«Il pomeriggio del 29 settembre – ha scritto su queste pagine Carlo Smuraglia – si è tenuto, nella sede dell’Anpi nazionale, il preannunciato incontro tra partiti, associazioni e movimenti (25 invitati e foltissima partecipazione) per valutare come reagire – insieme – alla escalation di movimenti di tipo fascista che si sta realizzando nel nostro Paese e all’avanzata – non solo da noi ma in tutta Europa – di tendenze e spinte, riconducibili ad una complessa tipologia di egoismi e nazionalismi, di xenofobia, di razzismo, di autoritarismo, tendenze che, a buon diritto, vengono ricondotte ad una nozione più ampia, e in parte “nuova”, di “fascismo”».
Prendo spunto da quell’incontro per avanzare alcune riflessioni.
È fin troppo facile paragonare l’Italia attuale ad una pentola colma d’acqua in ebollizione con un coperchio. Per una inderogabile legge della fisica, prima o poi il contenuto della pentola trabocca.
Fuor di metafora, i pericoli che corriamo oggi non hanno precedenti dal secondo dopoguerra sia per la vicenda nazionale che per il quadro mondiale: in Austria vince il Partito popolare conservatore (ÖVP col 31.4%) del giovane Sebastian Kurz, che ha rubato temi e parole d’ordine proprie dell’ultradestra, che a sua volta ottiene un risultato storico (FPÖ col 27.4% dei voti). Com’era previsto i due partiti cercheranno una liaison per dar vita ad una maggioranza di governo, incarnando così un modello vincente che potrebbe sedurre le nostre destre – Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia – che, sia pur fra contraddizioni e contrasti, già oggi marciano insieme. Per di più è chiara quantomeno la propensione di Sebastian Kurz, Cancelliere austriaco in pectore, a stringere rapporti stretti col cosiddetto Gruppo di Visegràd (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia), accomunato da una visione euroscettica e da una politica di tolleranza zero verso i migranti. Va notato che nei giorni scorsi le elezioni politiche nella Repubblica Ceca sono state vinte da Andrej Babis, soprannominato “il Trump Ceco”, uomo di destra in aura di antieuropeismo, che – si suppone – si alleerà con una formazione xenofoba e “sovranista” che ha raggiunto il 10.7%, a fronte del crollo dei socialdemocratici, partito di maggioranza uscente, ridotti al loro peggior risultato storico: 7.5%.
Per dare un’idea dell’aria che tira nel mondo, conviene considerare anche l’esito delle elezioni politiche parziali in Argentina, dove il Presidente Mauricio Macri, uomo della destra filostatunitense, è uscito clamorosamente vincitore, mentre l’ex presidente, la peronista Cristina Kirchner, ha subito una pesante sconfitta. Tanto per capirci, l’organizzazione delle Madri e delle Nonne di Plaza de Majo, che associa i parenti dei desaparecidos della sanguinaria dittatura di Videla, ha protestato nei mesi scorsi contro Macri chiedendo di sapere che fine avesse fatto Santiago Maldonado, noto attivista a sostegno dei diritti dei Mapuche. Maldonado era scomparso dopo un raid della polizia militare nella comunità di Mapuche il primo agosto scorso. Il fiume Chubut ha risposto alla domanda delle combattive madri e nonne, restituendo a metà ottobre il corpo del povero Santiago.
Il quadro si completa con due tasselli; il primo è un presidente degli States eletto anche con i voti delle destre più estreme e fanatiche, a cominciare dal Ku Klux Klan, accusato di non sapere gestire col necessario equilibrio la gravissima crisi causata dagli esperimenti nucleari in Corea del Nord e dalle dichiarazioni belliciste del suo leader; Trump quattro mesi fa ha annullato gli accordi con Cuba, nelle ultime settimane ha dichiarato l’uscita degli Stati Uniti dall’Unesco e annunciato l’imminente “de-certificazione” (cioè il rigetto) degli accordi con l’Iran; il secondo tassello è la minaccia terroristica che incombe più che mai, come confermato dalla recente ecatombe di Mogadiscio (più di 270 morti e 300 feriti).
