Se si danno alle persone canali di espressione, i sentimenti e le idee emergono. La vera impresa è, allora, trovare questi canali e far sì che la società, che vive con preoccupazione questa fase ed ha forti timori per la tenuta del sistema democratico, si riconosca in un sistema di valori altro da quello oggi considerato dominante». Parlando di “Non siamo pesci”, il manifesto-appello contro la strage di migranti nel Mediterraneo, che ha lanciato poche settimane fa con lo scrittore Sandro Veronesi, Luigi Manconi – ex parlamentare del Pd e attualmente (ma ormai per pochissimi giorni ancora) coordinatore dell’Unar, l’Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni – affida all’iniziativa una funzione quasi maieutica: la vede come un momento, uno dei momenti, che può aiutare a far emergere una verità diversa da quella taroccata dai profeti dell’intolleranza.
Settemila adesioni in pochissimi giorni. Un segnale che c’è un’Italia che non si è imbarbarita e che prova a dire no al montante partito della paura di cui Salvini è leader indiscusso.
Essendo uno dei promotori di “Non siamo pesci” non le attribuisco un peso ed un significato superiori a quello che ha, anche se, ad esempio, ed è molto importante, la vogliamo proseguire attraverso la vigilanza e la disponibilità ad altre manifestazioni. Ma il senso vero, lo ripeto, è trovare canali di espressione a sentimenti che sono presenti nella società. Il nostro manifesto è uno dei tanti atti possibili: come lo è stata la raccolta fondi per i bambini di Lodi, come il caso della signora che sulla Circumvesuviana di Napoli si riferisce ad un bullo intollerante e gli dice “tu non sei razzista, sei stronzo”.
Quella signora è diventata per molti di noi una eroina: affrontare un balordo mentre tutti intorno a lei tacevano…
Sì, si è trattato di un segnale importante. Anzi è tra i più importanti, perché da 25 ani diciamo che i mezzi di trasporto sono uno degli “strumenti” più delicati e più controversi, sia per la formazione dell’opinione pubblica, sia per la capacità di esprimere un dissenso. Ricordo che a dicembre ci fu un altro episodio terribile nella metropolitana di Roma. Ad opporsi ad un tentativo di linciaggio fu, ancora una volta, una donna: fu maltrattata e non incontrò un solo gesto, una sola parola di solidarietà da parte degli altri viaggiatori. Allora cosa abbiamo? Abbiamo mille piccoli segnali, qualcosa che possiamo individuare con difficoltà, che è sotterraneo, che fatica a trovare espressione pubblica, ma che pure c’è. E voglio ricordare un dato su cui spesso si sorvola: in Italia ci sono 5 milioni e 200mila stranieri regolari; ci sono 900mila minori stranieri nelle nostre scuole. Nei confronti di questo fatto c’è un livello di accettazione elevatissimo, ci sono relazioni che si sviluppano e forme di convivenza molto positive. Certo c’è anche la follia mediatica sul vincitore di Sanremo, è vero, ma sono portato a credere che si tratti di epifenomeni in realtà puramente di tipo spettacolare.
Nell’appello proponete anche una Commissione d’inchiesta sulle stragi di migranti nel Mediterraneo.
Sì, e non solo. Chiediamo anche che una missione italiana si rechi in Libia, in particolare nei centri di protezione ufficiale e non, dove sono recluse migliaia e migliaia di persone e dove, come ricordiamo nell’appello, secondo i rapporti delle Nazioni Unite e di tutte le agenzie indipendenti, si praticano quotidianamente abusi, violenze, stupri, torture. Per quel che riguarda la commissione d’inchiesta sulle le stragi nel Mediterraneo devo rilevare con soddisfazione che a poche ore dalla nostra protesta due partiti, il Pd e +Europa, hanno elaborato disegni di legge per istituire la commissione e ci auguriamo che in qualche settimana si possa andare a discuterne.
Fine gennaio: di fronte alla morte del giovane italo-tunisimo di Empoli a seguito di un fermo di polizia, Salvini ha detto: “E che dovevamo offrirgli le brioches?”. Ecco, le brioches no, però nemmeno legarlo con le corde, nemmeno violare le regole che rendono diversa la polizia di un Paese democratico da quella di un regime autoritario. Non credi che il linguaggio del responsabile del Viminale sia benzina per la pancia xenofoba, quando non proprio razzista del Paese?
