Ora che si è appena chetato il bollore delle tantissime pastasciutte antifasciste, la più bella “parlata” sulla fine del fascismo a detta di papà Cervi, vale la pena di raccontare la storia di questo filo di appetito sano e civile che lega comunità e luoghi, piazze e associazioni da ormai molti anni. Il racconto non è quello della pastasciutta storica offerta in piazza a Campegine dai Cervi insieme ad altri cittadini stanchi di nascondersi, a tutta la gente convenuta per festeggiare, sì, la caduta di Mussolini, ma anche per un piatto di solidarietà nel cuore della miseria bellica. È sempre utile ricordarla, perché a quanto pare non tutti la conoscono (o l’hanno dimenticata), specialmente qualche giornalista malintenzionato che scambia un gesto di rievocazione popolare per una mercificazione alimentare dei valori antifascisti.
La storia da raccontare, anch’essa mai abbastanza rappresentata, è proprio quella della diffusione spontanea della manifestazione, per tutta Italia e persino oltre. Cominciò quasi per caso quindici anni fa, perché agli amici del museo di Fosdinovo, in provincia di Massa Carrara, un altro luogo di memoria partigiana in Lunigiana, piacque l’idea di quel gesto autentico: offrire un piatto di pastasciutta in onore della caduta del regime. Chiesero a Casa Cervi se potessero replicare quel sapore, quello spirito. E così cominciò (e non si è ancora fermata) la volontà di moltiplicare ovunque e comunque un atto così semplice e immediato, a cui nemmeno servono tante spiegazioni: una forchettata festosa per spazzare via l’ombra nera della storia italiana.
In tempi di fenomeni artificiali e algoritmi di gradimento, la storia della rete della pastasciutte antifasciste spicca per spontaneità e verrebbe da dire anche per umiltà: non è un marchio, è un’idea contagiosa fatta per essere condivisa. Pochissime le regole, se così si possono chiamare: rievocare il fatto storico del 25 luglio e i Cervi che per primi misero in pratica questa volontà; mantenere inalterato il gesto della pastasciutta offerta (sì, gratis); e, manco a dirlo, richiamarsi tutti al campo ideale dell’antifascismo, della democrazia, della Costituzione.
I pensieri forti non hanno bisogno di protocolli, ma solo di tante persone che vi danno corpo. E così è stato: comuni, cooperative, circoli Arci, associazioni culturali e tantissime sezioni Anpi locali hanno popolato la mappa della rete anno dopo anno, spontaneamente, fino ad arrivare a oltre 200 eventi in contemporanea.
La fame di antifascismo è stata condita negli anni con tanti altri temi e fa parte dello spirito libertario dell’iniziativa, ancora una volta non costruita ma accaduta: la lotta al razzismo, la difesa dei diritti civili, la legalità, la pace. La pastasciutta antifascista si serve in un piatto grande, ma nessuna altra storia può essere sovrapposta alla ricetta originale, o reinventata da altri per altri scopi.
Perché la pastasciutta non è di Casa Cervi, ma l’hanno fatta i Cervi, e oggi la fanno tantissimi italiane e italiani (e non solo) che partecipano a quella tavola allargata senza bisogno di ulteriori suggerimenti. Quest’anno, come quasi ogni anno, la pastasciutta antifascista si è dovuta difendere dalle svastiche, dalle accuse di “abbuffata sediziosa”, dal dileggio sprezzante di chi non sa, non ha capito o semplicemente antifascista non è.
Il patrimonio popolare rappresentato da questa manifestazione così diffusa è l’unica risposta a tutti, ed è un bene inestimabile per tutti, da non contendersi per alcuna ragione. Celebrare la caduta di una dittatura è davvero un nutrimento per tutti, e regalarci l’un l’altro un piatto di pasta è un gesto così essenziale, così universale da non richiedere altre intestazioni. Che l’appetito antifascista non venga mai meno, ovunque voi siate.
Mirco Zanoni, coordinatore culturale Istituto Alcide Cervi
(Foto: Istituto Alcide Cervi)
Pubblicato giovedì 28 Luglio 2022
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