Dalla Casa Bianca a Bruxelles: l’Unione Europea sembra spesso asfittica e titubante, sempre più inquinata da una presenza diffusa di forze implicitamente o esplicitamente oscurantiste, fasciste, naziste, razziste, come in tanti Paesi dell’est, in alcuni dei quali governano (Polonia e Ungheria), con l’aggiunta – per di più – delle pesantissime tensioni interne per i noti motivi in un importante Paese membro dell’Unione: la Spagna.
Che succede in Italia? Da parte di formazioni neofasciste o neonaziste si alternano aggressioni, schiamazzi, manifestazioni, blitz nei consigli comunali, “ronde” (il nuovo modo di chiamare lo squadrismo), ed assieme, sempre da parte di queste formazioni, iniziative sociali e culturali di appoggio (peloso) ai settori più deboli della popolazioni, alle genti di questa o quella periferia, cavalcando la xenofobia causata dalla guerra fra poveri e strumentalizzando la marginalizzazione causata dagli effetti della crisi.
Questo – sommariamente – è il quadro di una situazione gravida di rischi immensi per la pace nel mondo, per la coesione sociale, per la tenuta di quel sistema delicatissimo e complicato di diritti, doveri, rappresentanze e libertà che abbiamo chiamato “democrazia” e che, dal 25 aprile 1945, è l’aria che respiriamo e che abbiamo conservato nonostante una serie di tentativi di colpi di Stato e di manovre oscure, a cominciare dal “Piano Solo” del generale De Lorenzo nel 1964, fino alle torbide vicende di Gladio e Stay-Behind.
In questo scenario – è bene non dimenticarlo – vi sono due forze politiche di destra – Fratelli d’Italia e la Lega – accomunate per parte consistente quanto meno del loro linguaggio alle formazioni extraparlamentari più note della destra estrema, fascista o parafascista (CasaPound e Forza Nuova). Fratelli d’Italia e la Lega, assieme a Forza Italia, sono stimati (sondaggio Demos pubblicato su Repubblica del 16 ottobre) al 33.8%, a fronte del Pd al 26.3% e di M5s al 27.6%. Anche considerando alcune variabili (alleanza del Pd col partito di Alfano, dato al 2.2% e/o con Campo Progressista (Pisapia) dato al 2%, allo stato sembrerebbe prevalere l’embrassons nous di destra. A questo proposito a mio avviso non vanno sottovalutati due recenti eventi. Il primo è rappresentato dai vari voti di fiducia sulla legge elettorale, che presumibilmente, indipendentemente dal giudizio sulla legge, faranno perdere consensi all’attuale partito di maggioranza e allo stesso governo. Analogamente avrebbe effetti elettorali punitivi il ventilato aumento dell’età pensionabile a 67 anni. Il secondo è l’esito del referendum consultivo sull’autonomia in particolare in Veneto, dove una cifra ben superiore al 50% degli aventi diritto ha partecipato al voto ed ha votato Sì, a fronte di una divisione del Pd, una parte del quale ha invitato a votare a favore della richiesta di ulteriore autonomia. Questo voto referendario merita certo un approfondimento, ma non si può dimenticare che i Dioscuri del referendum, quelli che il giorno dopo hanno cantato vittoria, sono stati Zaia e Salvini.
Nella crescente confusione e conflittualità della situazione italiana, dunque, c’è il rischio non irrilevante di un governo del Paese incardinato su Lega e Forza Italia. Va notato che, se regge l’accordo Salvini-Berlusconi, in base a cui il premier sarà espresso dal partito che prenderà più voti, non si può escludere il prevalere della Lega su Forza Italia. Né è da escludere una alleanza o comunque una relazione della destra con le formazioni neofasciste: secondo alcuni sondaggi (Repubblica del 6 ottobre) ad Ostia, Municipio di Roma dove si voterà fra qualche settimana, CasaPound è stimata dal 6 al 10%.