Giacché me ne offri l’occasione voglio fare chiarezza su una cosa a cui sono affezionatissimo, in maniera patologica, cioè la proprietà delle parole. Pensare che le parole siano semplicemente un fatto letterario è un grave errore: le parole costruiscono il mondo, fanno il senso comune, fanno le ideologie e le interpretazioni della realtà. Da tempo mi affanno a spiegare che xenofobia e razzismo non sono in alcuno modo la stessa cosa. Anzi. La xenofobia non è il passaggio che precede il razzismo, sono due fenomeni diversi. Cosa intendo dire? Che la xenofobia è, con diverse gradazioni ovviamente, la paura dello straniero, dello sconosciuto. Fa parte dell’antropologia umana, si è presentata in tutti i secoli, in tutte le civiltà e in tutte le fasi storiche e, aggiungo che tutti noi, indistintamente, siamo potenzialmente xenofobi. In Italia la xenofobia è cresciuta in maniera elevatissima quale conseguenza della crisi economico-finanziaria. Lo stato di insicurezza in cui hanno vissuto milioni di italiani ha portato ad una condizione tale di svilimento, di perdita di senso della propria vita e della vita dei propri cari e delle prospettive future che si è avuta la necessità di attribuire la colpa di tutto ciò a qualcuno. Questo qualcuno non poteva essere il Fondo monetario internazionale o la Banca europea, entità lontane e intangibili. Questo qualcuno è stato facile identificarlo nel prossimo diverso. Quindi lo straniero. Perché la xenofobia diventi razzismo occorre però altro».
Cosa ci vuole?
Ci vuole o una guerra civile o una crisi economica senza soluzioni e/o la politica, ci vogliono cioè gli imprenditori politici della paura che trasformano quel senso di angoscia collettiva di cui parlavo prima in aggressività e lo portano sulla scena pubblica. Voglio ricordare che la formula “imprenditori politici dell’intolleranza” Laura Balbo ed io l’abbiamo usata per la prima volta nel lontano 1990. Già allora, in piccole dimensioni, c’era tutto ciò che vediamo adesso. Insomma, la xenofobia non è destinata fatalmente a trasformarsi in razzismo. Certo, se come è accaduto in questi decenni, in quello spazio che c’è tra xenofobia e razzismo opera solo la cattiva politica è più facile che la xenofobia diventi altro.
Senza voler cedere al pessimismo pare che il quadro sia quello che stiamo vivendo oggi in Italia. Mentre la Lega e l’estrema destra cavalcano la paura, la sinistra appare afona e, in alcuni momenti diventa essa stessa prigioniera della risposta securitaria. Ne abbiamo avuto un assaggio nella precedente legislatura con la mancata approvazione del disegno di legge sullo ius soli o, ancora, durante i fatti di Macerata successivi alla morte terribile di Pamela Mastropietro: di fronte alle parole incendiarie di Salvini, a sinistra, tranne eccezioni, si è evitato per parecchi giorni di prendere posizione. Anche dopo la follia omicida di Luca Traini contro i migranti.
Essendo da sempre più che critico verso la sinistra nel suo complesso e in primo luogo verso la grande parte della leadership della sinistra, tuttavia ritengo che l’impresa fosse enormemente difficile. È un grave errore quello di pensare che si potesse cambiare la situazione con dichiarazioni più impegnative, con maggiore coraggio, con atteggiamenti più netti. Questi sono mancati ed è stato un errore che siano mancati. Ovviamente io avendo tutta la responsabilità di aver cercato di far approvare la legge sullo ius soli sono purtroppo il primo ad aver pagato lo scotto di quella codardia della sinistra. C’è stata la codardia, però sono convinto che un atteggiamento non codardo, su pur utile – nel caso dello ius soli avrebbe portato ad una buona legge – non avrebbe cambiato la sostanza delle cose.
Come mai?
