Anpi Area metropolitana di Reggio Calabria, Cgil Area metropolitana e Filt Cgil hanno commemorato, presso la stazione di Gioia Tauro, le vittime della Strage avvenuta il 22 luglio del 1970, che provocò 6 morti e oltre 70 feriti tra i passeggeri del treno Palermo-Torino.
Andiamo con ordine e spieghiamo nel dettaglio gli avvenimenti: il 22 luglio del 1970 sulla Freccia del Sud Palermo-Torino c’erano circa 200 passeggeri. Altri avevano rinunciato a partire per via dei moti di Reggio Calabria scoppiati a partire dal 14 luglio, che impedivano un regolare flusso dei treni. A non voler rinunciare al viaggio c’erano tanti che volevano rendere omaggio alla Madonna di Lourdes e che avrebbero sfidato qualunque avversità pur di seguire la propria devozione.
Alle 17.10 il treno, che viaggiava a una velocità di circa 100 km/h, si trovava all’altezza degli scambi per la stazione di Gioia Tauro quando vennero avvertiti dei sobbalzi e degli strappi ripetuti, come se mancasse la terra sotto le rotaie; ciò provocò l’inevitabile deragliamento dei convogli, provocando una strage tra i passeggeri. I morti saranno 6, oltre 70 i feriti. Le testimonianze dirette dell’episodio sono numerose. Alcuni riferiscono di avere visto brandelli di corpi lungo la ferrovia; altri, nel vicino comune di Taurianova, ricordano ancora i corpi straziati arrivati con le ambulanze all’ospedale.
Emilio Santillo, personaggio emblematico e all’epoca questore di Reggio impegnato con la gestione e la repressione dei Moti, trova il tempo per rilasciare un’intervista in cui dichiara che bisognava farla finita con la criminalizzazione della Calabria e che probabilmente si era trattato di uno sfortunato incidente. Mario Righetti invece, giornalista del Corriere della Sera, sin dall’inizio accredita l’ipotesi dell’ordigno. Bisognava però capire che cosa aveva provocato quel sobbalzo. Le prime indagini si orientano sul disastro colposo relativo alla conduzione del treno o alla cattiva manutenzione dei binari ma dal processo avvenuto qualche anno dopo i ferrovieri vengono assolti. L’elemento che non fa parlare di attentato è che in effetti mancano tracce di esplosivo e questo per due ragioni: la prima è che la presunta detonazione era avvenuta all’aperto e la seconda è che si trattava di una quantità minima di esplosivo, necessaria soltanto a far staccare la suola del binario, e pertanto non aveva lasciato tracce o voragini nel terreno. Una volta assolti i ferrovieri, non si approfondì pertanto la pista dell’attentato, che rimase per anni solo una congettura. Lo sfondo nel quale accadde questo episodio però non era dei più rassicuranti.
Reggio oramai da qualche tempo era un laboratorio di prova per azioni eversive. Nell’ottobre 1969 Junio Valerio Borghese, disceso a Reggio Calabria, decise di organizzare un comizio. Su questo avvento si è discusso molto ma non dovrebbe stupirci: questa terra è stata sempre un refugium peccatorum, almeno sin da quando vi giunse Oreste, mandato da Apollo per immergersi nell’unico fiume, il Metauro, in grado di guarirlo e dargli ristoro dal senso di colpa per avere ucciso la propria madre, Clitennestra. Tornando a noi, la manifestazione di Borghese viene vietata e si verificano i primi scontri tra polizia e manifestanti, che provocano 45 feriti da entrambe le parti. Negli stessi giorni si tiene il summit di Montalto, in Aspromonte, in cui si disegnano le alleanze tra ‘ndrangheta, eversione nera e servizi segreti deviati. Non sono mai stati dimostrati, dal punto di vista giuridico, i legami tra questo complicato nucleo di alleanze criminali-politiche e i fatti di Gioia, essendo stati identificati soltanto gli esecutori materiali, ma è cosa fortemente ipotizzata anche dagli organi inquirenti che azioni di questo genere sono state ideate e incoraggiate in questi ambienti, nel perimetro della “strategia della tensione”.