Ed arriviamo alla pentola in ebollizione che può traboccare. Traboccò in Italia nel ’22 ed in Germania nel ’33. È ovvio e persino banale affermare che ci troviamo in tutt’altra situazione. Eppure le resistibili ascese di regimi più o meno fascistoidi o nazistoidi sono sempre state legate a periodi di gravissime crisi di carattere sociale e/o economico e/o politico e/o culturale. Disgraziatamente viviamo nel nostro Paese in un tempo in cui la poliedricità della crisi (sociale, economica, politica, culturale) si manifesta nella sua composita interezza, né gli indicatori economici relativamente positivi degli ultimi mesi sono tali da prefigurare chissà quali miglioramenti della vita quotidiana della stragrande maggioranza degli italiani. C’è da aggiungere, per essere più chiari, che il vento xenofobo ha oramai coinvolto strati ampi, forse molto ampi, di cittadini, non solo in ragione della guerra fra poveri che sovente scoppia nelle periferie fra migranti e residenti, ma anche per il senso comune che si va diffondendo in parte delle giovani generazioni, vittime anche di uno “sdoganamento” del ventennio e dell’ideologia fascista, che non sono più un “tabù” (come fino a qualche decennio fa) nella Repubblica democratica nata dalla Resistenza; questo o quell’aspetto del fascismo, o il suo insieme, o la sua “reinterpretazione” in chiave contemporanea è accettato, o condiviso o sostenuto. È questo il punto d’arrivo del lungo percorso, spesso carsico, di un revisionismo della storia che per decenni ha minimizzato, “relativizzato”, giustificato, in assenza di una risposta non sempre proporzionata né sufficiente da parte dello Stato, della politica, della cultura.
Se tutto ciò è fondato, il tema del contrasto ai rinati fascismi è all’ordine del giorno e richiede idee chiare su come promuoverlo ed organizzarlo.
Alcuni sostengono che i neofascismi sono solo frutto di nostalgie sconfitte dalla storia. Disgraziatamente non è più così: queste forze dell’eversione contemporanea cavalcano in qualche modo la modernità, si fanno portavoce dei disagi di oggi, “aggiornano” al tempo della globalizzazione il loro vocabolario: il nazionalismo diventa “sovranismo”, l’ostilità verso il diverso (migrante, nero, gay o quant’altro) diventa “comunitarismo”, la Carta di Verona (il manifesto programmatico della Repubblica sociale italiana) diventa il nuovo welfare, lo stile della “azione esemplare” si richiama in modo evidente alle pratiche del futurismo, il cui ideatore – Tommaso Marinetti – già fascista, aderì alla Rsi, il razzismo e il culto magico degli antenati diventa “identitarismo” (da un sito “identitario”: “L’unione del dato etnico di Sangue, con quello di radicamento territoriale”). La palestra dove gli “attivisti” neofascisti si impegnano a far crescere bicipiti, quadricipiti e muscoli del collo (sempre utili nelle azioni squadristiche) diventa la “casa” dove si ritrovano. I fascismi di oggi non sono solo un fenomeno “di nostalgia”, ma insistono sui giganteschi cambiamenti e sulle contraddizioni determinate dai nuovi assetti geo-economici mondiali ed hanno presa su vari strati sociali e generazionali: tanti ragazzi che hanno vissuto l’ultimo decennio consapevolmente e colpevolmente svuotato di idee, ideologie, ideali, passioni, gioie, possono rivolgere le loro speranze e i loro desideri verso l’accrocco mistico-futuristico-irrazionalistico-nazionalpopolare dei neofascismi. Ma questo accrocco corrisponde in gran parte – non nascondiamocelo – allo spirito del tempo. Un tempo che non ci piace, ma c’è.
Altri affermano che sì, è vero, ci sono i neofascismi, ma in realtà il fascismo c’è già, e si manifesta in questo, quello o quell’altro provvedimento del governo o del partito tal dei tali. Sia chiaro: questo, quello o quell’altro provvedimento del governo o del partito tal dei tali può non essere condiviso, può essere frutto di critica asperrima, di forte denuncia, ma equipararlo al fascismo non solo vuol dire non aver capito cosa sia stato e cosa sia il fascismo, ma vuol dire anche mettere sullo stesso piano in una notte in cui tutte le vacche (e le camicie) sono nere la grandissima parte delle forze politiche. Un’idea di questo genere non distingue, rinuncia all’analisi, e, immergendo tutti nello stesso calderone, impedisce qualsiasi alleanza, nega qualsiasi politica e di conseguenza condanna al più totale e velleitario isolamento contornato, semmai, da qualche manifestazione autocelebrativa e consolatoria. Tutto ciò – sia chiaro – non può nascondere le responsabilità anche molto pesanti di ciascuna forza politica nelle scelte che compie. Ma, assieme, non giustifica l’arbitraria identificazione di una forza – per esempio – criticata a torto o a ragione perché ritenuta portatrice di una politica liberista, con una forza fascista.