Per un motivo molto semplice. Perché lo sviluppo delle xenofobia non veniva dai titoli dei giornali, non veniva nemmeno o principalmente dalle parole di Salvini o di CasaPound. Veniva dal fatto che una crisi economica violenta ha letteralmente devastato interi strati sociali, ne ha eroso la stabilità, ne ha messo in crisi il rapporto con il futuro, con le istituzioni, con la comunità. Quando parliamo di xenofobia e di razzismo, al di là delle scemenze di chi giustifica tutto ciò, dobbiamo pensare alle condizioni materiali, concrete, di vita quotidiana degli strati sociali più disagiati. Un politico che ho criticato in continuazione pur essendo della mia parte politica, ovvero Marco Minniti, come ministro dell’Interno del governo Gentiloni ha tentato un’operazione, da me totalmente rifiutata, ma importante, dare cioè una base securitaria alla politica della sinistra sull’immigrazione. L’ha fatto, ha ottenuto anche dei successi, dopo di che candidatosi in una circoscrizione sicura come quella di Pesaro è arrivato terzo. Cioè, quella politica securitaria gestita dalla sinistra non ha conquistato i voti moderati che voleva attrarre e il risultato è stato una sconfitta. Proprio perché il problema non erano le dichiarazioni di principio e non era nemmeno una politica securitaria di 12 mesi era, insisto, una crisi economica durata dieci anni.
Se così è allora la sconfitta della sinistra è duplice: da una parte lo smacco sul piano dei diritti civili e di libertà e, dall’altra, la sconfitta sul piano dei diritti sociali.
Penso non a caso che una ripresa della sinistra richieda dieci anni. Non basta un giro di legislatura, non servono i cambiamenti estetici e le modifiche tattiche. Serve, al contrario, la ripresa di un lavoro politico che certo non parte da zero, ma che deve davvero muovere lì da dove la sofferenza sociale è più acuta. Tentando non dico l’impossibile, ma il difficile sì, e cioè unire o almeno non porre in conflitto gli interessi dei deboli e quelli dei debolissimi. Insomma, cercare di combinare le domande degli ultimi e dei penultimi, fare un programma che tenga conto del bisogno di casa degli italiani e allo stesso tempo del bisogno di casa degli stranieri, del bisogno di lavoro degli uni e del bisogno di lavoro degli altri. Una impresa ardua, ma al di là di questo non c’è possibilità di salvezza.
Manconi, finora la Lega era data in crescita nei sondaggi. Da domenica, dalle amministrative in Abruzzo, questa crescita è diventata realtà. Tanto più clamorosa alla luce del flop del Movimento Cinque Stelle. Ma fino a che punto è possibile pescare nella xenofobia?
È indubbio che la capacità politica della Lega di cavalcare l’immigrazione è risultata enormemente remunerativa in termini di costruzione del consenso. Penso, tuttavia, che la politica della paura abbia dato il massimo. Non so se la mia sia una analisi sociologica o un disperato auspicio, ma non credo che più di questo possa essere ricavabile dalla Lega sul tema dell’immigrazione. E quei segnali di cui parlavo prima e, soprattutto, quella capacità di convivenza pacifica tra gli italiani e 5 milioni di stranieri regolari sono lì a dimostrarlo».
Nella passata legislatura sei stato firmatario di un disegno di legge per includere nel Giorno della Memoria un riferimento allo sterminio di rom e sinti – parliamo di circa 500mila morti, secondo le stime degli storici. Che fine ha fatto quel ddl? C’è la speranza che possa essere discusso?
Non ha avuto nessun esito e temo che le condizioni e i rapporti di forza all’interno del Parlamento impediscano a quel disegno di legge di essere riproposto e di avere successo. Il mio mandato all’Unar si concluderà il 22 marzo e se devo fare un bilancio di questo brevissimo incarico posso dire che sui rom abbiamo ottenuto un grande risultato. Siamo riusciti ad organizzazione un percorso della memoria estremamente importante, che va dalla celebrazione del Porajmos, all’inaugurazione di un monumento a Lanciano, fino a incontri di ricostruzione di questa pagina rimossa della storia europea. Penso che il nostro modesto contributo abbia avuto esattamente questo significato e sia stato utile a restituire ai rom e i sinti un pezzo di quell’onore che viene loro negato. Dare loro il riconoscimento di vittime dello sterminio nazista significa riconoscere la loro storia e questo ha come conseguenza anche il rafforzamento della loro titolarità ad esigere diritti, garanzie e tutele.
Giampiero Cazzato, giornalista professionista, ha lavorato a Liberazione e alla Rinascita della Sinistra, ha collaborato anche col Venerdì di Repubblica
Pubblicato mercoledì 20 Febbraio 2019
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