Negli anni Novanta il giudice istruttore Guido Salvini e il sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia Vincenzo Macrì interrogano alcuni pentiti di ‘ndrangheta che avevano militato tra criminalità organizzata e Avanguardia nazionale. Uno di questi, Giacomo Ubaldo Lauro, dichiara spontaneamente che la strage di Gioia nacque su input della fazione estremista del comitato Reggio Capoluogo. Lauro dichiara di avere raccolto in carcere la confessione di Vito Silderini, che si era dichiarato autore materiale dell’attentato insieme a tali Vincenzo Caracciolo e Giuseppe Scarcella. In seguito, Lauro dichiarerà di essere stato lui stesso a fornire l’esplosivo. Si riaprono dunque le indagini e viene condotta un’altra inchiesta dalla Procura di Palmi e dalla Corte d’Assise di Reggio Calabria, che tra il 2001 e il 2006 stabilisce in via definitiva che la natura dell’azione è stata quella dell’attentato dinamitardo. L’inchiesta ha stabilito anche chi sono stati i finanziatori e gli ispiratori ma non è stato possibile stabilire un verdetto definitivo.
La sentenza di condanna per gli esecutori della strage ha riguardato Vito Silverini, Vincenzo i Caracciolo e Giuseppe Scarcella, tutti e tre però già deceduti. All’atto della chiusura del processo per la strage, nel gennaio 2006, l’unica condanna emessa nei confronti di uno dei coinvolti ancora vivente fu quella di “concorso anomalo in omicidio plurimo” a carico di Lauro: il reato però era estinto per prescrizione. Si è inoltre stabilito che, nel quadro delle azioni legate alle trame eversive legate ai fatti di Reggio, sono stati realizzati oltre quaranta attentati a tralicci, rotaie e stazioni ferroviarie. Due di questi attentati interessarono anche la linea ferroviaria Gioia Tauro-Villa San Giovanni, appena qualche mese dopo la strage di Gioia.
Il 26 settembre 1970 infine, perdono la vita in un incidente stradale cinque giovani di Reggio Calabria, noti come “gli anarchici della Baracca”. Portavano a Roma i risultati di un’inchiesta sulle infiltrazioni neofasciste nella rivolta di Reggio e sulla Strage di Gioia Tauro – allora ancora attribuita a una tragica fatalità. I loro nomi sono: Angelo Casile, Franco Scordo, Gianni Aricò, Annalise Borth, Luigi Lo Celso. Quest’ultimo, appena ventiseienne, era il più anziano, gli altri erano ragazzi tra i 18 e i 22 anni.
I morti della strage del 22 luglio sono stati: Rita Cacicia, di Bagheria di 38 anni, insegnante presso un istituto per sordomuti di Palermo; Adriana Maria Vassallo, di Agrigento, insegnante di 22 anni; Andrea Gangemi, sessantenne di Napoli, funzionario di banca, co-direttore centrale del Banco di Sicilia, in precedenza insignito dalla Marina militare di due croci al merito di guerra; Nicoletta Mazzocchio, 70 anni, di Casteltermini, in provincia di Agrigento casalinga; Letizia Concetta Palumbo, 48 anni, anche lei di Casteltermini, sarta; Rosa Fassari, 67 anni, di Catania, casalinga.
L’Anpi Area Metropolitana di Reggio Calabria e la Cgil Area Metropolitana ribadiscono il loro impegno presente e futuro affinché episodi simili non abbiano più spazio nel nostro territorio e affinché siano preservati il ricordo e la verità storica e giudiziaria di quanto avvenuto.
E oggi sappiamo che quelle morti fanno parte di una pagina di storia, dove un filo nero unisce le stragi di Piazza Fontana (1969), Peteano (1972), Questura di Milano (1973), Piazza della Loggia (1974), Italicus (1974) stazione di Bologna (1980); Treno 904 (1984).
Nino Princi, insegnante, ricercatore, vicepresidente Sezione Anpi Delianuova-Gioia Tauro-Rosarno “Antonino D’Agostino”
Pubblicato mercoledì 14 Agosto 2024
Stampato il 03/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/cittadinanza-attiva/gioia-tauro-la-seconda-strage-nera-della-repubblica/