liberazione, viene reso omaggio, il 5 gennaio del 1985, a due vigili, Rinaldo Ballari e Cesare Giudice, fucilati all’interno della Caserma Monte Grappa. In breve tempo, emergono importanti e fondamentali notizie, destinate ad arricchirsi ulteriormente quando veniamo in contatto con Renato Odone, memoria vivente di quei giorni drammatici. Renato, ormai ultraottantenne, diventa il faro di riferimento delle ricerche: era stato uno degli artefici della nascita del movimento clandestino presente nei vigili del fuoco, custodiva una bandiera dell’Anpi, dedicata alla XXIII brigata celere «Pensiero Stringa», era stato il presidente della sezione Ermete Voglino dell’associazione dei partigiani.
Renato, promotore assieme ad altri dell’organizzazione partigiana clandestina, predispone la sede centrale dei vigili del fuoco per accogliere il “Comando piazza” nei giorni dell’insurrezione e viene nominato comandante dell’83° corpo dei vigili del fuoco di Torino, carica che ricopre fino al ripristino delle condizioni di normalità dell’organizzazione antincendi, dopo l’epurazione dei soggetti compromessi con il passato regime. Nel gennaio del 1985 si tiene la cerimonia di commemorazione dei due vigili-partigiani fucilati all’interno della caserma Monte Grappa e, nello stesso giorno, una cerimonia nella sede centrale dei VV.FF. di Torino, durante la quale Odone, licenziato nel 1949, è stato riabilitato ufficialmente dall’ispettore generale capo Tiezzi. Renato in quella stessa occasione ha deciso di donare la bandiera della “Pensiero Stringa”, come passaggio di testimonianza e di valori alla generazione alla quale appartenevano quei giovani e testardi ricercatori.
Il 25 aprile di quello stesso anno i risultati della ricerca storica hanno portato il Comune di Torino a concedere a Renato Odone e Ettore Maccagno (commissario politico della 6ª divisione Sap) il “Sigillo della Città di Torino” solennemente conferito con una cerimonia in “Sala Rossa” dal Sindaco Giorgio Cardetti.
Molte altre iniziative hanno caratterizzato gli anni a venire: nel 1998 viene pubblicato il libro “La città sotto il fuoco della guerra”, di Michele Sforza, che per la prima volta affronta non solo l’azione dei vigili del fuoco nel corso dei duri bombardamenti su Torino e su altre città italiane, ma anche il contributo degli stessi alla lotta di Liberazione. Il volume, ripubblicato in forma aggiornata nel 2014, permette al grande pubblico di conoscere un tema pressoché sconosciuto.
Nel 1999, grazie a una iniziativa partita dal basso, l’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi concede ai vigili del fuoco di Torino la Medaglia d’Oro al Merito Civile, che in qualche modo colma un vuoto nel riconoscimento del valore delle azioni compiute tra il 1940 e il 1945.
Il processo per il recupero e la valorizzazione di quella memoria prosegue: dopo numerose mostre e conferenze sul tema, recentemente, il 27 gennaio 2021 sono state posate due pietre di inciampo dedicate a due vigili morti a causa della detenzione nel triste campo di Mauthausen e, in conclusione, la costituzione della sezione Anpi dei vigili del fuoco intitolata a Pensiero Stringa, risposta oltremodo doverosa oggi che ombre oscure di revisionismo storico avanzano.
Una sezione già presente negli anni 60, pur non essendo del corpo. Oggi, quando tutto sembra risolto e compiuto, noi che ci onoriamo di aver conosciuto e raccolto dalla viva voce dei testimoni del tempo uno straordinario messaggio, non vogliamo smettere di assumere altri ambiziosi e importanti impegni, affinché mai più ritornino nell’oblio le vicende umane di donne e uomini che anteposero alla loro vita i valori della libertà e della giustizia.
Enzo Ariu, Alberto Merlo, Ilier Moschini, Michele Sforza della sezione Anpi “Pensiero Stringa” di Torino
Pubblicato lunedì 14 Giugno 2021
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