Che fare allora?
In tutt’altro contesto ci fu un’alleanza per liberare l’Italia dai fascisti e dai nazisti. Di quell’alleanza facevano parte, com’è noto, forze pur diversissime fra loro, pur reciprocamente antagoniste, ma che condividevano l’unico obiettivo della liberazione: monarchici, liberali, democristiani, comunisti, azionisti, socialisti. La forma di tale alleanza si chiamò Cln.
Ovviamente il punto non è oggi dar vita al Cln; sarebbe una proposta fuori dalla logica, dal tempo e dalla storia. Eppure quell’esperienza ci insegna sia che l’unità è necessaria per sconfiggere il comune nemico, sia che tale unità non nega né colpisce l’identità e l’autonomia di ciascuno. Tant’è vero che dopo la Liberazione proprio quelle forze, protagoniste della nuova Italia, prima si divisero sul referendum istituzionale, poi avviarono l’ordinarietà delle scadenze elettorali competendo fra di loro. Ma su di un punto (per fortuna) tale unità rimase in sostanza condivisa: i lavori della Costituente ed il loro frutto – La Costituzione – che a tutt’oggi conserva una modernità – appunto – impressionante.
Ma è oggi possibile creare un fronte comune delle forze democratiche contro i fascismi? È una domanda legittima, data la metamorfosi dei partiti a poco più che comitati elettorali, dato il declino delle loro capacità di rappresentanza sociale, dato l’inedito malessere che percorre l’intera società italiana e che si incarna in un fenomeno astensionistico che oramai riguarda poco meno di metà dell’elettorato. La risposta è, quanto meno in parte, positiva, per un motivo paradossalmente negativo, e cioè perché nella storia delle moderne democrazie non risulta un’altra possibilità di organizzazione politica che non sia la libera associazione di cittadini in partiti “per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art. 49 della Costituzione), perché i tentativi più o meno alternativi di forme di organizzazione politica più partecipata (partiti “non partiti”) hanno finora conseguito un esito deludente e in qualche caso contrastante con i principi da loro stessi proclamati e comunque, ancorché “non partiti”, si organizzano anch’essi nella forma-partito; va aggiunto che il processo di costruzione di un fronte delle forze democratiche contro i fascismi non riguarda solo i partiti, ma anche le organizzazioni sociali; cito l’Arci, le Acli e i sindacati confederali come esempio, perché il vastissimo mondo dell’associazionismo laico e cattolico potenzialmente potrebbe esprimere in larga parte una volontà antifascista che andrebbe raccolta e governata verso il comune obiettivo.
Non va sottovalutato il tema dell’associazionismo, perché, specularmente, esso fu uno dei principali fenomeni di incubazione del fascismo e, ancora di più, del nazismo (come ci ha mirabilmente dimostrato George Mosse, in particolare nel volume “La nazionalizzazione delle masse”): cori, palestre, associazioni sportive e quant’altro. C’è qualcosa di sinistro nel vedere CasaPound promotrice di associazioni e movimenti sui temi della scuola, dello sport, dell’ambiente, della casa, degli asili. La nuova frontiera dell’associazionismo, d’altra parte, è il web, che pullula oggigiorno di post di esplicita natura neofascista, neonazista, xenofoba, razzista, omofoba e quant’altro. Per la cronaca, i “Mi piace” sulla pagina nazionale di CasaPound sono ad oggi circa 222mila. Ed è ancora più inquietante registrare non solo la scomparsa delle forze democratiche dagli insediamenti produttivi, dagli uffici ed in generale dai posti di lavoro, ma anche la loro scarsissima presenza sul territorio, ove invece – e sempre più – operano CasaPound, Forza Nuova, Fratelli d’Italia, la Lega.
