La Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne è internazionale perché a subire violenza nel mondo sono milioni di donne.
I femminicidi ne sono l’atto estremo, la dimostrazione sprezzante, spesso lucidamente pianificata, di quella millenaria divisione dei ruoli consegnata al potere patriarcale.
L’UNICEF denuncia che 650 milioni di ragazze e donne di oggi hanno subito violenza sessuale da bambine e in contesti fragili i rischi diventano certezze.
Sistemi oppressivi la cui struttura sociale trova connotazione nelle discriminazioni, nelle coercizioni e nella disumanizzazione delle persone. A pagarne il prezzo sono in primo luogo le donne, le diversità sessuali, le opposizioni politiche.
Paesi in cui si bolla per pazzia il desiderio di libertà mentre imperversano violenze, persecuzioni e guerre. Eppure cosa c’è di più folle, di più deprecabile della violenza, dell’accanimento nella negazione della dignità umana, di più deprecabile della guerra?
Sono i Paesi dove viene negato alle donne il diritto di esseri umani, come in Afghanistan o come in quegli Stati che dispongono del potere di vita o di morte delle persone, morte fisica ma anche morte civile nelle carceri o nei manicomi.
Paesi in cui si bolla per pazzia il desiderio di libertà mentre imperversano violenze, persecuzioni e guerre. Eppure cosa c’è di più folle, di più deprecabile della violenza, dell’accanimento nella negazione della dignità umana, di più deprecabile della guerra?
Ci sono i Paesi dove il corpo delle donne è mercificato a scopo sessuale o trattato come merce di scambio o di sopravvivenza – certo – ma ci sono anche i nostri “civilissimi” Paesi dove continua a scandalizzare la prostituzione di strada ma si ammicca a quella di “alto bordo” tra social e scorribande televisive con linguaggi e immagini che inducono processi culturali alienanti e di omologazione.
Lo Statuto della Corte Penale Internazionale – all’ articolo 7 – qualifica tra i crimini contro l’umanità atti come l’omicidio volontario, lo stupro, la schiavitù sessuale, la prostituzione forzata, la sterilizzazione forzata e altre forme di violenza sessuale di analoga gravità, la persecuzione per motivi politici, razziali, nazionali, etnici, culturali, religiosi, di genere.
La negazione del diritto all’istruzione, al lavoro, alla libertà di movimento, alla salute, alla giustizia e anche alla parola come oggi in Afghanistan, costituiscono, come certifica l’ultimo rapporto dell’’ONU sui diritti umani, una vera e propria “architettura di oppressione”, una persecuzione di genere che si prefigura come crimine contro l’umanità!
Quanto bisognerà ancora aspettare perché discriminazioni, persecuzioni, violenze e apartheid di genere vengano riconosciuti come violazione dei diritti umani e crimini contro l’umanità?
Sono crimini che toccano e che incidono nella carne viva di tante ragazze e di tante donne vittime del sostrato sociale e culturale germinato dall’ideologia patriarcale, la stessa che ispira le tracotanze suprematiste, sovraniste, misogine, razziste, che istiga le violenze e che genera le guerre.
A dire che il tema continua a riguardare drammaticamente anche il nostro Paese sono i nomi delle donne che – una ogni tre giorni – sono vittime di femminicidio.
Senza la necessità di risnocciolare i numeri Istat e delle tante altre agenzie nazionali e internazionali – lettura comunque consigliata al ministro dell’Istruzione e del merito e alle sue e ai suoi collaboratori – è più che evidente che questo Paese ha ben poco da rivendicare: il numero dei femminicidi continua a rimanere costante nel tempo e le risorse che servono per la prevenzione, per l’educazione al rispetto della dignità di ogni persona, quelle per le case famiglia, i consultori, i centri di assistenza e l’educazione affettiva e sessuale nelle scuole continuano a essere lesinate.
Una sorta di paranoia imperiale che li porta a decidere di volta in volta le regole geografiche del diritto, dei trattati internazionali – come da ultimo per le pronunce della Corte Penale Internazionale dell’Aia – e della Costituzione.
Ha ragione Massimo Gramellini che nella sua rubrica “Il caffè” (Corriere della sera di venerdì 22 novembre), a proposito della striscia tricolore con cui La Russa ha voluto far marchiare la panchina rossa del giardino del Senato, concludeva che piantare “una bandierina” su una campagna universale inevitabilmente la trasforma in rivendicazione nazionale e “sovranista”.
Una ennesima gran brutta figura, speculare al “reato universale” che il Governo italiano ha voluto introdurre a proposito di maternità surrogata e questo indipendentemente dalla condivisione o meno del tema.
Una sorta di paranoia imperiale che li porta a decidere di volta in volta le regole geografiche del diritto, dei trattati internazionali – come da ultimo per le pronunce della Corte Penale Internazionale dell’Aia – e della Costituzione.
Come ha detto Gino Cecchettin alla presentazione della Fondazione dedicata a sua figlia Giulia “la violenza di genere è frutto di un fallimento collettivo: non è una questione privata”.
Il contrasto alla violenza di genere e ai femminicidi va di pari passo con la costruzione di una società, di comunità e di un futuro fondato sulla parità, sul rispetto reciproco, sulla giustizia e sulla solidarietà.
È questo il messaggio che ancora una volta in questo 25 novembre 2024 arriva dalle migliaia di piazze che in Italia come nel Mondo intimano che la libertà di scegliere e di decidere di sé e del proprio corpo non si tocca.
Giù le mani dalle donne, dalla nostra libertà di essere come siamo e di come vogliamo essere: LIBERE DI ESSERE.
Tamara Ferretti, segreteria nazionale Anpi, responsabile Coordinamento nazionale Donne Anpi
Una galleria dei manifesti realizzati dai coordinamenti donne Anpi per il 25 novembre 2024
Pubblicato lunedì 25 Novembre 2024
Stampato il 25/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/cittadinanza-attiva/giu-le-mani-dalle-donne-siamo-libere-di-essere/