Si può obiettare che sì, un largo fronte antifascista non può prescindere da partiti democratici, associazioni e movimenti, ma esso non può reggere senza una altrettanto ampia alleanza sociale, cioè il popolo di oggi. Il punto è che negli ultimi vent’anni per la grande parte dei cittadini è cambiata la grammatica dei rapporti sociali, dei rapporti con la politica e con le istituzioni. La famosa frase del 1987 della signora Thatcher per cui «la società non esiste: esistono individui, uomini, donne e famiglie» sembra incarnarsi nel tempo che viviamo: ha prevalso la solitudine sociale, l’ideologia della competition nella forma di tutti contro tutti, del mercato senza vincoli come religione civile, a fronte di cambiamenti radicali nella natura e nella diffusione del lavoro, al punto che in qualche caso la povertà è letta come un destino o, peggio, come una colpa.
L’obiezione è fondata, ma non può essere un alibi per differire nel tempo il tentativo di costruire un largo fronte antifascista. Può essere invece che proprio il lavoro per dar vita a tale prospettiva aiuti la politica ed le istituzioni a un cambio di passo. Parafrasando una famosa espressione, occorre passare dalla povertà della politica , e cioè da un politica immiserita, lontana dalla vita, ridotta a meschini interessi di parte o personali, incapace di farsi servizio o prossimità, priva di progetti e orizzonti, alla politica della povertà, e cioè ad una politica che si faccia carico in modo prioritario della condizione di vita materiale dei poveri (secondo l’Istat i poveri, cioè coloro che versano in gravi difficoltà economiche, sono oggi in Italia 7.2 milioni), ma anche dei ceti medi declassati, dei piccoli imprenditori in difficoltà, dei salariati, dei ragazzi che sbarcano il lunario con lavori incerti, dequalificati e sottopagati. Insomma, una formidabile questione sociale che deve essere affrontata con chiarezza e determinazione in primis dalla politica che deve ricomporre ceti frantumati dalla crisi – “un volgo disperso che nome non ha” – in un fronte sociale consapevole e unito.
Forze politiche, associazioni, organizzazioni, singole personalità unite per la democrazia e contro i fascismi, in compresenza di opinioni diverse e anche contrapposte, senza alcuna preclusione: tale eterogeneità non è un elemento di debolezza ma di ricchezza, perché tende ad isolare l’avversario; non solo: essendo, per motivi genetici, l’antifascismo il respiro che dà vita all’intera costruzione della Repubblica italiana, la più larga convergenza su questo tema è davvero in sé elemento di valore e di crescita democratica. Muoversi in questa direzione richiede tempo, volontà e chiarezza, né – sia chiaro – è certo il risultato; per questo occorre che l’alleanza, il fronte – lo si chiami come si vuole – nasca al più presto possibile e nel modo più ampio possibile. Per esempio a partire proprio dal tavolo promosso dall’Anpi nazionale il pomeriggio del 29 settembre, augurandosi che l’invito a “fare causa comune” venga largamente accolto, come pure sembra dal larghissimo ventaglio di iniziative unitarie promosse dall’Anpi che si svolgeranno il 28 ottobre. Siamo all’inizio e il lavoro sarà lunghissimo, difficilissimo, faticosissimo.
Non c’è dubbio che dobbiamo affrontare i problemi del mondo d’oggi, a cominciare dai risorgenti fascismi, con spietato realismo, assumendo le decisioni giuste nel momento giusto. Nonostante tutto, val la pena operare senza abbandonarsi a visioni fatalistiche o irreversibilmente pessimistiche; è vero, la pentola italiana da tempo è in ebollizione, e la fisica ci dice che prima o poi traboccherà. Ma è anche vero, come scrisse il poeta libanese Gibran Khalil Gibran, che “nulla impedirà al sole di sorgere ancora, nemmeno la notte più buia. Perché oltre la nera cortina della notte c’è un’alba che ci aspetta”.
Pubblicato giovedì 26 Ottobre 2017
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